20 dicembre 2011

MONTI: PRIMUM VIVERE, DEINDE PHILOSOPHARE


Si può pensare al tagliando per Monti, a un solo mese dal suo insediamento? Non si può, si deve. In tempi normali, si attenderebbero almeno i 100 giorni, misura aurea dell’incipit di qualsiasi neodirigente, non importa se aziendale o politico. Ma sono momenti tempestosi, e Monti è stato chiamato al capezzale della Repubblica per azioni emergenziali. Monti è come quel medico di rianimazione nelle cui mani viene messo un infartuato con rischio di vita ad horas, mentre i parenti ormai ne piangono la dipartita. Il suo successo o il suo fallimento si misurano quindi nel brevissimo arco di tempo che serve per restituire alla vita il pur malconcio paziente: primum vivere, deinde philosophare. E quindi, se questo era l’obiettivo assegnato quale giudizio dobbiamo dare?

Come tutti abbiamo imparato, lo spread è l’indicatore sintetico della fiducia degli investitori, cosa che per un grande debitore ha la sua importanza. Nel momento più grave della crisi, aveva superato i 565 punti e stava travolgendo ogni residua barriera e speranza. Oggi si è attestato sui 460/480, dopo essere sceso fino verso 330. Resta elevatissimo, ma è un fatto che il Governo Monti abbia innestato la marcia indietro, pur nell’indurirsi della crisi sistemica, dovuta anche alla visione totemica del debito pubblico della Merkel.

Il malato non è morto e questo era l’obiettivo principale. È sufficiente? Certo che no, ma per guarire bisogna pure che il paziente si ostini prima di tutto a restare in vita. Il merito politico della sopravvivenza, e ahimè anche gli oneri, spettano a chi, pur potendo passare all’incasso del consenso elettorale, ha messo davanti ai suoi interessi particolari quelli generali, ben sapendo che solo su questi poteva ergersi la barriera per difendere il reddito e il risparmio delle classi più deboli e indifese.

È sufficiente lo spread come indicatore per valutare l’azione del Governo Monti? Nelle domande stanno le risposte. Una domanda buona è il presupposto di una buona risposta e così si può dire di quella stupida. Ci dobbiamo allora chiedere cosa sarebbe di noi, e con noi di tutti i giochi e giochetti, i dubbi e le pelosità, se lo spread fosse attorno, come pur poteva essere, a 800 punti. Macerie, panico, distruzione forsennata di risorse, emergenza ingestibile del debito, fuga degli investitori stranieri e dei capitali interni, impoverimento generalizzato, disperazione sociale, tragedia greca. La domanda è buona e così la risposta, ma a patto che alla rianimazione d’emergenza seguano terapie sistematiche che rimuovano le cause dell’infarto. Presupposto essenziale delle terapie è la credibilità istituzionale su scala europea e qui l’indicatore sono i sorrisini complici del duo Merkel Sarkozy: sono spariti e anche qui il risultato è stato raggiunto.

Tutto risolto? Neanche per sogno. Ristabilito un minimo di credibilità e decenza, tocchiamo con mano la natura politica di un Governo che qualcuno si ostina a chiamare Governo Tecnico ma che è politico, come tutti i Governi. In natura non si danno governi tecnici, né tantomeno si può azzardare uno stato di sospensione della democrazia per il fatto che i “governanti” non sono esponenti dei partiti. Con assoluto rigore, il Presidente della Corte Costituzionale, Ugo De Siervo, ha buon gioco nel rintuzzare la sgangherata teoria dei Galli Della Loggia, ricordando semplicemente che un governo che ottenga in Parlamento la fiducia dei rappresentanti del popolo, è un governo pienamente politico, e anzi è la forma più corrispondente al principio della ripartizione dei poteri.

Il profilo politico del Governo Monti si disegna attorno al compromesso tra PD, PDL e UDC, traendo da questo delicatissimo accordo legittimazione e mandato. Al tempo stesso, Monti ha un suo disegno, un suo protagonismo, che si intreccia alle tensioni strutturalmente generate dal compromesso sottostante. Quindi, proprio qui, nella sua genesi, stanno forza e debolezza assieme di un’azione di Governo che intanto si regge in quanto i partiti sappiano trovare l’aleph, il punto magico di una mediazione, immaginabile solo nella pressione tremenda del momento, tra loro e con lo stesso Monti. Abbiamo visto quali tensioni si siano sviluppate attorno alla manovra, dovendo Berlusconi accettare una Patrimoniale di fatto e Bersani un duro colpo alle pensioni. Chiediamoci ora se, e in che modo, si possa pensare di passare a una Fase 2, quando superata la più viva e drammatica emergenza, si deve mettere mano ai nodi strutturali (alcuni almeno) che impediscono la crescita del nostro Paese. Perché qui sta la vera questione, la crescita.

L’Italia ristagna da circa dieci anni e proprio la stagnazione del PIL ha reso indigeribile lo stock di debito agli investitori. Che fare? Monti ha tracciato una visione e una strategia che ho riconosciuto come la Rivoluzione Liberale (meno rendita, più merito) che l’Italia non ha mai saputo fare: un mettere mano alle incrostazioni che formano basi estese di rendita e bloccano il mercato, come ben descritto nelle famose corrispondenze inviateci dalla BCE. Non l’ha ancora messa in pratica? Come chiederlo e come contestarglielo? Se il paziente si dibatte tra spasmi preagonici, difficilmente il medico potrà pensare ad altro che a tenerlo in vita, anche se qualcuno su ArcipelagoMilano 44, si intigna (beato lui che vive su Marte) a dimostrare il contrario.

Ma ora, il tema è sul tavolo: hic Rhodus, hic salta. Le forze politiche del compromesso condividono quella visione, sono disposte a sostenerla? Ne hanno di alternative e praticabili? Si può pensare che formi la cornice del compromesso accettabile con quelle, tra loro opposte, dei partiti? La resistenza di taxisti e farmacisti sarà ben poca cosa rispetto a quelle durissime che verranno, a diverso titolo, dai più disparati strati sociali. Ma poi, in definitiva, è questo il paradigma per la sinistra? O forse è solo quello che si deve pur accettare, date le forze in campo, considerando che gestirlo sia meglio che subirlo? Il profilo tecnocratico di Monti non dovrebbe far velo alla comprensione che la sua visione non è tecnica, ma intimamente politica, nel momento in cui rimanda a una determinata visione sociale degli interessi e dei dinamismi.

Il PD si trova di fronte a una fase delicatissima, chiamato alla responsabilità nazionale dal fallimento berlusconiano, ma costretto ad allearsi con l’Autocrate per la salvezza generale. Tutele del Lavoro, Evasione Fiscale, Liberalizzazioni, ma anche Politiche Sociali, Giovani e Green Economy: questi i punti di riferimento di un’azione che dovrà pur meritarsi il 2013, avendo messo, sia pur minimamente, in sicurezza il malato. Ora, traccheggiare senza incidere, o subire senza capacità di mediazione, sarebbe una prospettiva perdente e devastante. L’art. 18 s’erge come un macigno ingombrante per alcuni, o come una roccia benevola per altri e attorno a esso si gioca l’unità del partito e la sua prospettiva. Saremo capaci di valutare e di decidere, senza spezzarci irrimediabilmente? Potremo pensare alla sua Riforma come tassello del Nuovo Patto Sociale? E prima ancora, è giusto pensarlo? Questa cosa non la possiamo lasciare a Monti, ma dobbiamo pur sapere che ce la chiederà.

 

Giuseppe Ucciero



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