27 settembre 2011

CHIOSCHI, ORDINE E DISCIPLINA


Guardo la foto di una fontana pubblica del XVIII secolo eretta nella città di Istanbul; e noto con ammirazione l’eleganza della struttura, la finezza dei dettagli. Guardo il chiosco dei giornali sotto la mia finestra; e osservo con indignazione la goffa forma della struttura, la totale incuria dei dettagli. Perché un tempo si sapeva offrire ai cittadini un’opera dignitosa, decente, gradevole, mentre oggi si tollerano negli spazi pubblici oggetti di arredo urbano così vergognosamente indegni, indecorosi, offensivi?

Le domande assumono un significato ancora più allarmante se si pensa che la fontana pubblica è nata in un’epoca feudale e illiberale: l’epoca dispotica del Sultano; mentre il chiosco dei giornali viene eretto in un’epoca di democrazia e di libertà, l’epoca dello stato di diritto. E’ paradossale constatare che da parte di un principe assoluto vi è molto maggiore interessamento e più attenta sollecitudine per il bene del popolo, di quanta non ve ne sia da parte di una Amministrazione eletta dagli stessi cittadini. Tuttavia la causa di tanto degrado più che cercarla negli Amministratori bisogna attribuirla ai cittadini stessi. E non soltanto perché sono incapaci di eleggere Amministratori degni e preparati, ma anche perché sono disposti ad accettare, senza proteste né sdegno, le decisioni di quegli stessi Amministratori, anche se prese in offesa al comune buon senso, in spregio al più elementare gusto estetico.

Una offesa al comune buon senso può considerarsi l’uscita dall’autoparcheggio interrato di via Mascagni: il box dell’uscita va condannato due volte: anzitutto per la sciatta e avvilente banalità del suo aspetto; in secondo luogo per la sua irrazionale ed errata collocazione. L’uscita infatti è così strettamente addossata al muro della vicina casa, da non consentire ai pedoni che uno stretto e tortuoso passaggio, dove due persone non possono passare contemporaneamente, e una sola può camminare solo a fatica. Eppure il marciapiede su cui è collocata l’uscita non fiancheggia una sconosciuta strada di periferia, ma una arteria importante del cuore cittadino, proveniente dalla centralissima piazza San Babila, e diretta verso il frequentatissimo viale Bianca Maria. Quando vi è ottusità e sciattoneria nello studio delle funzioni pratiche, compare anche incapacità e deficienza nella progettazione delle forme estetiche. L’uscita dal parcheggio è un grosso scatolone di vetro e metallo, privo di grazia e di eleganza; cosicché, oltre a essere un ostacolo alla deambulazione, è anche un insulto all’ambiente urbano, una ferita nel panorama della città.

Né ci può consolare pensando che esso sia un infelice esemplare solitario, una sfortunata eccezione. Altri numerosi chioschi distribuiti nelle vie della città, hanno un aspetto deplorevole e desolante. Tutti diversi l’uno dall’altro, tutti scadenti l’uno più dell’altro. La diversità generalizzata e la qualità scadente creano confusione, disordine, disorientamento; suscitano fastidio, irritazione, sdegno. Esiste un Assessore all’Arredo Urbano; esiste una Commissione Edilizia a tutela del decoro cittadino; esiste un Ufficio Responsabile dell’Urbanistica: eppure tutti questi organi sembrano disinteressati e indifferenti di fronte alla pessima qualità delle opere da loro autorizzate. Milano ha una tradizione di disegno industriale invidiata da tutto il mondo; ha saputo creare oggetti ammirati, premiati ed esposti nei migliori musei d’arte applicata. E’ sorprendente e inaudito che l’Ente pubblico non senta il desiderio di rivolgersi a tanti eccellenti professionisti; che non avverta il vantaggio di poter ricorrere a un apporto creativo tanto eccezionale.

In generale sono gli uffici tecnici delle ditte produttrici a progettare i deplorevoli chioschi sparpagliati per la città. La loro preoccupazione è una sola: far costare i chioschi quanto meno possibile e venderne il maggior numero possibile. A chi, sensatamente, obietta che non si possono ottenere buoni risultati abbassando i costi di costruzione, occorre ricordare che nemmeno si possono ottenere buoni risultati comprimendo i costi di progettazione. Non è possibile produrre un oggetto di valore, una costruzione di eccellenza, un’opera di qualità; non è possibile creare una forma riuscita e compiuta, trascurando accurati studi preparatori, rinunciando a ripetute stesure di disegni; accantonando prove, varianti, campionature. Per ridurre il costo della costruzione, occorre aumentare il costo della progettazione; occorre essere consapevoli dell’impegno, del sacrificio, della fatica richiesti nella fase di progetto.

