7 febbraio 2012

Scrivono vari 08.02.2012


Scrive Giovanni Grassi a Jacopo Gardella – Interessanti gli articoli su darsena e navigli. È vero che oggi risulta difficile riattivare il vecchio sistema, ma possiamo usare le nuove tecnologie, per esempio battellini elettrici che si muovono a filo d’acqua con alimentazione elettrica laterale, luci ridotte e recuperi di dislivelli asservite e in tal caso per alcune tratte sono sufficienti ridotte lamine d’acqua, lasciando solo dove è possibile le vecchie configurazioni e le antiche conche. Sarebbe interessante provare a realizzare un progetto di fattibilità per verificarne i costi. Ricordo che parecchi anni fa con l’architetto Memoli impostammo un progetto di recupero dell’area ferroviaria di Porta Genova anche con la realizzazione di un piccolo porto turistico.

Scrive Emilio Vimercati parlando di “casa” – Complimenti per l’editoriale. Quante volte ho pensato le stesse cose che hai scritto. Ma secondo i berluscones (e non solo) la questione casa è risolta dal mercato. Nel dopoguerra e anni seguenti tutte le aziende a partecipazione statale, FS, Poste, Enel, Anas, Inps, o le mutue Indpap, Enpam, ecc. ma anche i Ministeri, Giustizia, Tesoro, Interno, nonché le grandi Aziende come Pirelli, Fiat, Falck, Aem o le categorie come i giornalisti, costruivano propri villaggi e quartieri di abitazione, tanto che certe zone si chiamavano secondo il tipo di lavoro svolto da chi ci abitava. Tutti patrimoni oggi “cartolarizzati” cioè svenduti. Come le case di vacanza e colonie. Ma la dispersione abitativa è stata disaggregante soprattutto per la comunità perchè questi quartieri non erano solo periferici ma anche ubicati nel tessuto medio – centrale cittadino il che permetteva una commistione nelle scuole, nei negozi, nel gioco, nella vita quotidiana, creando uno scambio utile di esperienze, competizione, emulazione.
Gli interventi all’Isola o alla ex Fiera ricalcano Milano 2, recinti distorsivi che non fanno né includere né comunicare le diverse classi sociali. Come se dovessero autodifendersi dalle diversità pur esistenti. La vendita del patrimonio pubblico ha poi causato un altro guaio. Perchè con meno alloggi disponibili sono diminuite le riserve degli alloggi cosiddetti di risulta, cioè quelli che di volta in volta si rendevano disponibili, per decessi o trasferimenti. A queste quote si è rinunciato troppo leggermente. Termino concordando che l’housing non ha prodotto nulla e infatti è solo un alibi (in inglese una fregatura).

Scrive Vittoria Testa parlando di “casa” – Condivido pienamente l’analisi, per l’esperienza fattami in questi anni nella realtà di Sesto San Giovanni, dove pure abbiamo resistito allo spasimo contro la “svendita” dell’edilizia pubblica, almeno quella di proprietà comunale; dove però le nostre Cooperative hanno anch’esse negli anni di fatto privilegiato la casa in proprietà; dove peraltro ci sarà concretamente la possibilità di edificazione di edilizia sociale sulle aree dismesse: ma come difendere questa realizzazione con le regole date dalla nostra Regione? Con l’atteggiamento dei sindacati inquilini? Di fatto i Comuni sono di fronte alla realtà che un edificio di edilizia sociale significa un buco a vita nel bilancio… per non parlare della gestione Aler, l’unica tenuta in conto dalla Regione con le stesse regole e con il tentativo di far ricadere sui Comuni (guarda caso) gli oneri sociali per gli inquilini veramente poveri, perchè quelli che intanto hanno raggiunto un livello economico soddisfacente e anche meglio continuano a usufruire del bene a condizioni ridicole… (staff del sindaco)

Scrive Giancarlo Meda parlando di “casa” – “Pigrizia e favoritismi – delle amministrazioni e il desiderio di favorire clientele elettorali in tutti i ceti e in tutte le classi sociali, con buona pace anche dei sindacati.”, aggiungerei corruzione e finanziamento ai partiti. Se oggi in tutta Italia le case popolari fossero rimaste affittate correttamente quanti problemi sociali e di mobilità per lavoro in fase di crisi si sarebbero potuti più facilmente e giustamente risolvere? Sperando che la storia insegni, quali provvedimenti di transizione possono essere adottati? Il primo che viene in mente è il censimento di chi è in affitto per identificare, anche come lotta all’evasione fiscale, chi non ne ha più titolo con immediato sfratto. Per il futuro programma vietare per sempre la vendita a chiunque e per evitare “pigrizia” scegliere per merito e non per appartenenza, controllare e se necessario rimuoverei dirigenti preposti alla gestione dopo averli forniti di regole e obiettivi definiti e chiari.

