15 novembre 2011

cinema


 


 

ONE DAY

di Lone Scherfig [Usa, 2011, 107′]

con Anne Hathaway, Jim Sturgess, Patricia Clarkson, Romola Garai.

Il 15 luglio 1988 Emma (Anne Hathaway) e Dexter (Jim Sturgess) passano insieme la notte dei festeggiamenti per la laurea. È una notte speciale, la prima passata insieme. Una data qualsiasi per chiunque altro diventa qualcosa di diverso per i due protagonisti dell’ultimo film di Lone Scherfig, tratto dall’omonimo romanzo di David Nicholls, anche autore della sceneggiatura. Questa istantanea viene scattata dal regista ogni anno, il 15 luglio, per immortalare le metamorfosi di un amore che, per buona parte del film, si traveste da amicizia.

Emma è una ragazza semplice, nessun appoggio alle spalle, con ambizioni di poeta e scrittrice da realizzare solo con le proprie forze. La vediamo rassegnata mentre serve ai tavoli di un ristorante messicano, triste e abitudinaria da insegnante vincolata a una relazione e convivenza che non la soddisfano. Dexter è il suo opposto, vive facilmente la propria vita agiata ricca di successi professionali e personali. In questo essere così diversi trovano la loro complementarietà.

Il riprendere l’evoluzione della relazione lo stesso giorno di ogni anno aiuta i protagonisti a mostrarci il meglio del loro repertorio espressivo. Questo stratagemma narrativo permette alla regista danese di raccontarci vent’anni di impetuoso, scostante e burrascoso rapporto senza annoiare. Il tentativo di proporre un’alternativa ai clichet del genere è palese di fronte allo sforzo di non ricorrere ai dialoghi melensi e ai luoghi comuni arcinoti delle storie d’amore cinematografiche.

Lo spettatore, però, in questo continuo e rapido mutamento di situazioni e stati d’animo, non trova spazio nell’universo a due di Emma e Dexter. La profondità della loro complessa relazione viene spesso tralasciata a favore di un ritmo incalzante, togliendo così spazio ai dettagli e alle sfumature. Per raccontarci un sentimento così intenso e dirompente forse un giorno è troppo poco.

Marco Santarpia

In sala a Milano: Eliseo Multisala, The Space Milano Odeon, UCI Cinemas Bicocca, Gloria Multisala.

 

 

COLAZIONE DA TIFFANY

di Blake Edwards [Breakfast at Tiffany’s, USA, 1961, 110′]

con: Audrey Hepburn, George Peppard, Patricia Neal, Buddy Ebsen, Martin Balsam, Mickey Rooney

«Non ti accorgi che l’amore è l’unico modo per essere felici?!», rimprovera Paul Vorjak (George Peppard) alla stravagante Holly Golightly (Audrey Hepburn). Paul si definisce uno «scrittore, più o meno», e si è appena trasferito nella stessa palazzina newyorkese dove abita Holly. Impossibile rimanere indifferente a quella ragazza bella, snella, con viso candido e due occhi che tolgono il fiato; impossibile per Paul – che inizia a frequentarla in amicizia – ma altrettanto impossibile per noi, che ci incantiamo davanti all’eleganza di Audry Hepburn, cadendo in una sorta di venerazione.

Blake Edwards prende il romanzo di Truman Capote e ne fa una commedia divertente che, a distanza di cinquant’anni, è poco definire senza tempo. Colazione da Tiffany [USA, 1961, 110′] è una storia d’amore, una commedia sentimentale che grazie alla sceneggiatura di George Axelrod si allontana dal romanzo di Capote per farsi fiaba.

Protagonista è Holly, appunto. Fanciulla dal passato incerto che ha scelto di vivere nella frenesia di New York, dimenticando le preoccupazioni, nascondendo le insicurezze. Pare non voglia far trasparire debolezza alcuna, salvo qualche «paturnia» (come le definisce lei) facilmente placata con i suoi giri mattutini da Tiffany: «non ti può capitare niente di brutto là dentro», dice. Il suo obiettivo – perché di un obiettivo si tratta e non di un sogno – è sposare un milionario. Nel frattempo, vive nel simpatico disordine di casa sua in compagnia di un gatto senza nome. Questa è Holly: «spirito libero, essere selvaggio».

Sulla sua strada si butta Paul che dinnanzi a quello splendido turbine indomabile non può far altro che innamorarsi. Ma lei ne è certa: «non permetterò a nessuno di mettermi in gabbia», sentenzia.

Edwards racconta tutto questo attraverso una commedia brillante, e gira alcune sequenze entrate nella storia del cinema. Come non riconoscere la sua firma durante la festa in casa di Holly, come non innamorarsi di Audrey mentre canta Moon River (Henry Mancini, 1961) seduta sul davanzale della sua finestra. Moon River e la colona sonora originale di Henry Mancini vinceranno l’Oscar.

Proprio su queste note, alla fine, Holly scende dal tassì e corre. Rincorre Paul bagnata dalla pioggia, e lo bacia. Noi ci emozioniamo, palpitiamo. Holly si è resa conto che l’amore è l’unico modo per essere felici e guardandola, almeno per un momento, anche noi – sinceramente – ci crediamo.

Paolo Schipani

In sala: Anteo Spazio Cinema proietterà la versione restaurata in digitale mercoledì 16 novembre alle ore: 12.50/15.00/17.20/19.40/21.50.

 

 

questa rubrica è cura di Paolo Schipani e Marco Santarpia

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



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