4 ottobre 2011

MUSEI MILANESI: MA CHE SENSO HANNO


Sono grata a Paolo Biscottini di avere sollevato il tema del futuro dei musei. Perchè voglio credere che un futuro ci sarà. E sarà migliore del presente e del recente passato se si avrà la capacità di affrontare in tutte le loro ramificazioni le cause che sostengono la crisi attuale andando oltre il facile slogan “lasciamo fare ai privati” . I quali sono certo benvenuti, ma, per esempio, vorranno farsi avanti solo se ci sarà uno spazio per accoglierli: è difficile lavorare con enti che non hanno autonomia amministrativa, non funzionano con modalità nemmeno lontanamente paragonabili a un consiglio di amministrazione, non possono pianificare le entrate e programmare di conseguenza tanto l’ordinario che le attività straordinarie o quelle a lungo termine, con trasparenza e chiarezza di obiettivi. Sono condizioni tutte da creare e non sarà né immediato né semplice.

Ma anche un massiccio intervento privato non cambierebbe le prospettive di vita dei musei. Il turismo di massa, le grandi mostre, le campagne promozionali massicce anche del Mibac (Ministero Beni Artistici Culturali) non hanno fatto loro bene. Nel senso che, i dati di afflusso lo dicono chiaramente, non han fatto crescere la voglia di visitarli. Non hanno alimentato la consapevolezza del loro valore e della loro potenzialità per l’arricchimento di ciascuno. Devo dire che non mi stupisco. Non è piacevole accalcarsi per pochi secondi davanti a un’opera per essere poi subito sospinti oltre. Senza poter vedere davvero. Senza poter capire. Senza potersi emozionare. Molto meglio un pezzo di sbrisolona in una caffetteria ben fornita.

Non possiamo nemmeno nasconderci che molte volte lo sponsor ha atteggiamenti insieme ambigui e cauti. Sostiene eventi solo se producono code e bagni di folla, ma per sé vuole la visita a porte chiuse: la tentazione aristocratica dell’arte come fiore all’occhiello o sacro sigillo per pochi incombe ancora, intatta, su tutti noi. E i bagni di folla ci sono soltanto per pochi temi o nomi collaudati che si sa già a priori ‘funzioneranno’, Leonardo, Caravaggio, gli Impressionisti, qualche maestro del Novecento. Non credere nella ricchezza e nell’appeal dell’intera vicenda artistica porta a non rischiare.

Il nodo allora è soprattutto culturale. Non è solo questione di danari e impedimenti ma di conoscenza vera, di riflessione sui contenuti e i fini. I musei si riempiranno se non saranno muti, omologati o solo contenitori di lusso per riti sociali esclusivi. Non saranno muti se ci si sforzerà di studiare un insieme di politiche che devono andare dal banale incentivo a una frequentazione costante (abbonamenti, fasce orarie a ingresso ridotto, occasioni sistematiche di gratuità), al miglioramento dell’accessibilità culturale (spiegazioni e facilitazioni alla visita), alla ricerca di linguaggi attuali per raccontare discipline, oggetti e valori difficili, spesso specialistici ma affascinanti e altrove introvabili. Per esempio, pochi altri luoghi possono essere, come i musei, autentiche palestre per imparare a districare la matassa degli intrecci culturali a partire da oggetti concreti. E sappiamo tutti quanto l’educazione alla complessità sia cruciale oggi, e soprattutto per una città come Milano.

Sarà un percorso arduo, costoso forse e certo lungo, che non vuole “supplenze” ma imporrà il dialogo paritario tra specialisti diversi (della cultura, della tutela, della gestione, della comunicazione), che chiederà in primo luogo di interrogarsi sul senso che possono avere oggi i musei e quale sia il modo migliore per trasmetterlo. Magari – perché no- finendo per mutare radicalmente la forma del museo quale la conosciamo. Messa in questi termini non è una resa a ma una sfida appassionante.

 

Emanuela Daffra*

*Direttore Servizi Educativi Pinacoteca di Brera



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