12 luglio 2011

LA SCOSSA DI BERSANI ATTERRA A MILANO?


In molti, dopo i successi di maggio e giugno, parlano di cambio di fase, ma non sembra che tutti intendano la stessa cosa. Per tanti è la fine di un lungo ciclo politico culturale, il berlusconismo, quella particolare forma spuria ed eversiva del liberismo mondiale che ha aggredito alle radici il nostro paese.  Non un semplice cambio di maggioranza dunque, ma il tramonto di un’era geologico-politica che ha mortificato e degradato gli stessi concetti di sociale, bene comune, regola, cosa pubblica, democrazia e perfino quelli di decenza e di onore.

Questa rappresentazione è condivisibile ma parziale, e, se coglie un essenziale carattere della fase, rischia di ottundere la comprensione del cambio di cultura generale che è al fondamento dello stesso tramonto del berlusconismo. Se crolla la politica “personalistica” di Berlusconi non è che la politica dei partiti stia bene in salute.

E anche il Partito Democratico, sia pure essa una “crisi” di crescita, non può esimersi da una ricerca e da una riforma. Potrebbe sembrare una provocazione anche solo l’accennarne, vista l’ampia messe di consensi raccolti, ma evidentemente se Bersani pone con forza il tema sul tavolo vuol dire che la questione scotta. La sua ultima relazione alla Direzione è uno snodo importante di riflessione, ma sembra poco conosciuta e perfino un po’ snobbata, forse perché la Conferenza Organizzativa che prepara non distribuirà posti ma idee. Eppure temi e angolature sono decisivi: dalla sovranità degli iscritti e degli elettori, al riconoscimento dell’irriducibilità alla forma partito della soggettività di movimenti della società civile, che chiedono Politica senza essere partito.

Dal referendum degli iscritti fino alla regolazione delle primarie di coalizione e al superamento degli organismi dirigenti basati su logiche verticali correntizie. E se l’approccio tende al massimo grado espansivo la cultura politica da cui prende le mosse, questo non occulta né importanza né lungimiranza dello sforzo. Un grande tema, non un lusso né tanto meno un’autoreferenzialità. Una priorità assoluta, non una questione da sistemare tra una birretta e una piadina a un festival di partito.

E a Milano che succede? Che fa il gruppo dirigente, ma non solo, del PD? Per dirla tutta, si ha l’impressione un po’ sgradevole che in ogni stagione ci sia sempre un buon motivo per scansare certi temi e certe pratiche.  E’ vero, girano mail in cui si allude a un “PD come non l’abbiamo mai conosciuto”, ma in concreto restano davvero poche e povere, per ora, le occasioni in cui il dibattito è stato ampio ed effettivo, e soprattutto in cui questo benedetto PD mai conosciuto cominci a palesarsi dietro i cartelli del “lavori in corso”.

Anche per questo, e proprio nella logica dell’allargamento di un dibattito coinvolgente e non imputabile a questa o quella componente, alcuni hanno ritenuto opportuno di prendere un’iniziativa per giovedì 14 luglio, come momento di discussione aperta e inclusiva: immaginando un fiume, il fiume democratico, come l’alveo in cui confluire ciascuno senza altre forme di riconoscimento che la propria, personale, capacità e autorevolezza. Un’iniziativa “non contro, ma per”, non contro qualcuno, ma per fare politica, per cambiare uno stile ancora poco aperto e ancora autoreferenziale, per confrontarsi e per elaborare proposte che diano respiro e spazi appropriati alla democrazia diretta dei cittadini e alle forme di partecipazione nel governo della città e dei suoi servizi.

Ora si fa un gran parlare di partecipazione, ma si ha sempre l’impressione di un connotato ancillare, consolatorio, del termine, quasi si trattasse di una sorta di spazio giochi dove il cittadino si deve pur sfogare, ma quanto al potere, “beh questa è proprio un’altra cosa”. Si fatica a comprendere che non solo il cittadino oggi intende partecipare, ma che lo vuole perché vuole “contare”, vuole decidere.  Pensare a una partecipazione che non preveda specifici ambiti di potere a essa riservati o anche solo condivisi è in generale un’illusione, una mistificazione, ma per la sinistra e il PD è davvero la negazione della ragione sociale della ditta, come direbbe sempre il buon Bersani. La politica si occupa del potere e il potere è un gioco a somma zero: se qualcuno ne dispone, a qualche altro è negata, simmetricamente e inevitabilmente. Per questo oggi, nel PD e nella società il tema sul tavolo è lo spazio politico per la decisione diretta, o meglio il ridisegno dei processi e dei modi con cui democrazia diretta e rappresentativa s’intrecciano.

Così si ripensa alle primarie come metodo per la selezione dei gruppi dirigenti e dei rappresentanti nelle istituzioni.

Al netto di tutte le questioni del costo e dei privilegi della politica, c’è una questione grande come una casa, che riguarda il processo con cui si scelgono nel PD i rappresentanti. Oggi, come sappiamo, il porcellum blinda le candidature dei Partiti su liste bloccate. E proprio qui allora si devono pensare meccanismi di coinvolgimento degli elettori, per ora del PD, che bypassino il blocco legislativo, chiamando il popolo democratico a una scelta del proprio rappresentante che restituisca il piacere della valutazione e della selezione, insomma della decisione, anche qui essendo chiaro che, se il cittadino democratico decide, esercita un potere che non sarà più nelle mani del gruppo dirigente. Pensiamo a quale dirompente vantaggio politico si potrebbe generare a favore del centrosinistra in una fase in cui i cittadini chiedono di contare, e come questa prassi democratica potrebbe stimolare un elettorato di centrodestra disgustato dall’esproprio sistematico del proprio buon diritto a favore di nani e ballerine.

Tanti sono i temi, tante le questioni, enorme la posta in gioco: alcuni si sono messi in viaggio e navigano nel fiume. Al gruppo dirigente del PD milanese l’onore e l’onere di rispondere alla vigorosa sollecitazione di Bersani e del popolo democratico tutto.

Giuseppe Ucciero



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