12 aprile 2011

cinema


 

NODO ALLA GOLA

di Alfred Hitchcock [Rope, USA, 1948, 80′]

con: James Stewart, Joan Chandler, John Dall, Farley Granger, Cedric Hardwicke, Constance Collier, Douglas Dick, Edith Evanson, Dick Hogan

«L’omicidio è un’arte per pochi», dice Rupert Cadell (James Stewart) in Nodo alla gola [Rope, USA, 1948, 80′] di Alfred Hitchcock. Una teoria pungente ma – senza dubbio – molto intrigante, quella del Professore: considerare il delitto come una raffinatezza adeguata a poche persone. Idea condivisa dal giovane Brandon Shaw (John Dall), cresciuto con Cadell come tutore, e convinto anch’esso che ci vuole classe, intraprendenza, carattere per uccidere. Durante il banchetto organizzato da Brandon e Phillip Morgan (Farley Granger), la discussione sulla “filosofia” dell’omicidio è accesa e nell’aria c’è qualcosa di strano (come più volte fa notare il perspicace Cadell).

Il film è un adattamento della commedia teatrale di Patrick Hamilton, Hitchcock la trasforma in cinema sperimentando qualche tecnicismo mai provato prima. La prima innovazione di Nodo alla gola è l’illusione di essere girato con un unico grande piano-sequenza; in realtà, sono una decina di lunghi piani-sequenza montati in modo da garantire un flusso unico della macchina da presa (gli stacchi sono “nascosti” con l’aiuto di primissimi piani che hanno permesso di sostituire i rulli di volta in volta). Inoltre, tempo reale e tempo narrativo corrispondono ed è anche il primo film in cui Hitchcock utilizza il colore.

La “filosofia” di Cadell, condivisa anche da Brandon, è un capovolgimento della teoria del Superuomo pensata da Friedrich Nietzsche. «L’essere debole è uno sbaglio», dice Brandon, e i concetti morali del bene e del male sono relativi. Hitchcock ragiona sul cinismo dell’essere umano, sulla tensione spasmodica che si scatena sottopelle in seguito a un gesto orribile, da nascondere. In sala, quella tensione la viviamo, la sentiamo. Palpita dentro di noi mentre veniamo provocati dalle inquadrature del regista che contribuiscono a gonfiare lo stato di ansia. Non è paura, ma suspence. La differenza Hitchcock l’ha più volte spiegata: «La differenza tra suspence e sorpresa è molto semplice e ne parlo molto spesso. Tuttavia nei film c’è spesso confusione tra queste due nozioni. Noi stiamo parlando, c’è forse una bomba sotto questo tavolo e la nostra conversazione è molto normale, non accade niente di speciale e tutt’a un tratto: boom l’esplosione. Il pubblico è sorpreso, ma prima che lo diventi gli è stata mostrata una scena assolutamente normale, priva di interesse. Ora veniamo alla suspence.

La bomba è sotto il tavolo e il pubblico lo sa, probabilmente perché ha visto l’anarchico mentre la stava posando. Il pubblico sa che la bomba esploderà all’una e sa che è l’una meno un quarto – c’è un orologio nella stanza -; la stessa conversazione insignificante diventa tutta in un tratto molto interessante perché il pubblico partecipa alla scena. Gli verrebbe da dire ai personaggi sullo schermo: “Non dovreste parlare di cose banali, c’è una bomba sotto il tavolo che sta per esplodere da un momento all’altro”. Nel primo caso abbiamo offerto al pubblico quindici secondi di sorpresa al momento dell’esplosione. Nel secondo caso gli offriamo quindici minuti di suspence. La conclusione di tutto questo è che bisogna informare il pubblico ogni volta che è possibile, tranne quando la sorpresa è un twist, cioè quando una conclusione imprevista costituisce il sale dell’aneddoto» [Françios Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, 1983].

In Nodo alla gola sentiamo suspence, ad esempio, quando la macchina da presa si sofferma per qualche minuto sulla domestica che sparecchia; siamo consapevoli della “sorpresa” che troverebbe all’interno della cassapanca dove è imbandita la tavola, e tiriamo il fiato ogni volta che sposta un piatto. Magistrale quando Hitchcock “ricrea” l’omicidio giocando con i movimenti di macchina, spostando le inquadrature seguendo la narrazione del Professor Cadell che ipotizza le fasi del delitto. E, se per Cadell l’omicidio è un’arte per pochi eletti, dopo gli ottanta minuti di Nodo alla gola a noi sfiora il pensiero che anche il cinema sia un mestiere per fuoriclasse.

Paolo Schipani

In sala: Rassegna CINESOFIA. Auditorium San Fedele – venerdì 15 aprile 2011 – ore 20.00. In seguito alla proiezione, discussione con G.Piazza e L. Barnabé.

  

MIA MOGLIE PER FINTA

di Dennis Dugan [Just Go With It, USA, 2011, 116′]

con Adam Sandler, Jennifer Aniston, Nicole Kidman.

Patrick (Adam Sandler) è passato dall’essere un brutto anatroccolo a famoso e ricco chirurgo plastico. Finge per anni di essere sposato, con tanto di fede nuziale al dito, da un lato per accrescere il suo potere seduttivo sulle donne e, dall’altro, per evitare ogni legame stabile con ognuna di queste. Quando conosce finalmente la ragazza dei suoi sogni, rimane prigioniero e incastrato nelle sue stesse bugie.

E’ costretto a trovare una vittima sacrificale che reciti il ruolo della moglie infelice del loro rapporto di coppia. La scelta non può che ricadere sulla sua fedele, seria e onnipresente assistente Katherine (Jennifer Aniston), l’unica donna che lo conosca profondamente. Mia moglie per finta è liberamente ripreso da Cactus flower [Fiore di cactus], film del 1969 di Gene Saks.

I malintesi e le bugie che creano il tessuto narrativo sono simili, non si può dire altrettanto dello spessore degli interpreti. Una giovanissima Goldie Hawn, recitando la parte della pura e svampita amante, vinse l’Oscar come miglior attrice non protagonista. Walter Matthau offre, come in molte altre pellicole, un saggio di espressioni e tempi comici. E l’inarrivabile Ingrid Bergman, per la quale ogni altro aggettivo risulterebbe riduttivo, che riesce magnificamente ad alternare sguardi algidi e intimidatori a scalmanati e frivoli balli sensuali.

Mia moglie per finta è poco più di una fotocopia di mille altre commedie americane del genere, Jennifer Aniston e Adam Sandler vengono incastrati in quelli che sono ormai dei ruoli fissi nella loro carriera. Sullo sfondo del turbolento triangolo amoroso una schizofrenica e ridimensionata Nicole Kidman è relegata a un ruolo minore. La visione del film risulta utile per riportare alla memoria l’illustre predecessore e per sancire definitivamente che i fiori di cactus, a Hollywood, non sbocciano più.

Marco Santarpia

In sala a Milano: Orfeo, Plinius, The Space Milano, UCI Cinemas Certosa, UCI Cinemas Bicocca.

  

questa rubrica è a cura di Paolo Schipani e Marco Santarpia

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti