5 luglio 2011

musica


 

BEETHOVEN E I DARDENNE

In questi giorni nelle sale cinematografiche milanesi è molto apprezzato dal pubblico un bel film che fa un uso straordinario di un brano musicale che tutti conoscono ma non sempre – presi dal fascino della trama – riconoscono. Il film è “Il ragazzo con la bicicletta” (Le Gamin au vélo) dei fratelli belgi Jean-Pierre e Luc Dardenne, che ha ottenuto il Gran Premio Speciale della Giuria all’ultimo festival di Cannes; la musica è l’incipit del secondo tempo (Adagio, un poco mosso) del Concerto n. 5 in mi bemolle maggiore opera 73 per pianoforte e orchestra di Beethoven, comunemente detto “Imperatore” contro la volontà dell’autore che diceva di “non riconoscergli altro titolo che quello di Gran Concerto”.

Il film racconta la storia di un dodicenne (lo straordinario Thomas Doret) psicologicamente distrutto per essere stato abbandonato dal padre in un centro di accoglienza per l’infanzia dal quale fugge in continuazione alla ricerca di quel suo unico genitore e della sua adorata bicicletta; è durante una di queste fughe che si imbatte in Samantha (la bellissima Cecile de France) una parrucchiera single che poco a poco si assume il difficile ruolo di madre riuscendo così a restituirgli – superati non pochi problemi di adattamento e di trasgressioni, anche violente – la serenità perduta.

L’Adagio dell’Imperatore (Beethoven ci perdoni) spezza il piglio aggressivo delle due parti fra cui è incastonato – la solennità eroica del fin troppo noto Allegro iniziale e la frenesia ritmica del Rondò finale – per offrire un’ampia parentesi di pace descritta nella solare ma imprevedibile tonalità del si maggiore. Questo sentimento di quiete, dispiegata dall’incantevole melodia – quasi un recitativo – del pianoforte, è introdotto da una sorta di corale, un po’ misterioso, affidato ai soli archi, che ha l’evidente scopo di creare tensione e diffondere nell’ascoltatore sentimenti di inquietudine e di incertezza che si risolveranno solo quando comparirà e si dispiegherà il canto rassicurante del pianoforte.

Perché, direte, questo accostamento fra il lavoro dei Dardenne e il concerto di Beethoven? Perché crediamo che raramente, nella storia della cinematografia, sia stato colto tanto bene il modo con cui viene costruita la musica e lo si sia raccontato con una storia così pertinente; come se, invece di scrivere la musica per un film, sia stato pensato il film per “raccontare” quella musica.

Lungo tutto il film poche note di quel “corale” per archi che abbiamo prima descritto come carico di tensione, di inquietudine e di incertezza, sottolineano gli stati d’animo di Cyril e di Samantha, combattuti entrambi fra il rifiuto e l’accettazione l’uno dell’altro, scoprendo soprattutto le drammatiche contraddizioni dell’adolescente in cerca di riferimenti affettivi.

Quegli accordi sospesi che ritornano di continuo nel film – avviando un tema che viene sempre subito interrotto – raccontano lucidamente il groviglio di sentimenti che non riescono a sciogliersi, di impulsi che non trovano pace; quando, dopo l’ennesimo scontro, i due si abbracciano e scoprono di sentirsi pienamente e di voler essere madre e figlio, quello stesso tema si presenta per l’ultima volta gravido di inquietanti presentimenti ma non più interrotto, e finalmente si sviluppa con il suo grande respiro. Il film così chiude sulle note limpide e cristalline del pianoforte che esprimono il senso liberatorio della serenità ritrovata.

Difficile dire quanto Beethoven abbia aiutato i Dardenne a raccontare la loro storia, o quanto i due cineasti belgi abbiano saputo interpretare e dare un senso ancor più compiuto a una delle più belle pagine di Beethoven. In ogni caso questo loro film è un elegantissimo esempio di come mettere insieme suoni, parole e immagini con straordinari effetti maieutici; per tre secoli questa sintesi è stata appannaggio dell’opera lirica e ora – ma lo si riteneva già all’epoca dei celebri film di Eizenstejn musicati da Prokof’ev – vien da chiedersi se il cinematografo non l’abbia in parte sostituita, visto che proprio dai primi decenni del secolo scorso sembra essere praticamente scomparsa

 

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



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