Scrive Simone dalla Chiesa parlando di “casa” – Ho letto l’articolo “Milano, la casa…” e vorrei raccontare un episodio correlato. Ho un amico, un uomo tra i 50 e i 60, dipendente comunale, che abita in una casa del Comune in centro. Guadagna 1200 euro al mese, ed è solo. L’affitto di 300 euro mensili è già molto per lui, e sopravvive con fatica. Adesso il Comune ha deciso di aumentarglielo, non so di quanto, ed è disperato. A lui non importa nulla di vivere in centro, potrebbe trasferirsi altrove, anche fuori Milano. Ma dove trova a 300 euro al mese? Considerate il paradosso: il Comune (come altre amministrazioni, come il settore privato) si permette di valutare il lavoro di un individuo 1200 euro al mese, una cifra che non permette di sopravvivere a una persona sola in una città come Milano. Però ha finora sostenuto il proprio dipendente con le risorse a disposizione. Ma adesso ha deciso che averlo sostenuto finora ne ha fatto un parassita privilegiato, e ha deciso di punirlo. Questa persona dovrà andare a vivere in macchina (già, un diesel Euro 3, e non essendo più residente in centro…). Perché non assegnarli un altro alloggio?

Scrive Gianluca Bozzia parlando di “casa” – Potrebbe approfondire e motivare meglio il rilievo mosso al social housing? Seguo da prima della fondazione la Fondazione Housing Sociale con attenzione e passione, ma non sono un esperto: gradirei approfondire la questione dell’abitare sociale a Milano e Lombardia. Grazie.

Scrive Felice Besostri ad Arturo Calaminici – D’accordo con lo scritto di Calaminici, non è l’unico caso in cui i tecnici fanno errori ingiustificati. Per esempio si sono abrogate le tariffe professionali, considerando che siano un ostacolo alla concorrenza. Questo è vero se avessero rilievo soltanto tra il professionista e il committente, ma non è così? A quali parametri si attiene un giudice nel liquidare le spese a favore della parte vincitrice e a danno di quella soccombente? O un CTU nel giudicare la congruità di una parcella in caso di contestazione? ovvero in caso di richiesta di decreto ingiuntivo o di atto di precetto? In teoria il governo si è impegnato a emettere un decreto con parametri, non era più semplice lasciare le tariffe in vigore e stabilire che non si applicano ai rapporti tra professionista e cliente?
In tutti gli Stati di una certa dimensione, ma anche in stati più piccoli come i Paesi Bassi e il Belgio, c’è sempre un ente intermedio tra il comune e la regione ovvero che raggruppa più comuni. Sono tutti idioti a cominciare dagli spagnoli con le loro province, i francesi con i Dipartimenti, i tedeschi con i Bezirk o i british con le Contee? Prescindiamo dal problema se questi organi debbano essere elettivi di primo grado o di secondo. Il trasferimento di funzioni e personale ai Comuni e alle Regioni, creerà altri problemi. Non è un pericolo teorico abbiamo avuto tanti casi di trasferimenti di funzioni senza risorse e di personale senza funzioni. Nell’assegnazione all’uno o altro ente saranno i trattamenti giuridici ed economici differenziati a creare tensioni o occasione di pratiche clientelari.
L’assurdo è che la prima funzione colpita sia quella rappresentativa, come se i costi della politica dipendessero solo dalle indennità degli eletti. Nelle Camere dovremmo scandalizzarci di più delle indennità dei parlamentari, che se decurtate dalla quota per gli ausiliari (portaborse) sarebbero nella media europea o dei € 5.000 mese (da verificare) per i barbieri e degli stipendi di uscieri, commessi o addetti alle pulizie? Che peraltro sono parametrati a quelli di funzionari e direttivi, per non prendersela soltanto con i lavoratori manuali. Il risparmio si ottiene riducendo le indennità o i parlamentari? Qualcuno ha fatto una riflessione sul fatto che un dimezzamento dei parlamentari a Costituzione invariata significa al Senato dare una sovrarappresentazione alle regioni meno popolate, violando quindi l’art. 48 Costituzione? Peraltro ciò avviene già con il premio di maggioranza del Porcellum a livello regionale, che nelle Regioni meno popolate da un premio superiore al 54% con l’arrotondamento all’unità superiore.
Dimezzare i parlamentari significa fare collegi troppo vasti per un efficace rapporto tra parlamentare ed elettori e allora non è indifferente se si vota con un sistema proporzionale o maggioritario, con liste aperte o bloccate o se la soglia di accesso è nazionale o circoscrizionale. Purtroppo di questo non si può discutere perché bisogna dare una lezione alla “casta”. L’altra perla è la contraddizione insanabile tra la riduzione dei consiglieri comunali e l’accorpamento dei comuni. Con un minor numero di consiglieri e il sistema maggioritario combinati insieme una serie di comuni accorpati, quelli più piccoli, corrono il rischio di non essere rappresentati nel Consiglio Comunale del Nuovo Comune. Sopprimere e accorpare province è possibile, ma soprattutto farne un ente di decentramento regionale, che sono cresciute troppo come dipendenti rispetto alle funzioni costituzionali. Pensare anche a macroregioni sarebbe opportuno. Purtroppo non ci sarà molto spazio per i riformatori, perché lo scontro è tra conservatori dell’esistente arroccati nella difesa dello status quo e i rottamatori iconoclasti. Povera Italia! *portavoce del gruppo di Volpedo, associazione dei circoli socialisti e libertari del Nord Ovest

