10 aprile 2018

EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA. PIANI STRAORDINARI, ARGOMENTO ELETTORALE

Affrontare seriamente il problema della manutenzione


Il tema dell’edilizia residenziale pubblica nell’area milanese coincide in larga parte con quello delle periferie, giacché da sempre in questa città è uno dei materiali più deboli e delicati. L’edilizia popolare è un bene che deve essere trattato, al pari delle altre infrastrutture, come un servizio che richiede investimenti continui: risorse che è ipocrita pensare possano essere assicurate dalla gestione del patrimonio stesso.

marini14FBA partire dagli anni ’80 il problema delle case per i ceti più poveri è progressivamente uscito dalla agenda di amministratori locali e nazionali, così come da quella degli esperti e per diverse ragioni che sarebbe lungo affrontare in questo contesto. Sta di fatto che gli investimenti sono progressivamente scemati con la conclusione dei ricchi programmi di finanziamento alimentati dalle trattenute Gescal (fine anni ’90), come la produzione di nuove abitazioni (con l’unica eccezione di quanto realizzato da alcuni comuni come Milano).

A partire dagli anni ‘90 si è assistito invero ad una progressiva dismissione del patrimonio ed è scoppiato il problema della manutenzione dei quartieri costruiti a partire dal secondo dopoguerra. L’assottigliamento ha riguardato soprattutto il patrimonio di ALER e dei comuni metropolitani. Le abitazioni sono state vendute per fare cassa e per contenere le spese di manutenzione, ma anche perché sono scaduti gli affitti a proprietà differita dei quartieri Gescal e INA Casa costruiti a partire dagli anni ’50 (cosiddetti contratti a riscatto). Secondo i dati dei censimenti più di un terzo degli alloggi pubblici presenti a Milano del 1991 erano diventati privati nel 2011: circa 25.500 abitazioni. Se consideriamo solo il patrimonio Aler Milano l’emorragia è stata del 42%, mentre il patrimonio di proprietà del comune di Milano è rimasto pressoché intatto (+1400 alloggi). Faccio notare che la cura dimagrante influisce direttamente sulla offerta di case che dipende unicamente dal ricambio dell’utenza giacché, appunto, non si costruiscono quasi più nuove abitazioni.

Per coprire il consistente buco di bilancio di Aler Milano emerso nel 2013, Regione Lombardia ha recentemente avviato un ulteriore robusto piano di vendite (la previsione è stimata in 10.000 alloggi). Temo che gli effetti saranno molto pesanti, perché sarà più difficile garantire la manutenzione, con buona pace di Regione che pensa che i proventi delle vendite debbano essere reinvestiti nello stesso patrimonio. Raramente, infatti, Aler riesce ad alienare un intero edificio o complesso immobiliare. Ma una volta che la proprietà non è più interamente pubblica per realizzare i lavori è necessario assicurarsi il contributo delle famiglie che hanno acquistato l’alloggio. Famiglie normalmente non proprio benestanti. E poiché i lavori sono di solito importanti, dato il livello di manutenzione degli immobili, convincere i piccoli proprietari è molto difficile. Anche sotto il profilo formale, giacché questi edifici diventano dei condomini ove i lavori di manutenzione straordinaria devono essere assicurati dalla maggioranza dei millesimi e delle “teste” nel cui conto Aler vale uno come gli altri. Vorrei sbagliarmi, ma ho la netta sensazione che la via intrapresa da Regione per coprire il buco di bilancio di Aler Milano si trasformerà nei prossimi anni in un portentoso meccanismo di creazione di periferie.

