13 settembre 2011

L’ISLAM E LA PAURA DELLE MOSCHEE


In Europa, di fronte alle insicurezze sociali, ai rischi per il benessere causati dalla crisi di un modello di sviluppo, molti cittadini vivono preoccupazioni e paure. L’immigrazione musulmana costituisce, nella maggior parte dei casi, il cuore del disagio. Si è di fronte a milioni di persone, che prima non vivevano tra noi: hanno abitudini diverse dalle nostre, altre concezioni di vita, di cultura, una differente religione. Ma tra di essi, una minoranza estrema pratica con assiduità il culto. Ancor meno numerosi sono i fondamentalisti e, tra questi, quelli disponibili al terrorismo. Di fronte alla violenza, quella maggioranza che non la pratica, resta però talvolta inerte e silenziosa.

Ciò che è diffuso e radicato è un’orgogliosa rivendicazione di alterità rispetto all’Occidente. È dunque reale il grido di allarme, lanciato dall’estrema destra, sul pericolo di una Eurabia prossima ventura? È alle porte l’islamizzazione del continente? L’estrema destra cavalca e dilata le paure, tanto più dentro la crisi profonda che colpisce l’Europa, e le strumentalizza per immediati fini elettorali. Lasciare spazio a queste tesi significherebbe preparare per il nostro continente un futuro di declino nel mondo contemporaneo e regimi di “apartheid” all’interno dei nostri Stati: una miscela esplosiva! Cos’altro sarebbe avere milioni di persone, inserite – senza le dovute tutele – nel mondo del lavoro, e private di fondamentali aspetti della cittadinanza moderna, quali l’accesso alla nazionalità o al voto?

È importante discutere, confrontarsi in modo aperto, non ignorare aspetti che formano gli orientamenti dei cittadini, ignorandoli o sottovalutandoli: se la destra ha impostazioni che sono di regresso democratico, la sinistra oscilla tra buoni propostiti, incertezze di comportamento, acriticità che fanno smarrire l’individuazione di percorsi concreti e degli strumenti necessari per attuarli. Aggiungiamo che noi non conosciamo l’Islam e che i nostri nuovi connazionali conoscono poco noi.

Dunque, a mio avviso non esiste un progetto, una congiura, una possibilità di “arabizzare” l’Europa. Esiste invece, nell’incontro tra l’Europa e i cittadini di fede musulmana, il germe di un cambiamento profondo dell’Islam, così come già è avvenuto nel corso dei secoli per le altre grandi religioni presenti nel continente.

Un grande compito spetta alla politica: alla sua capacità di integrare i cittadini, sviluppando politiche di inclusione, garantendo a ognuno i diritti, pretendendo da tutti il rispetto dei doveri, assicurando la libertà e il pluralismo religioso e culturale, imponendo il rispetto nel confronto-dialogo tra le diverse concezioni. Se non si costruisce una convivenza tra vecchi e nuovi europei, fallisce non solo la politica, ma anche l’incontro tra le religioni. In Europa, Cristianesimo, Ebraismo, Islam possono contribuire a realizzare una società, che, per le soluzioni di integrazione e pluralismo realizzate, diventi un esempio in grado di contagiare positivamente il mondo. È la sfida alla quale dobbiamo saper rispondere: la nostra sfida.

Guardando all’Italia, si assiste a fenomeni contraddittori: rifiuti pregiudiziali, mossi da calcolo politico contingente, da parte della Lega Nord e di forze di estrema destra; acritica accettazione di ogni proposta di nuova moschea da parte di settori della sinistra politica. I Comuni stanno assumendo un ruolo di protagonisti assoluti e solitari: le moschee vengono autorizzate solamente attraverso le valutazioni di ordine territoriale e urbanistico. Lo Stato centrale, che in questo caso dovrebbe avere un compito fondamentale, è invece latitante, incapace d’impostare una politica che fissi le regole del pluralismo religioso.

Le moschee non sono e non possono essere soltanto un luogo fisico: sono anche una sede di incontro e di preghiera. Oggi, la loro natura è spesso determinata dagli imam che orientano con i loro discorsi. A mio avviso invece, gli imam devono essere cittadini italiani. Nelle moschee si deve parlare la lingua del paese nel quale sorgono. Deve essere evitato che gli imam siano formati, selezionati, e inviati dai paesi arabi o islamici: negli ultimi anni essi vengono prevalentemente dall’Arabia Saudita o dalle organizzazioni del fondamentalismo islamico.

In Italia e in Europa abbiamo bisogno di formare dei cittadini nuovi, in grado di far vivere nella società il pluralismo culturale e religioso. Sono convinto che la strada giusta sia quella di prevedere nella scuola pubblica lo studio delle religioni, come normale materia inserita stabilmente nei programmi. La classica ora di insegnamento religioso di tipo confessionale dovrebbe svolgersi altrove – nelle parrocchie, nelle moschee, nelle sinagoghe – o sempre nelle scuole ma al di fuori dell’orario scolastico obbligatorio.

Analogamente ritengo che sia giusto reintrodurre nelle nostre Università lo studio della teologia. Questa differenziazione tra storia e cultura delle religioni, come materia di studio obbligatorio, e insegnamento religioso facoltativo, organizzato dalle singole confessioni, a me sembra fondamentale. Nel perseguire l’obiettivo di “italianizzare” la figura dell’imam, anche la proposta di creare una scuola islamica, in cui insegnare il Corano in lingua italiana, è una proposta coerente con una visione di integrazione inclusiva. Non esiste un’alternativa valida a politiche di inclusione e di integrazione.

Vannino Chiti*

http://www.vanninochiti.com

*vice presidente del Senato



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