Scrive Andrea Bonessa ad ArcipelagoMilano – Vedo pubblicata tra le vostre lettere una risposta dell’avvocato Cristina Mordiglia a Nanni Anselmi dove, senza nessuna informazione, vengo citato in modo assolutamente strumentale. La mia meraviglia, ma anche il mio disappunto, sono però rivolti sia all’autrice del testo sia, in piccola parte, alla vostra redazione che l’ha pubblicato senza la minima verifica.
Permettere che, sulle pagine del vostro giornale, si affermasse che “il Presidente del comitato di zona 4, Bonessa, ha dato ieri le dimissioni dopo che l’Assessore Bisconti (Limonta e compagnia) non hanno neppure voluto far vedere ai comitati (e a tutti i cittadini della zona) la convenzione che stanno per firmare con la fondazione Pier Lombardo sulla piscina Caimi”, dà (e ha dato) il destro a strumentalizzazioni che con una semplice verifica redazionale si potevano evitare.
Questo perché non solo non sono “Presidente del Comitato di Zona 4”, non esistono infatti Presidenti dei Comitati ma al limite Coordinatori, ma anche perché partecipo all’attività di un comitato di quartiere e non ho ruoli di coordinamento in quello dell’intera zona 4.
A questa precisazione di ordine formale, si aggiunge quella sostanziale che riguarda le mie dimissioni, comunicate esclusivamente agli appartenenti al ComitatoxMilano4x2, con cui mi incontrerò nei prossimi giorni per spiegarne i motivi, che niente hanno a che fare con la vicenda Caimi come l’avvocato Mordiglia ipotizza per tirare acqua al suo mulino, senza nessun rispetto per il sottoscritto, che forse ha incontrato qualche volta, ma da cui non ha avuto nessuna notizia di prima mano o esternazione in merito.
Mercoledì prossimo, alle 18.30 presso il Bottegas di via Friuli, relazionerò i partecipanti al Comitato4x2 e spiegherò le mie scelte, che sono comunque sempre all’interno di un percorso dei Comitati che ritengo a tutt’oggi interessante, perseguibile e positivo. Niente infatti mi accomuna, come l’avvocato Mordiglia lascia sottintendere, con le radicali affermazioni che completano la sua lettera.
Diversa, anche se alle volte liberalmente critica, è la mia posizione che niente ha a che fare con una contrapposizione frontale con i comitati e con la nuova amministrazione che ho desiderato si insediasse a Milano e di cui, ribadisco, apprezzo nella massima parte l’operato.
E quindi, o l’avvocato Mordiglia ha una sfera di cristallo, un po’ opaca e fuorviante della realtà, o difficilmente può permettersi di motivare le mie scelte tenuto conto che non sono, per il momento, neanche a conoscenza né di mia moglie né delle persone a me più vicine. Vi chiedo quindi di voler pubblicare questa mia precisazione per completezza e correttezza d’informazione.

