13 settembre 2011

PARITÀ: FARE A PUGNI?


Avete voluto la parità dei diritti. Avete cominciato a scimmiottare l’uomo. Voi portavate la veste, perché avete voluto mettere i pantaloni? Avete cominciato con il dire: abbiamo parità di diritto e perché io alle nove di sera debbo stare a casa, mentre mio marito, il mio fidanzato, mio cugino, mio fratello, mio nonno mio bisnonno vanno in giro? Vi siete messe voi in questa situazione. E allora ognuno purtroppo raccoglie i frutti che ha seminato. Se questa ragazza fosse stata a casa, se l’avessero tenuta presso il caminetto, non si sarebbe verificato niente“. La citazione è tratta dalla arringa dell’avvocato Angelo Palmieri difensore di uno dei quattro stupratori di una ragazza di diciotto anni intrappolata nella casa di uno di loro con la scusa di una proposta di lavoro. L’arringa risale al 1979 ed è tratta dal noto e drammatico documentario “Processo per stupro”.

Forse non è ozioso ricordare che il 90% della violenza sulle donne è di origine “domestica” cioè causata dal marito, compagno, fidanzato o convivente. Ma il punto è un altro: la settimana scorsa a Milano un uomo, urlando verso una ragazza “fai l’uomo? e allora le prendi“, ha preso a pugni fratturandole il setto nasale una ragazza omosessuale che era al ristorante con la sua compagna. La sua colpa essersi scambiata fotografie ed effusioni prima di essere aggredita e mandata all’ospedale dall’energumeno calvo e tatuato del tavolo accanto.

E il punto non è nemmeno solo l’omofobia. Lo dico senza tema di equivoco avendo difeso alla Corte Costituzionale il matrimonio same sex che ha portato alla sentenza di riconoscimento della pari dignità “tra coppie coniugate e coppie omosessuali e al diritto fondamentale di vivere una condizione di coppia ottenendone, nei tempi e nei modi stabiliti dalla legge, il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri“, riconoscimento giuridico che non essendo intervenuto in sede legislativa è ora divenuto oggetto di una ulteriore azione giudiziaria in sede sovranazionale alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo.

Il punto a mio parere è che affermazioni del tipo: “fai l’uomo? e allora le prendi“, oppure “hai voluto la parità? ben ti sta, ti sei messa tu in questa situazione” sono in primo luogo, vergognosamente passate sotto silenzio nei giornali e nei media depositandosi nel senso comune senza suscitare commenti, riflessioni, prese di posizione. Nessuno si è indignato disvelando la pericolosità, prima che la misoginia, e le conseguenze culturali di questi comportamenti. In secondo luogo, mettono al centro e fanno divenire pietra di paragone un genere, quello maschile, trasformando nella parità con l’uomo ciò che invece attiene alla parità di trattamento tra donne e uomini, il valore della differenza insieme alla eguaglianza di opportunità per entrambi i generi.

In terzo luogo, pongono una equivalenza tra parità e mascolinità e spingono l’identità e il comportamento di uomini e donne ad allinearsi – ed eguagliarsi solo – sulla linea della violenza. Il ragionamento, se così si può dire, nella sua semplicità è brutale e greve: “Vuoi essere pari a me? Bene e allora devi essere violenta come me. Se non lo sei non ti riconosco dignità e non ti rispetto“. E’ evidente che si tratta di un modello culturale dove il confronto tra i generi parla solo la lingua della violenza e comporta uno stile di vita dove non c’è, né per le donne né per gli uomini una trasformazione personale, ma ambiti e luoghi – una villa, un ristorante, un grande magazzino o un ufficio – che si possono trasformare in un ring o nello scenario di una sfida all’OK Corral e dove i diritti si trasformano in botte e violenza per chi non sta e non vuole più tornare a stare accanto al caminetto.
Non contrastare queste affermazioni, farle passare sotto silenzio senza indignarsi, significa accettarle, consentire che si diffondano e producano altra violenza. E’ questo quello che vogliamo?

 

Ileana Alesso

 



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