20 dicembre 2011

cinema


 


 

LE IDI DI MARZO

di George Clooney [The Ides of March, Usa, 2011, 101′]

con George Clooney, Ryan Gosling, Paul Giamatti, Philip Seymour Hoffman, Evan Rachel Wood, Marisa Tomei

 

Stephen Myers (Ryan Gosling) é il miglior addetto stampa del paese. È capace come nessun altro di manipolare i mass-media e di galvanizzare i volontari. È il co-timoniere della campagna alle primarie democratiche in Ohio di Mike Morris (George Clooney), il candidato che lo ha assunto. L’ex governatore, un uomo di saldi principi, incarna perfettamente il sogno degli intellettuali liberali americani. Ogni riferimento di Clooney a Obama è certamente voluto.

Le idi di marzo sono il periodo del calendario romano in cui, nel 44 a.C., un gruppo di senatori uccise Giulio Cesare all’interno del senato. La congiura aveva lo scopo di evitare l’accentramento dei poteri nelle mani di un solo uomo. Stephen Myers non uccide il governatore Morris e tanto meno ha paura di una deriva assolutista. È troppo lucido e razionale per una scelta così avventata. Il suo tradimento è, se possibile, ancora più feroce.

Il ricatto al candidato e il relativo licenziamento di Paul Zara causano l’eliminazione dell’unica figura in grado di impersonare la lealtà. Questo valore, già in via di estinzione, è l’unica vittima di questa congiura moderna. Clooney mette così in scena un manifesto del disincanto politico. Ogni aspetto della contesa così come i mezzi adottati dai duellanti deludono moralmente lo spettatore.

La politica è svuotata di tutto ciò che idealmente dovrebbe costituirla. È ridotta a uno scontro animalesco e primitivo tra agguerrite fazioni che si servono della dialettica, della retorica con l’unico scopo di poter attrarre l’elettorato. È uno spettacolo che ha ormai perso il contatto con il popolo che deve rappresentare.

Il giornalismo ne esce altrettanto distrutto. Il monitoraggio sull’operato dei politici, la nota funzione di watch-dog, è stato ormai soppiantato dal mero servilismo. Ida (Marisa Tomei) più che un cane da guardia sembra un barboncino al guinzaglio di Stephen che è in grado di manipolarla a suo piacimento.

Clooney mostrandoci solo sondaggi e lotte per le poltrone vuole lanciare un campanello d’allarme: la politica non riesce più a comprendere i bisogni reali perché è troppo impegnata in estenuanti quanto futili battaglie.

Marco Santarpia

In sala a Milano: Eliseo, Plinius Multisala, Anteo, Apollo, Orfeo, Ducale Multisala, UCI Cinemas Certosa, UCI Cinemas Bicocca, Ducale Multisala

 

 

L’UOMO SENZA PASSATO

di Aki Kaurismaki [Finlandia/Germania/Francia, 2002, 97′]

con Markku Peltola, Kati Outinen

 

Muore dopo pochi minuti M. (Markku Peltola), protagonista di L’uomo senza passato [Finlandia/ Germania/Francia, 2002, 97′] di Aki Kaurismaki. Picchiato a morte alla stazione di Helsinki non ha più alcuna possibilità di riaprire gli occhi. «Non c’è alcun avvenire in questo mondo», dice Kaurismaki in un’intervista di qualche anno fa. Il regista rispecchia il suo pessimismo facendo cadere il suo personaggio in un’immediata morte clinica; siamo nella realtà: fredda, tagliente.

Poi, arriva il cinema. M. si alza improvvisamente dal lettino dell’ospedale, pronto a vivere una fiaba che crei con verosimiglianza un mondo altro. «Ero su un treno», è l’unico ricordo del protagonista; non c’è altro nella sua passata realtà. Niente nome, niente memorie. M. è un foglio bianco deciso ad accogliere esperienze e storie, è un “personaggio in cerca d’autore”. Kaurismaki prende la matita e – come un deus – traccia un percorso che promette rinascita.

La strada di M. riparte dalla Finlandia “invisibile” di chi vive al margine: una società a due velocità, dove i poveri stanno con i poveri e i ricchi non si accorgono di nulla. Ma nella miseria, giorno dopo giorno, ci si dimena per coltivare la propria dignità. Come in Nuvole in viaggio [Kaurismaki, 1996], il regista si infila nelle storie di uomini e donne che affrontano “il vivere”: chi con speranza, chi con rassegnazione.

La seconda possibilità per M. è concessa da Kaurismaki attraverso la narrazione del cinema. E lo sguardo, pur scendendo negli inferi della società, è ironico e incantato. Il film non si fa tiranneggiare da un banale intento sociologico, e non scivola in una tragedia piagnucolosa. Al contrario, la favola raccontata da Kaurismaki è delicata: vive di lunghi silenzi e divertenti dialoghi.

Era morto dopo pochi minuti M., l’uomo senza passato. Ma i suoi occhi, forse, non si sono mai chiusi. A morire è stata la sua storia passata, la sua esperienza di quella realtà appena accennata da Kaurismaki. Il resto è cinema.

Paolo Schipani

In sala: Spazio Oberdan – 22 dicembre – 21.15

 

 

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Schipani e Marco Santarpia

rubriche@rcipelagomilano.org

 



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