Replica Cristina Mordiglia – La delusione per il comportamento tenuto dall’Amministrazione nella vicenda della piscina Caimi mi ha forse mal fatto interpretare la notizia delle dimissioni dell’architetto Bonessa dal comitato per Milano zona 4, e mi scuso per la divulgazione che ho dato se, effettivamente, così non è.
D’altro canto, la legittima richiesta che la convenzione, in via di conclusione, con il Pier Lombardo fosse conosciuta dai comitati prima della firma, è stata la richiesta ufficiale avanzata proprio dall’architetto Bonessa, per conto del comitato per Milano zona 4, alla riunione indetta dall’Assessore Bisconti presso la sede dell’assessorato in data 18 gennaio u.sc. Altra precedente richiesta nella stessa direzione era già stata avanzata, sempre dal comitato di zona 4 con un esplicito documento inviato all’Amministrazione nel settembre 2011 e ribadita, con mail del 22 gennaio 2012, proprio dall’architetto Bonessa che concludeva “A seconda della risposta che riceveremo tireremo le nostre conclusioni”.
Pertanto era più che legittimo pensare a un coerente comportamento a seguito della serata di lunedi 30 gennaio presso il Pier Lombardo, ove è risultato evidente che le richieste del comitatoxMilano4 erano state disattese. I termini dell’accordo, che sarebbe stato firmato a breve, sono stati infatti presentati con la massima vaghezza e genericità, ed è risultato palese che il testo definitivo della convenzione, così come il progetto definitivo di rifacimento della piscina, il capitolato dei lavori e relativi costi (tutti punti fondamentali trattandosi di un bene pubblico) e quant’altro potesse rendere trasparente e chiara l’operazione, allo stato, non sarebbero stati mostrati a nessuno, né ai comitati, né tanto meno ai cittadini che ne avevano fatto richiesta. Come è chiaramente emerso dall’acceso dibattito finale che ne è seguito nel quale da più parti sono state evidenziate le vistose carenze dell’intero progetto, arrivando a mettere in dubbio l’interesse pubblico dell’operazione (con prevalente attenzione all’interesse culturale a scapito del welfare).
Per quanto riguarda il collegamento con quanto scritto da Nanni Anselmi e alla sua domanda: “gli amministratori pubblici sono ritornati credibili e affidabili agli occhi dei cittadini?” e se è stato affrontato “un serio ragionamento su progetti innovativi e di organizzazione democratica del consenso” qualche dubbio resta. Tutti abbiamo provato la meravigliosa sensazione che cittadini “normali” avessero di nuovo ritrovato la voglia e il coraggio di tornare per le strade per occuparsi, in prima persona, della res publica, della propria città e del proprio futuro. Ma quale risposta ha dato la nuova amministrazione a questa disponibilità e richiesta?
La sensazione, che va purtroppo diffondendosi, per lo meno tra chi è intorno a me, è che i comitati non siano stati idoneamente valorizzati e che l’energia positiva che avrebbero potuto immettere nella città, quella vera, fatta dai cittadini che la abitano e ci lavorano tutti i giorni, sia stata, fino ad oggi, arginata e poco utilizzata. Questa “apertura di credito non può essere considerata a tempo indeterminato” rileva ancora Anselmi, soprattutto se la giunta Pisapia non comincerà a fare tesoro veramente di questa enorme risorsa, nella prospettiva di un nuovo modo di governare più vicino alla gente, con un dialogo trasparente e aperto. Questo deve comportare la forza e la scelta di ridimensionare l’azione di attori influenti cercando di costruire le condizioni per un confronto paritario che, nel caso specifico della vicenda Caimi, non si è verificato.
Quell’”oro di Milano” già citato nella mia lettera, a caldo, dopo questa deludente vicenda, mi auguro non vada disperso pena il rischio di un pericoloso riflusso della speranza. Questo sì, è il grave problema politico che non può essere sottovalutato, ma che va seriamente affrontato, e al più presto, esaminando criticamente anche le modalità, invero per nulla partecipative, seguite nella gestione della vicenda della piscina della zona 4. Aldilà della delusione per l’esito della specifica vicenda, spero e confido, ovviamente, che l’Amministrazione voglia dare un forte e chiaro segnale di svolta in tale senso, senza resistenze e ritardi ulteriori.
Quanto alle poco educate osservazioni finali dell’architetto Bonessa nei miei confronti, ritengo che ben si potesse comprendere che le mie affermazioni fossero legate alla vicenda di cui sopra, nei confronti della quale, sola, mantengo un forte atteggiamento critico. E questa volta è lui che, con voluta leggerezza, amplifica ingiustificatamente le mie critiche, a caldo, e su una specifica vicenda che mi ha visto fortemente impegnata per molti mesi, estendendole a tutto l’operato dell’Amministrazione, che non intendevo coinvolgere.
Per concludere e chiarire definitivamente, il mio pensiero è che una mancata applicazione della partecipazione, unita a un’evidente falsificazione della stessa (ribadisco che quella applicata non può essere riconosciuta come tale!) non può portare all’innovazione dei modi di gestire questioni di pubblico interesse e che tale mancanza inficia, alla base, la ragione d’essere e la potenzialità innovativa dei Comitati per Milano.

NdR. La pubblicazione di lettere dei lettori non impegna la redazione a verificarne i contenuti fatta eccezione per quelli che potrebbero configurare possibili reati di diffamazione.



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti