6 settembre 2011

musica


FESTIVAL D’ESTATE

La qualità dei festival estivi migliora di anno in anno in modo impressionante; anni fa si favoleggiava solo di Bayreuth e di Glyndebourne, poi ci fu Salisburgo, ora non si contano più e possiamo dire che le stagioni musicali – quelle invernali nelle grandi città e quelle estive nei borghi e nelle città minori – si susseguono una dopo l’altra e quasi si equivalgono per raffinatezza e autorevolezza. I grandi interpreti, complici anche la crescita dei paesi australi e la crisi che ha ridotto cartelloni e cachet, non hanno più requie e sono costretti a correre tutto l’anno da una parte all’altra del pianeta.

Buon ultima è arrivata Milano che in associazione con Torino ha incuneato questo MiTo tardo-estivo o pre-autunnale che, con la pretesa di offrire di tutto, si presenta molto dispersivo e forse non brilla per raffinatezza e autorevolezza, ma riesce a mettere a segno alcuni éxploit di cui va giustamente fiero, come l’apertura scaligera di domenica scorsa affidata a Barenboim ed esaurita da tempo.

Tornando ai festival estivi di eccellenza, in questi ultimi anni la palma della qualità musicale – e per certi versi potremmo dire anche ambientale, non foss’altro che per la strepitosa sala disegnata da Jean Nouvel e poeticamente affacciata sul lago – debba essere assegnata a Lucerna dove impera, senza sovrastare né tiranneggiare, Claudio Abbado. Il quale, la sera del 10 agosto, ha inaugurato il festival con un concerto di cui hanno già ampiamente riferito i critici musicali dei maggiori quotidiani europei; per cercare di carpire qualche segreto di ciò che già si intuiva sarebbe stato un evento straordinario, abbiamo voluto assistere alla prova generale che si è svolta, generosamente aperta al pubblico, la sera precedente. Non ce ne siamo pentiti perché l’atmosfera era assolutamente magica.

Il programma prevedeva il primo Concerto per pianoforte e orchestra in re minore di Brahms, il Preludio del primo atto del Lohengrin e l’Adagio della incompiuta decima Sinfonia di Mahler. Al pianoforte doveva sedere la bella Hélène Grimaud, che ha rinunciato all’ultima ora per “divergenze artistiche” con il direttore, e già qui dobbiamo osservare che normalmente – in casi come questo, tutt’altro che rari – se non si è veri e seri musicisti si va avanti lo stesso con le prove e l’esecuzione cercando di scaricare l’un l’altro la responsabilità del risultato inevitabilmente mediocre (a danno ovviamente degli ascoltatori). Qui invece, al posto della Grimaud, è comparso il grande Radu Lupu che di Brahms, oltre a essere magnifico interprete, sembra un sosia: seduto su una poltroncina in maniche di camicia (la giacca di velluto appoggiata sullo schienale) e visto di profilo con la sua barba grigia, sembrava proprio lui e suonava con una tale disinvoltura e nonchalance, che pareva proprio improvvisare, riflettere, meditare, cercare suoni preziosi, dialogare con l’orchestra come per spiegare il significato di ogni nota.

Abbado, anche lui in camicia, con le maniche arrotolate, il pullover appeso al leggìo di un violinista perché lui, come sempre, dirige a memoria e non conosce leggìi (ma non è usuale che il direttore d’orchestra conosca a memoria i pezzi, ancorché celeberrimi, che prevedono la concertazione con un solista!), così come ora lo conosciamo pelle e ossa ma sorridente e ispirato, con gli inconfondibili gesti diventati icone della musica sinfonica, sembrava il sacerdote di un rito misterico: la mano destra che non “batte” il tempo ma ne indica solo il fluire, la sinistra che sembra estrarre uno a uno i suoni dagli strumenti dell’orchestra.

La magia della serata era dovuta ancor alla tensione estrema che teneva insieme tutti i protagonisti sul palcoscenico (l’orchestra del festival di Lucerna, si sa, è composta da elementi provenienti da altre orchestre “abbadiane” e da molti solisti amici del direttore) e tuttavia una tensione priva di ansia, senza alcun tipo di soggezione o di preoccupazione, procurata solo dalla grande gioia di ritrovarsi per suonare ancora una volta insieme e dall’attento ascolto degli altri, con un risultato che sembra sorprendere e commuovere loro per primi. Musicisti di tutte le età, che tanto si intendono con i loro strumenti quanto faticano a parlarsi nelle loro cento lingue diverse; ma la comune passione, la complicità, il rispetto reciproco, la certezza di partecipare a un evento essenziale e memorabile, il palpabile sentimento di amicizia che li anima, ha un effetto incredibilmente maieutico.

Dopo Brahms Wagner, un accostamento sempre intrigante fra due visioni storicamente opposte del sentire musicale, che tuttavia Abbado riconcilia con grande maestria proponendo un preludio del Lohengrin – con quello straordinario “crescendo” – che sembra la naturale evoluzione dell’intimismo brahmsiano.

Il pubblico che riempiva totalmente la grandiosa sala del Festival (e che, salvo qualche abito, non aveva nulla di diverso dal pubblico della prima) è rimasto stregato, visibilmente preso da grande emozione, con il fiato sospeso sino all’assottigliarsi delle note, esangui, con cui si conclude la pagina wagneriana. Charles Baudelaire così descrive le sue sensazioni dopo averlo ascoltato per la prima volta: “Mi sentii liberato dai legami di pesantezza e ritrovai la straordinaria voluttà che circola nei luoghi alti. Dipinsi a me stesso lo stato di un uomo in preda ad un sogno in una solitudine assoluta, con un immenso orizzonte e una larga luce diffusa. Un’immensità con il solo sfondo di se stessa”. E’ stato proprio così.

E per finire l’ultima composizione, quasi atonale, scritta a Dobbiaco da un Mahler vecchio e malato, deluso e angosciato dall’innamoramento della sua Alma per il giovane Gropius, ma forse ancor più preoccupato dal “complesso della nona sinfonia” e cioè da quel limite delle nove sinfonie che nessuno dei grandi sinfonisti della storia – Beethoven, Schubert, Dvořák, Bruckner – aveva mai superato (e in quel caso la superstizione, ahimè, ebbe la meglio). Una musica più abbadiana di così è inimmaginabile!

Veramente difficile imbattersi in un concerto più suggestivo, pregnante, emozionante di questo; e l’averlo ascoltato fuori dal rituale dei frac, non dominato dall’obbligo della perfezione, pervaso dal senso del piacere e del godimento, nel clima amicale e disteso dell’ultima prova, è stato un dono speciale che Abbado ha voluto fare a un pubblico sempre più incantato da lui e dal suo modo di intendere la musica.

Musica per una settimana

Questa settimana è totalmente presa dal Festival MiTo. Possiamo solo darvi il link per studiarne il programma… http://www.mitosettembremusica.it/programma/calendario/2011-09-05.html

  

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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