12 aprile 2011

IN RISPOSTA A GARDELLA


La Milano che abitiamo è una città fatta per cittadini adulti, maschi, che lavorano, si muovono in auto, possibilmente sani. Chiediamoci se ci piace, o se prendendo i bambini come unità di misura, tutti i bambini, invece vorremmo una città che non lascia indietro nessuno dei suoi cittadini, perché, accettando la diversità che il bambino porta con sé, è in grado di comprendere tutte le particolarità, tutte le diversità. Se osserviamo chi si muove nella nostra città, ci accorgiamo che i bambini sono stati progressivamente espulsi dallo spazio pubblico cittadino: le nostre città, e Milano non è un’eccezione, anzi forse un esempio limite in negativo, non sono state capaci di incoraggiare il loro diritto di muoversi, correre e giocare liberi e autonomi.

Sono quasi invisibili: pochi i bambini che attraversano le nostre piazze, ancora meno quelli che si fermano a giocarci, pochi per le strade, perché i bambini non camminano sicuri sui marciapiedi, traffico, auto parcheggiate male, inquinamento, marciapiedi stretti, buche, non invitano alla passeggiata, tanto che a quattro anni li puoi ancora vedere attraversare la città comodamente seduti nel passeggino. Quando vivono i loro momenti di gioco nei parchi pubblici, sono sempre più spesso all’interno di recinti, protetti dal traffico e sorvegliati da mamme, nonni, babysitter.

Non esistono poi spazi naturali, soprattutto quelli del “selvatico” in città, spesso i più interessanti perché offrono maggiori possibilità di immaginazione e di avventura. La natura per molti bambini di città, non esiste, rimane fuori dalla realtà quotidiana, e non c’è alcun rapporto con gli elementi naturali nelle aree di gioco tradizionali. E ancora, la presenza di bambini negli spazi aperti dei condomini, è un ricordo lontano di noi che siamo i loro genitori, i bambini non ‘scendono’ più a giocare nei cortili, ormai occupati soprattutto dalle auto. Tutto questo ci dice quanto sia ora utile e urgente attivare una riflessione sulla presenza e sul ruolo dei bambini nelle nostre città, a partire dalle esperienze di progettazione partecipata che hanno cercato di coinvolgerli in prima persona. Facciamo in modo che si sentano protagonisti e consultiamoli.

Con forte ritardo il Governo ha approvato il Piano Infanzia, che però è privo di risorse finanziarie e vede fortemente ridimensionato il tema diritto dei bambini alla partecipazione. Poco è rimasto dell’idea rivoluzionaria di coinvolgere i bambini nella progettazione degli spazi urbani e il progetto Città Sostenibili delle Bambine e dei Bambini del Ministero dell’Ambiente.

A Milano, cercando di andare oltre la desolazione di un PGT che prevede una città sempre più cementificata, pensiamo di coinvolgere più direttamente i più piccoli, che la abitano già ora e che saranno i cittadini del futuro: dal disegno e dai contenuti degli spazi per il gioco all’aperto, pubblici e privati, alle nostre piazze, ai nostri quartieri. In altre città, in parchi più grandi dei nostri, ma occupando spazi assolutamente alla nostra portata, il gioco costruito con elementi naturali è un elemento ricorrente: penso alle strutture con tronchi di legno inserite nei parchi londinesi. Giochi più stimolanti di scivoli e altalene di plastica e metallo, e assolutamente non più costosi, che potrebbero tranquillamente essere inseriti nel Parco Sempione, ma anche in spazi di dimensioni più raccolte (Parco Solari, Parco delle Basiliche, Parco Ravizza, o nelle aree verdi dei quartieri periferici, dove il verde a prato è ancora una presenza significativa).

Raccolgo alcuni spunti che Jacopo Gardella ha lanciato su queste pagine: la progettazione delle piazze e degli spazi aperti nei quartieri delle città, interventi a scala ridotta in collaborazione con i comitati di quartiere, e la necessità di una competenza architettonica per il disegno di questi spazi. Altre città lo hanno fatto, si può fare anche a Milano, e ancor di più negli spazi dedicati ai bambini. Penso ad esempio a ‘Immagination Playground’ il nuovo parco giochi firmato da Rockwell a New York. Penso a strumenti semplici come incentivi comunali ai condomini che attrezzano i loro spazi aperti per il gioco dei bambini, ridisegnandoli con chi vi abita. Alla possibile collaborazione con le scuole (concorsi di idee, realizzazione di prototipi di giochi e arredo urbano) per piazze o giardini nelle immediate vicinanze.

E mi spingo oltre pensando alla progettazione partecipata di un intero quartiere. Anche perché, senza andare troppo lontano, in Italia ci sono esempi di eccellenza. A Correggio, il quartiere Coriandoline: un percorso complesso e articolato di progetto, realizzato a cura della cooperativa di abitanti Andria, che ha visto 700 bambini e bambine di 12 scuole lavorare con educatori, tecnici, artigiani, studiosi e artisti. Tra gli artisti, Emanuele Luzzati, che insieme a molti architetti, ingegneri, geometri, artigiani, ha accettato la sfida di lasciarsi contagiare dalle idee dei bambini. Ci sono voluti sette anni per combinare i risultati delle sollecitazioni sulla fantasia dei bambini sul significato di casa, di quartiere, con una ricerca sulle esigenze abitative, e altri tre anni di cantiere per realizzare un quartiere residenziale che rispondesse alle loro aspettative.

La compiuta realizzazione di questo ambizioso progetto ci dimostra che è possibile pensare a una città a misura di bambino, non solo considerando l’impatto che le scelte di governo della nostra città avranno sui più piccoli, ma cercando di coinvolgerli direttamente e di farli sentire cittadini attivi fin da piccoli, perché partecipi al disegno della città. Se finalmente a Milano avremo la possibilità di cambiare, non dobbiamo dimenticarci che dare ascolto alle aspettative dei bambini significa migliorare la vita di tutti.

Paola Bocci



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