NON LASCIARMI

di Mark Romanek [Never let me go, Usa Gran Bretagna, 2010, 103′]

con Carey Mulligan, Andrew Garfield, Keira Knightley.

“Ognuno di voi non farà nient’altro che vivere la vita che è stata predisposta per lui”. Questa frase è un breve estratto del discorso pronunciato dalla coraggiosa professoressa ai suoi giovani e inconsapevoli alunni della scuola di Hailsham. Il seguito delle sue parole rivelerà loro qual è questo destino forzato che li attende, la donazione degli organi al raggiungimento dell’età adulta. Quello che sembrava un istituto modello destinato alla medio-alta borghesia inglese si rivela un laboratorio a cielo aperto. Tra i piccoli allievi attoniti di fronte alle sorprendenti parole dell’istitutrice vi sono Kathy, Tommy e Ruth, i tre protagonisti della pellicola.

Hailsham è solo la prima tappa di un percorso composto da luoghi recintati che rendono impossibile il contatto con il mondo circostante. Le loro vite, le esperienze a loro possibili sono ristrette a questo microcosmo. L’educazione omologante e opprimente rende perfetto il loro stile di vita, il loro fisico, li rende accondiscendenti nei confronti dell’autorità ma non riesce a estirparli dell’anima e di quell’umano impulso verso l’amore, l’amicizia e di conseguenza la gelosia, la rivalità.

“Suppongo che, in fondo, agli Epsilon, non importi nulla di essere degli Epsilon”, scriveva Aldous Huxley ne Il mondo nuovo. La distopia di Non lasciarmi è costituita da regole invisibili che, in maniera stupefacente, capovolgono questo assioma. I tre ragazzi conoscono ogni aspetto della loro natura. Piangono, litigano, soffrono a ogni passaggio verso la piena consapevolezza di quello che li attende. Nonostante questo, non cercano mai una via di fuga da questo meccanismo spietato a difesa del progresso e della razza umana.

Riescono a tollerare il sacrificio cosciente della propria vita, come se il loro rapido passaggio su questo pianeta li abbia portati a una consapevolezza della propria esistenza maggiore di coloro che dovranno salvare. È diretto, esistenziale, espressivo il ritorno al grande schermo di Romanek a otto anni di distanza da One hour photo. È stata perfetta la scelta degli attori poiché tutti e tre trasmettono allo spettatore ogni sfumatura dei personaggi mentre la fotografia riesce abilmente a immergerci nella solitudine desolante dei luoghi.

Marco Santarpia

In sala a Milano: Apollo, Colosseo, Orfeo, Plinius Multisala, UCI Cinemas Bicocca

 

 

INTRIGO INTERNAZIONALE

di Alfred Hitchcock [North by Northwest, USA, 1959, 136′]

con: Cary Grant, Eva Marie Saint, James Mason, Jessie Royce Landis

North by Northwest è il titolo originale di Intrigo internazionale [USA, 1959, 136′] di Alfred Hitchcock. Ma, North by Northwest è anche ciò che Amleto dice di se stesso: «I am but mad north-north-west: when the wind is southerly, I know a hawk from a handsaw» [Hamlet, Atto II, Scena II]; forse, questa citazione shakespeariana rimanda allo stato di assurda confusione che colpisce molti dei protagonisti dei film di Hitchcock: normali, ma considerati da tutti pazzi. È ciò che capita al pubblicitario Roger O. Thornhill (Cary Grant), vittima di uno scambio di persona che lo immischia in un complicato intrigo di spionaggio internazionale. Lo scambio di identità e l’accusa ingiusta sono temi utilizzati da Hitchcock in altri suoi film, da ricordare: Sabotatori [USA, 1942, 108′], Club dei trentanove [Inghilterra, 1935, 81′] e Il prigioniero di Amsterdam [USA, 1940, 120′].

Intrigo internazionale ruota – come gran parte dei film del Maestro del brivido – attorno a un “Mac Guffin”. Come Hitchcock spiega a François Truffaut: «Il Mac Guffin è una scappatoia, un trucco, un espediente e – continua Hitchcock – da dove viene il termine Mac Guffin? Ricorda un nome scozzese e si può immaginare una conversazione tra due uomini su un treno. L’uno dice all’altro: “che cos’è quel pacco che ha messo sul portabagagli?”. L’altro: “ah quello, è un Mac Guffin”. Allora il primo: “che cos’è un Mac Guffin?”. L’altro: “è un marchingegno che serve per prendere i leoni sulle montagne Adirondak”. Il primo: “ma non ci sono leoni sulle Adirondak”. Allora l’altro conclude: “allora, non è un Mac Guffin” [da Il cinema secondo Hitchcock, Il Saggiatore, p.112]. Attraverso questo aneddoto, Hitchcock cerca di trasmettere che il Mac Guffin non è altro che un espediente che permette alla trama di svilupparsi, ma non ha alcuna importanza la natura dell’oggetto. In Intrigo internazionale il Mac Guffin è “vuoto”, inesistente: cosa cercano le spie? Quali sono i segreti governativi? Non importa. Il regista non bada al “perché”, ma è unicamente interessato a far procedere l’ingarbugliata storia di Thornhill, a mostrare il concatenarsi di colpi di scena. Verosimile o meno, a Hitchcock interessa poco: lui è il regista, lui sceglie cosa mostrare e dove portare lo spettatore.

Nel film spicca fin dall’inizio la divertente ironia di Cary Grant (immenso), affondata in dialoghi brillanti e nella sceneggiatura di Ernest Lehman che, sicuramente, sarebbe dovuta andare oltre la nomination agli Oscar. Così come il montaggio di George Tomasini, capace di legare assieme una storia fatta di colpi di scena e stravolgimenti logici, la cui maestria è ben riassunta nello stacco che porta i protagonisti dal Monte Rushmore al letto del treno. Il puzzle completo è un film che tiene il pubblico con il fiato tirato per oltre due ore, alla hitchcockiana maniera.

Numerose le sequenze destinate a rimanere nella memoria degli spettatori: dalla fuga di Roger in aperta campagna inseguito da un aereo, a quella dei protagonisti – Roger ed Eva (Eva Marie Saint) – sospesi nel vuoto sul Monte Rushmore. Finendo con l’immagine allusiva del treno che entra nella galleria, secondo Hitchcock «il finale più impertinente che abbia mai girato».

Paolo Schipani

 

Intrigo internazionale rientra nella rassegna “Legend Film Festival“, e sarà proiettato all’Odeon di Milano giovedì 7 aprile. Per maggiori info: clicca qui

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Schipani e Marco Santarpia

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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