Chi oggi è disposto a sobbarcarsi una simile fatica? Certo non gli agnostici uffici tecnici delle ditte produttrici; né gli indifferenti disegnatori da quelle ditte incaricati. Se la politica della Amministrazione Comunale è volta a ottenere risultati soddisfacenti e adottare opere che non sfigurano il volto della città, sarebbe opportuno creare un organo apposito che si rivolga a professionisti di valore, li indirizzi verso obiettivi attentamente valutati; li controlli pazientemente nell’iter progettuale; dia a loro la certezza di vedere realizzati i disegni faticosamente prodotti.

L’organo deputato alla tutela del decoro urbano, la Commissione Edilizia, esercita un controllo “a valle”; esprime il suo assenso o dissenso a opere ultimate. Essa esamina quanto le viene offerto da ditte private; e sceglie fra quanto le viene presentato a processo di fabbricazione concluso. Sulla genesi, sullo sviluppo, sul perfezionamento dell’opera durante il corso della sua creazione, la Commissione non interviene e non si esprime. Sarebbe auspicabile introdurre una innovazione radicale, e affiancare alla Commissione Edilizia – oggi organo giudicante con il solo compito di approvare o di respingere – una Commissione parallela, un organo promotore, con la funzione di proporre, di stimolare, di guidare.

A questa nuova Commissione si dovrebbe affidare il compito di stendere un piano che unifichi e coordini le varie iniziative, oggi disordinate e scoordinate; e che metta in atto un programma di alleggerimento, di sfoltimento, di semplificazione della miriade di oggetti da cui è inquinato il panorama cittadino odierno. Le uscite dai parcheggi, così dissimili e incoerenti fra loro, sono un esempio lampante della confusione e dell’anarchia che avviliscono l’attuale arredo degli spazi urbani.

Avere all’interno della città pochi tipi di arredo, coordinati e unificati; pochi modelli simili, tutti nati da una medesimo disegno progettuale, sarebbe un segno non di monotonia, come erroneamente viene creduto, ma un indice di ordine, di pulizia, di chiarezza. Quanto detto per le uscite dai parcheggi vale anche per lampioni, panchine, insegne stradali, cestini di rifiuti; e per tutti gli oggetti che si moltiplicano nella città, sempre più scadenti e sempre meno unificati. Oggi il compito di promuovere e dirigere l’estetica dell’arredo urbano non è affidato a nessun organo comunale; a nessun responsabile ultimo dell’aspetto visibile che si vuole dare all’ambiente in cui viviamo. Suggeriamo alla nuova Amministrazione di affrontare il problema con determinazione e urgenza: non è un problema di importanza secondaria.

 

Jacopo Gardella

 

 

Foto 1 – Fontana pubblica a Istanbul (sec. XVIII) Foto 2 – Uscita di parcheggio in Piazza Meda a Milano (sec XXI).

 

Il confronto fra questi due elementi di arredo urbano rivela l’enorme salto di qualità fra l’uno e l’altro, fra l’antica fontana e la moderna uscita dal parcheggio. Nel chiosco della fontana (Foto 1) si vedono coincidere razionalità pratica e valore estetico: la gronda della copertura molto sporgente ha una precisa funzione pratica: offrire una zona d’ombra a chi è fermo ad attingere l’acqua. E ha un chiaro valore estetico: chiudere con un maestoso cappello l’aereo portico sottostante. Le sottili colonne in granito hanno una funzione pratica: non ostacolare chi entra ed esce dal portico; e hanno un valore estetico: contrapporre un esile sostegno alla pesante calotta sostenuta dagli archi.

L’ottuso scatolone di vetro all’uscita dal parcheggio di Piazza Meda (Foto 2) non ha né funzione pratica né valore estetico. Non hanno funzione pratica i grandi cristalli bruniti, eccessiva sorgente di luce in una zona di transito affrettato. Non hanno valore estetico le lisce pareti trasparenti, appropriate per vasche di un acquario o per vetrine di un negozio, ma del tutto ingiustificate in un banale locale di passaggio.

Nella fontana di Istanbul, le due cornici decorate, rispettivamente sotto la sporgenza di gronda, e al di sopra degli archi del portico, creano una continuità visiva che unifica l’intero volume della fontana. Nell’uscita dal parcheggio, la debole fascia di metallo che corre alla sommità delle pareti trasparenti non funge da forte chiusura dell’intero volume, ma appare soltanto una pleonastica e inutile aggiunta. Nella fontana una elegante cupola, sormontata da una freccia, conclude e abbellisce la copertura; nell’uscita dal parcheggio una goffa cassa di ventilazione, in posizione casuale e decentrata, deturpa e avvilisce il tetto del volume.

 

via Mascagni             piazza Cardinal Ferrari

 

Le uscite dai parcheggi, e i chioschi dei giornali sono esempi palesemente dissimili per dimensione, profilo, dettagli, materiali; ma tutti simili per una stessa avvilente mancanza di qualità.

 

 

Foto 5 – Chiosco a Roma

E’ merito della Amministrazione Capitolina sia l’aver adottato un unico tipo di chiosco, e averlo ripetuto in tutta la città, sia l’aver scelto un disegno unificato, semplice e rispettoso della tradizione.

 



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