La manutenzione del patrimonio è ovviamente un problema anche per Aler e per i comuni. Non è però completamente vero che su questo versante non sia stato fatto nulla. A partire dagli anni ’90 si sono succeduti diversi finanziamenti che hanno garantito la rigenerazione di porzioni consistenti della città pubblica. Sto facendo riferimento ai programmi statali o finanziati dalla Comunità Europea come Urban, i Contratti di Quartiere, il Piano per le periferie, il Patto per Milano, ecc. Programmi in alcuni casi riccamente dotati, ma per importi comunque non paragonabili alle risorse derivate dalle trattenute GESCAL. Programmi talvolta di difficile gestione e quasi sempre di durata infinita, che hanno però assicurato una rinnovata dignità a quartieri come Gratosoglio, Spaventa-Stadera, Calvairate-Molise, Sant’Eusebio a Cinisello, Parco delle Torri a Sesto, le proprietà Aler di Rozzano e molti altri. In mancanza di questi interventi il problema delle periferie a Milano sarebbe oggi ben più ampio e drammatico. E forse non è un caso che due delle principali aree obiettivo del Progetto Periferie milanese riguardino quartieri non toccati da questi finanziamenti o ove questi sono falliti (quartiere San Siro e Omero/Mazzini).

Questi programmi hanno però il carattere di interventi una tantum e rispondono alla logica: “lascio andare le cose senza fare nulla fino a raggiungere condizioni inaccettabili per poi poter intervenire con opere massicce una volta avuto accesso a risorse speciali”. Solo che la città non è fatta di soli mattoni ma anche di persone. Mentre i mattoni degradano fino a livelli inaccettabili, la tenuta sociale va a carte quarantotto. La città e chi la abita perdono la dignità, la decenza e spesso la legalità. Come potrebbe essere altrimenti? Generalmente i lavori di recupero garantiscono un miglioramento: per il solo fatto che la proprietà diventa presenza assidua o per le azioni di accompagnamento sociale contemplate dal finanziamento. E sotto questo punto di vista i tempi lunghissimi delle opere riescono a garantire un presidio maggiore.

Quando finiscono si ritorna però al principio e per alcuni quartieri già recuperati si possono intravedere i segni del ritorno al degrado originario (ad esempio il quartiere Spaventa-Stadera, Ponte Lambro e forse altri). Senza contare che il malessere sociale è spesso indipendente dal degrado degli edifici e richiederebbe una presenza continua. Il problema è dunque come passare da un intervento straordinario ad una cura costante in una ottica, appunto, che vede l’edilizia popolare come un “fattore abilitante” per la città, come un bene che per sua natura richiede risorse e presenza continua, vuoi per la manutenzione dei mattoni, vuoi per prestare aiuto a chi lì ci abita.

Siamo poi sicuri che la manutenzione costante costi di più dei programmi una tantum? Certo è che per assicurare ciò occorre rivedere completamente il sistema del finanziamento e della gestione dell’edilizia residenziale pubblica. Occorre cioè una riforma radicale. Difficile, certamente, ma non impossibile.

 

Edoardo Marini

 

Post scriptum. Secondo una certa vulgata la difficoltà nel mantenere decentemente la città pubblica è dovuta alla sua cattiva gestione quando non ad un suo utilizzo clientelare: affitti irrisori, morosità, non utilizzato, sprechi, etc. Almeno storicamente la vulgata corrisponde alla realtà, benché da tempo sono stati raggiunti importanti successi per garantire una gestione più efficiente e più trasparente del patrimonio immobiliare. Prima o poi l’assenza di risorse obbliga a comportamenti più accorti. La scoperta che la morosità nel patrimonio del comune di Milano è diminuita è un successo di non piccola portata (cfr. Arcipelago n.20). Chissà se lo stesso fenomeno riguarda anche le proprietà di Aler Milano o degli altri comuni della città Metropolitana. Ciò nonostante ritengo vi siano ancora ampi margini per migliorare lo stato di fatto. Come? Ad esempio lavorando ancora sugli abusivi e la morosità, che nascondono fenomeni diversi (dalla povertà estrema a forme di opportunismo non accettabili), sul non utilizzato, che è il vero scandalo dell’edilizia pubblica, sulla mobilità interna al patrimonio (da incentivare ulteriormente) e affrontando il problema dei cosiddetti fuori reddito, cioè di quelle famiglie che non hanno più i requisiti per risiedere nell’edilizia residenziale pubblica e per i quali potrebbe essere messi a punto programmi per una loro trasmigrazione verso il privato.

 

marini14



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