19 aprile 2011

cinema


 

LA FINE È IL MIO INIZIO

di Jo Baier [Germania, Italia, 2010′, 98′]

con: Bruno Ganz, Elio Germano, Erika Pluhar, Andrea Osvàrt

Un cerchio che si chiude. La mano di un vecchio giornalista traccia una pennellata circolare, ma si ferma proprio lì: nel momento di chiudere il cerchio. Inizia con questa immagine La fine è il mio inizio [Germania, Italia, 2010, 98′] di Jo Baier; Tiziano Terzani (Bruno Ganz), ritirato nella sua casa di Orsigna, invita il figlio Folco (Elio Germano) a raggiungerlo per un’ultima chiacchierata, prima che la morte lo prenda per mano. Terzani desidera un momento di confronto con il figlio, un dialogo necessario a tracciare quella parte mancante di cerchio che, da solo, non riuscirebbe a chiudere. Da questa conversazione nascerà il libro La fine è il mio inizio [Longanesi, 2006], da cui è tratto il film, dove il giornalista racconta al figlio il viaggio di una vita: la guerra in Vietnam, la Cina, la caduta dell’impero sovietico, gli anni da eremita sull’Himalaya e – specialmente – l’inesorabile prossimità alla morte.

Folco cerca di prepararsi all’impatto della perdita, è stupito dall’imperturbabilità del padre a un passo dalla fine. «La morte è l’unica cosa nuova che mi può ancora succedere», dice Tiziano. Una vita intensa, ricca di esperienze, arrivata alla fine in un corpo fragile; Terzani vive la morte come “l’abbandono della materialità”, e dimostra di avere la testa più forte del corpo che invecchia. Padre e figlio sono seduti, fianco a fianco. Parlano. Ridono. Riflettono sull’uomo e sul modo di affrontare il mondo, pensano a come – ormai – non si è più liberi di essere se stessi: l’uomo è succube dell’economia, schiavo di un sistema che impone desideri insignificanti. L’individualismo fa rincorrere obiettivi, ma l’unica rivoluzione che può servire è quella dentro di noi – dice pressappoco Terzani – unica maniera per rincorrere i sogni, invece degli obiettivi.

Silenzi e sguardi. Jo Baier muove la macchina da presa lentamente, con delicatezza. Nella conversazione tra Tiziano e Folco, tra miriadi di parole, sono proprio i silenzi e gli sguardi i protagonisti. La sceneggiatura di Ulrich Limmer e di Folco Terzani rimane fedele al libro; il regista concentra il suo lavoro sul “non detto”, sulla potenza delle immagini, che siano primi piani del volto o panoramiche sulla bellezza della natura. «Questa è la fine, ma è anche l’inizio di una storia», secondo Terzani. Perché, con il sostegno del figlio, riesce a disegnare un cerchio completo, ma pur completandosi il cerchio è destinato a ricominciare, proprio come una vita – o una storia – in cui alla parola fine segue sempre la parola inizio.

Paolo Schipani

In sala: Eliseo Multisala, AnteoSpazioCinema, Skyline Multiplex, Arcadia Bellinzago Lombardo, Multisala Metropol SpazioCinema, San Giovanni Bosco, Marconi, Ariston Multisala, Cinema Teatro Tresartes, Auditorium S.Luigi.

 

 

LO STRAVAGANTE MONDO DI GREENBERG

di Noah Baumbach [Greenberg,USA, 2010′, 107′]

con Ben Stiller, Rhys Ifans, Greta Gerwig.

Roger Greenberg è arrivato a Los Angeles da New York perché suo fratello ha deciso di passare con la famiglia un lungo periodo di vacanze in Vietnam lasciandogli casa e cane. Che il mondo di Greenberg sia realmente stravagante appare inconfutabile dalle prime necessità alimentari espresse a Florence, la giovane assistente del fratello, in procinto di andare al supermercato: whiskey e sandwich al gelato. Non vi è nulla di costruito, però, in questo quarantenne appena uscito da un periodo di degenza in un ospedale psichiatrico a seguito di un esaurimento nervoso.

Non ha maschere, non sente la pressione di dimostrare di essere qualcun altro o di costruirsi una figura che possa attrarre i vecchi amici d’infanzia. Questo suo fare niente, per scelta, lo rende alieno in un mondo di persone che vedono la propria vita proiettata su piani ascendenti e non c’è ragione per ascoltare o frequentare coloro che stanno sotto.

Fedor Dostoevskij in Ricordi dal sottosuolo ha scritto: “Ecco, adesso dovrei tirare una bottiglia in testa a tutti quanti loro; presi la bottiglia e…mi riempii il bicchiere”. Quante bottiglie spaccherebbe Greenberg in testa a quelli della America Airlines rei di avere sedili malfunzionanti, a Starbucks, al sindaco di New York Bloomberg colpevole di non interessarsi dell’ecologia acustica, alla società che si occupa del trasporto animali, ai suoi vecchi amici che non sentono, quanto lui, l’energia di un incontro atteso da anni.

Florence, l’unica a essere stata colpita dalla sensibilità e dalla delicatezza del protagonista, è anche la sola in grado di “fermare la sua mano” evitando così la sua irreversibile chiusura sotto una campana di vetro. Lo stravagante mondo di Greenberg è un film in cui la trama, forse un po’ troppo statica, lascia spazio ai brillanti dialoghi tra i personaggi. Ognuno sembra parlare per conto suo in questa pellicola. Quanto somiglia alla nostra realtà quella di Roger quando ci mostra questa moltitudine di persone che è ormai incapace di ascoltare.

Il regista, Noah Baumbach, ha scelto e diretto un sorprendente Ben Stiller. Salto di qualità, ruolo maturo, si può abbondare negli apprezzamenti a questo attore che troppo spesso si è abbassato a livelli che non gli si confanno. Roger Greenberg gli scriverebbe senz’altro una lettera di non tornare al passato.

Marco Santarpia

 

In sala a Milano: Apollo SpazioCinema.

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Schipani e Marco Santarpia

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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