23 dicembre 2011

CONTRO LE LIBERALIZZAZIONI


Ci siamo appena liberati del ministro Tremonti a parere del quale i mali dell’economia italiana erano dovuti all’art. 41 della Costituzione che regola eccessivamente la libertà d’impresa, che scopriamo di esserci affidati a un governo Monti che, purtroppo, non resiste alla tentazione di lanciare un “falso bersaglio” inserendo nel salvifico decreto la “liberalizzazione” degli orari dei negozi e (poco) della distribuzione carburanti, lanciando alti laì per non aver potuto (ma va?) liberalizzare taxi e farmacie. Io vorrei sapere se esiste in Italia una sola persona che non sia riuscita ad aprire un’azienda reale a causa dell’art. 41 della Costituzione ovvero se qualcuno pensa davvero che l’esplosione del costo della sanità dipenda dal fatto che i supermercati non possono vendere il Prozac o il vaccino per l’influenza.

Intendiamoci, nessuno più di me è conscio del fatto che chiedere cinque autorizzazioni diverse presso altrettanti uffici solo per poter mettere dei tavolini in strada sia uno spreco di tempo e di denaro insopportabile, ma l’attribuire il ritardo o addirittura il declino dell’Italia ai “lacci e lacciuoli” evocati da Guido Carli più di trenta anni fa non è solo retorica, è mistificazione.

A Milano durante il blocco del traffico della settimana di S Ambrogio hanno circolato a piedi per le strade commerciali e no della città il 40% (!) di persone in più rispetto al periodo di tempo omologo dell’anno precedente, i negozi sono stati aperti mediamente tre ore in più eppure i commercianti denunciano un calo delle vendite del 25%: abbiamo la ragionevole certezza che i potenziali clienti non siano stati presi da un accesso di timidezza rinunciando agli acquisti ma che le ragioni fossero, come dire, più materiali. Spostando l’attenzione sulle modalità si può distrarre per un breve momento l’attenzione dal “contenuto”, vale a dire la mancanza di disponibilità economica per i consumi oppure di quella finanziaria per gli investimenti, ma certo non si risolve il problema.

L’enfatizzazione non solo non è una soluzione, ma provoca danni collaterali che possono essere molto gravi. A titolo esemplificativo, la liberalizzazione degli orari dei negozi contenuta nel decreto, con sostanziale estromissione degli enti locali da qualsiasi attività di controllo e programmazione, può provocare, soprattutto nelle grandi città, problemi serissimi a causa di una imbarazzante superficialità nella stessa scrittura del decreto: l’aver eliminato il periodo di armonizzazione di 90 giorni fra la legislazione nazionale e quella regionale, per dire, provocherà un contenzioso fra legislazioni concorrenti di cui non si certo sentiva il bisogno.

La trasformazione degli assessorati al Commercio comunali in inutile deposito di documenti porterà alla moltiplicazione delle zone di concentrazione dei locali della “movida” totalmente incontrollabili dal punto di vista dell’ordine pubblico e della quiete pubblica, così come si moltiplicheranno le procedure, in gran parte inutili, condotte dalle amministrazioni e dalla magistratura per far chiudere locali che non rispettino le norme di igiene, sicurezza e urbanistiche: i controlli a posteriori, infatti, possono solo innestare questo iter, lungo e costoso almeno quanto inutile, dal momento che tra ricorsi, rinvii e ritardi la percentuale di interventi di risanamento andati a buon fine su una situazione di fatto è intorno all’1%. L’assenza di regole in un settore già di suo frammentato porterà non certo a un incremento dell’occupazione, ma a un sostanziale peggioramento che sempre la deregulation determina, in primo luogo il fortissimo utilizzo di lavoratori avventizi sistematicamente occupati in “nero” .

L’esperienza vissuta dice poi che la “deregulation” in un settore per sua natura permeabile alle infiltrazioni e all’azione di mafie e malavita di grande e piccolo calibro vanificherà anche quel poco che fino ad ora è stato fatto in termini di prevenzione e controllo a tal punto che, a mio avviso, questi simpatici personaggi potranno perfino fare a meno di utilizzare i tradizionali prestanome, facendo venir meno, almeno in alcune zone, anche questa funzione “sociale”..

Continuo a non capire come sia possibile uscire da una crisi determinata da una mancanza o da un non rispetto delle regole attraverso l’eliminazione delle regole.

 

Franco D’Alfonso

 



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