24 gennaio 2012

DISCUTERE DELLE RIFORME: DEREGULATION LIBERALE?


A fine 2011 il Presidente Monti ha ribadito il quadro. Avevo scritto, indispettendo nostalgici conformisti, che il governo Monti non era una rivoluzione liberale, tanto che aveva tassato i redditi senza pensare allo sviluppo, che richiederebbe una patrimoniale su tutti in proporzione per tagliare il debito abbassando insieme numero e livello delle aliquote fiscali. Dopo che il Presidente ha confermato la natura recessiva del Salva Italia, ha detto che l’azione di governo si fonda sulle burocrazie pubbliche e bancarie con l’assistenza delle categorie, ha ammesso di non escludere una patrimoniale per far fronte al debito, spero che i nostalgici rinuncino ad attribuirmi posizioni marziane. Lo spero ancor più dopo le prime indicazioni sul Cresci Italia, più fumo che arrosto. Per non ridurre la politica a tifo da stadio, va discusso come fare cosa per la convivenza. Sia per aiutare il governo dei tecnici, varato al buio, non lasciandolo con la sua volonterosa sobrietà in balia di consiglieri avulsi dal quadro politico sociale. Sia per costruire progetti alternativi di governo del paese che diano tra diciotto mesi una scelta ai cittadini sovrani.

Nel penultimo ArcipelagoMilano, un articolo fa una domanda chiave: “come sia possibile uscire da una crisi determinata da una mancanza o da un non rispetto delle regole attraverso l’eliminazione delle regole”. Oggi la discussione è su questo. Tralascio che il titolo dell’articolo (Contro le liberalizzazioni) rovescia quello della rivoluzione liberale di Monti, ma prosegue lo stupro terminologico delle idee liberali (i liberali hanno inventato le regole per convivere tra diversi; le liberalizzazioni non sono assenza di regole, sono potare regole obsolete d’ostacolo al cambiamento). Il punto politico è che eliminare regole è la scorciatoia di chi vuole la sola politica di potere, per dare privilegi alle oligarchie amiche e toglierli agli avversari. Però le regole non sono tecnica, sono scelta politica. Quella liberale, sono regole per ottimizzare di continuo la convivenza di cittadini liberi e poi il controllo degli effetti, rigoroso e trasparente, delle istituzioni.

Applichiamo questo criterio al governo Monti. Il Presidente ha detto di aver seguito gli impegni già assunti con l’Europa. Perciò subito la manovra di molte imposte e dopo penserà alla crescita. Ha spacciato tale scelta come ineluttabile, ma non lo era. Erano ineluttabili i sacrifici, non la manovra che non era la sola possibile. Ve ne era un’altra, la patrimoniale per il drastico taglio del debito, così da rilanciare subito lo sviluppo con il diminuire le imposte sui redditi e dare un senso ai sacrifici. Si potrebbe dire, il governo non lo pensa. Già, solo che proprio gli impegni con l’Europa lo condurranno a una patrimoniale.

Vediamo. Monti ha dichiarato che la Salva Italia porterà a un 5% di avanzo primario, quindi una cifra di circa 80 miliardi. Ammettiamo che basti a pareggiare gli interessi sul debito di 1.900 miliardi. Poi c’è l’impegno europeo della riduzione del debito del 3% all’anno per venti anni. Questo 3% sono circa 57 miliardi il primo anno, 55 il secondo, 53,5 il terzo e così via, mentre gli interessi sul residuo debito restano uguali visto l’andamento dell’ultimo periodo. Allora, questa riduzione con cosa si pagherà? Con la patrimoniale che Monti ha fatto capire che farà, magari a tappe e con altro nome.

I soliti conformisti diranno prima o dopo è uguale. No, è molto differente. Intanto il paese paga più interessi per la ritardata riduzione e soggiace alle aste di rinnovo. E soprattutto non si è creata l’occasione di ridurre le aliquote fiscali per rilanciare il PIL. Nel complesso si resta ipovedenti su globalizzazione e su sviluppo. Lo statalismo dei consiglieri ha influenzato i tecnici. Il Salva Italia è zeppo di aumenti di imposte indirette, bolli, benzina, registro, energia, catasto, adempimenti. Duplica la nuova IMU, maggiora il tributo rifiuti di 0,30 euro al metro, accresce l’incombere del grande fratello sulle transazioni finanziarie con la scusa di combattere l’evasione. Qui sono chiari i pericoli per la libertà personale, sono fumosi i vantaggi (non un euro conteggiato) e si dimenticano responsabilità legislative e burocratiche (perciò si enfatizza l’evasione).

Con l’IMU si esentano le attività religiose e le socioculturali che dovrebbero essere un contributo dei privati alla società in aggiunta alla pubblica iniziativa e non motivo di farsi finanziare le proprie iniziative. Non si introduce, con la detraibilità fiscale, il contrasto di interessi anti evasione per le prestazioni alla persona degli autonomi, però si punta di fatto a pubblicizzare le Casse previdenziali dei professionisti sparando vincoli che l’INPS non ha: aumento da trenta a cinquanta anni della copertura di sostenibilità finanziaria delle Casse.

Ora, avviate le liberalizzazioni, i conformisti esultano. Ma liberalizzare non è sbandierare logiche amministrative, privilegi limati, un’agenzia potenziata, dubbi giochi di prestigio (srl per giovani e tribunali per imprese), divisione Eni-Snam accelerata. È mutare il clima non per certe categorie ma per il sistema. È sbloccare il paese. Favorendo lo sviluppo di attività e un mercato per valutarle. Togliendo balzelli gravosi causati dalle oligarchie. Capendo che il minor gettito per i mancati accatastamenti dipende da chi, avendone compito e tecnologie, non effettua i controlli. Capendo che contribuisce all’evadere chi è attento alle violazioni di legge minute e non al controllo del palese divario tra reddito e tenore di vita di fornitori di servizi di successo. Riducendo spese dell’Amministrazione e aliquote fiscali. Ricordando che lo Stato equo organizza la convivenza, non i suoi vantaggi sul cittadino, specie come debitore.

Sono cose del genere, oltre l’insufficienza degli ammortizzatori sociali legata alla rigidità nel lavoro, quelle da correggere nei meccanismi delle regole, che, in diciassette anni e mezzo governati metà per uno, hanno fatto del paese il fanalino di coda della crescita. Invece di ispirarsi al pauperismo redistributivo, si adotti una mentalità di sviluppo con il confronto tra cittadini diversi. Il futuro del paese non passa dal Fondo Salva Stati europeo ma dall’attivare presto le capacità di iniziativa e il patrimonio di cultura di ognuno. Arrivarci, richiede diverse proposte per cambiare. Invece, la prospettiva politica consociativa dei più grossi va nella direzione opposta dei nuovi privilegi. Non basta riverniciare le vecchie regole purché ci siano regole. Occorrono nuove scelte dei cittadini, visto che le vecchie regole non funzionano più. Nel mondo lo vedono.

 

Raffaello Morelli



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