6 dicembre 2011

MILANO E IL DON GIOVANNI


È vero che tutti gli anni l’inaugurazione della stagione lirica della Scala rappresenta un evento e che la città – un anno di più, un anno di meno – se ne fa sempre coinvolgere. Ma tanto interesse come quest’anno non si era mai visto: sarà perché Lissner è sempre più apprezzato dai milanesi che gli sono grati per aver restituito onore e prestigio al Teatro; sarà perché Barenboim, a prescindere dalle sue doti di musicista, è diventato un personaggio popolare grazie a quell’aria da gattone e alle sue comparsate televisive; ma soprattutto la straordinaria eccitazione di questi giorni credo dipenda in massima parte dal legame che tutti sentiamo con quest’opera di Mozart e – dobbiamo dirlo – di Lorenzo da Ponte.

Una volta ci si appassionava alla “prima” per i grandi cantanti – qualcuno non più giovane ricorderà le follie per la Callas – o per i direttori mitici come Böhm, Kleiber, Abbado, o anche semplicemente per l’arcinota eleganza della serata e per i personaggi che vi partecipavano, capi di stato, attori, grandi industriali, intellettuali, o anche per le signore famose solo per le loro mises.

Anche stasera non mancheranno spettatori illustri e amati, come Napolitano (sicuramente) e Monti (amato? chissà …), e che fortunatamente mancheranno quegli impresentabili ministri che l’affollavano negli anni scorsi, ma è anche vero che i cantanti – pur bravi e famosi – non sono di quelli che muovono le folle e che il direttore, pur avendo come si è detto molto appeal, non ha (è uno dei suoi pregi) il fascino e l’aura del Grande Maestro.

Questa volta si capisce che è proprio lui, il Don Giovanni, il “dissoluto punito” di cui non si sa mai se ci affascina di più la dissoluzione o la punizione; sono quelle arie che ormai canticchiano tutti come le canzoni dei Beatles o quelle di Battisti (perdonate il paragone blasfemo ma stiamo parlando di notorietà popolare); sono questi gli ingredienti dell’emozione collettiva.

Don Giovanni è un’opera magica, è quel “dramma giocoso” (già questa definizione, originale mozartiana, la dice lunga sulla modernità e sulla capacità di presa sul pubblico) di cui tutti capiamo il senso di ogni parola e di ogni nota, in cui riconosciamo le nostre contraddizioni, le nostre passioni, le nostre difficoltà. Quelle tre straordinarie donne – Elvira, Anna e Zerlina – tanto diverse fra loro eppure tutte e tre prese nella stessa rete … quante ne conosciamo come loro, e come ci è facile capirle. E quell’incredibile Leporello, che Da Ponte disegna pensando all’Arlecchino di Goldoni, visto a Venezia quand’era ancora ragazzo, e tolto al destino di maschera per trasformarlo in una sorta di filosofo popolare. E lui, il grande Dissoluto che sappiamo bene essere un pezzo di tutti noi. Insomma Don Giovanni è per antonomasia la nostra opera, un’opera tanto italiana da farci sentire assolti dai nostri peccati e tanto universale da farci sentire cittadini del mondo.

Così si capisce perché la città si riempie della musica di Mozart, perché sembra di sentirla ovunque, perché ci vien voglia di mettere una parrucca bianca, come al carnevale veneziano, e di riconoscerci sul palcoscenico di una storia che ci racconta e ci accompagna.

Non ripetiamo ciò che tutti i giornali hanno scritto circa le infinite manifestazioni che in questi giorni fanno riferimento, spiegano, ricordano, ammiccano al Don Giovanni; ne segnaliamo una per tutte. Venerdì 16 dicembre dalle 20 alle 24, nella Caserma Magenta di via Mascheroni, vi sarà una non-stop di solo pianoforte con 30 pianisti che si alterneranno su 8 pianoforti dislocati in vari punti della caserma eseguendo brani tratti o ispirati al Don Giovanni! E ricordiamo anche la grande quantità di riprese in diretta dello spettacolo, non solo a Milano ma in tutt’Italia e nel mondo (finalmente una cosa di cui possiamo andare orgogliosi). Ascolteremo Mozart nelle strade, nei cinema e nei teatri, nelle scuole, perfino nelle carceri di San Vittore.

E non si dica che Lissner è francese, che Barenboim è argentino o israeliano, il regista è canadese, lo scenografo, il costumista e i cantanti sono di ogni dove: è la Scala, è questo teatro, questo pubblico, questa città che riescono a mettere insieme il tutto e a provocare quell’esplosione di sentimenti e di emozioni che è l’essenza dell’opera lirica. E questo è anche uno degli aspetti meno conosciuti e ancor meno celebrati di Milano, la sua capacità di partecipare e di lasciarsi coinvolgere dai grandi eventi culturali, di entusiasmarsi e di mobilitarsi per le feste dell’arte senza puzze sotto il naso e senza se e senza ma, con la gioia primordiale di sentirsi una comunità nelle occasioni che lo meritano.

 

Paolo Viola

 



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