10 aprile 2018

“QUATTRO STRADE” E GLI INCIDENTI

Automobilisti, ciclisti, pedoni e carrozzine: tra distrazione e arroganza


Con giovanile spavalderia, la liceale esce di casa qualche minuto prima delle 8 e, con le cuffie alle orecchie, percorre in bicicletta il marciapiede, dato che il senso unico della strada è nella direzione opposta. Gli archetti a protezione dalla sosta sul marciapiede la costringono a rasentare i muri delle abitazioni. Andrà a 10 km all’ora e lei peserà una quarantina di chili. Finora non è accaduto, ma se, passando davanti ad un portone, investisse una persona che proprio in quell’istante sta uscendo, la investirebbe con un’energia (il quadrato della velocità per la massa…) per la quale sia la ragazza in bici sia l’investito cadrebbero a terra con una certa violenza. Raggiunto l’incrocio, il senso unico si inverte e la studentessa, sicura e spensierata, senza badare ad altri, compie una diagonale e pedala poi sulla sede stradale.

chierchini14FBUn altro caso. Terminata la pausa di metà giornata, gruppi di giovani, in cravatta e tacchetti, a frotte, rientrano negli uffici. Il loro rispetto del semaforo è legato più che al rosso alla conclusione della barzelletta o del discorso che il più autorevole tra loro sta conducendo. Il clacson delle auto che partono appena scatta il loro verde o che accelerano vedendo il giallo, favorisce spesso vivaci alterchi, nei quali l’automobilista ed il pedone si rendono conto per un attimo del rischio corso, incolpando l’altro della responsabilità dello scampato incidente. Con questa convinzione, nessuno modifica il proprio comportamento.

E proseguo con situazioni cui si può assistere ogni giorno: la mamma che, volendo attraversare proprio davanti al passo carraio di casa, fa avanzare la carrozzina sulla strada, e, solo dopo, guarda se arriva un veicolo; il giovane in motorino che arrivando all’incrocio vede che sta per scattare il verde ed accelera sgusciando tra le auto in sosta e quelle che stanno partendo, dando per scontato che nessuno girerà a destra; l’automobilista che, alla ricerca di un posto auto libero, improvvisamente frena, accende i lampeggianti e curva per poter parcheggiare guadagnando un indiscutibile diritto di prelazione; l’anziana signora con il carrello della spesa che attraversa la strada dove e quando crede più opportuno, alzando una mano in segno di richiesta di benevola comprensione per la sua avanzata età; il garzone del fruttivendolo che con una cassetta di frutta sul retro della bicicletta, guida con una sola mano perché con l’altra dialoga al cellulare; il nonno amorevole che scorge il nipote uscire da scuola ed apre di slancio la portiera della sua vettura in seconda fila…

Potrei continuare con molti altri esempi che accadono, lo ripeto, con cadenza giornaliera nelle “quattro strade” del mio quartiere. Per ciascuno dei casi ora riportati, potrei fare nome e cognome e, se non conosco il nome della persona, potrei indicare dove abita o dove lavora. Sono convinto che ciascuno dei lettori potrebbe riconoscere questo o quel soggetto che si comporta così, nel proprio quartiere.

Tra gli esempi di comportamenti rischiosi, non si può non accennare all’uso di strumenti tecnologici alla guida, abitudine da quasi tutti considerata pericolosa se compiuta dagli altri. In queste “quattro strade”, da numerosi conteggi, anche se casuali, ogni 12 veicoli che passano ce n’è uno guidato da un “telefonante” senza prevalenza di età, di sesso, di nazionalità. La dittatura della tecnologia ci rende uguali. Ma accanto a queste distrazioni, altre ugualmente pericolose sono molto meno note: è la guida con la mente “vagante”, assorta su questioni personali, belle o brutte, di lavoro o di affetti, non importa: il percorso è conosciuto (spesso è quello casa – lavoro) e si guida imbambolati, con lo sguardo fisso su un punto del parabrezza, con il campo visivo ristretto ed i riflessi attutiti.

Questi sono i più consueti comportamenti pericolosi in queste “quattro strade” di un pezzo di quartiere di Milano. Qui almeno due volte a settimana un’autoambulanza raccoglie da terra un pedone, un ciclista, un motociclista o, con l’aiuto delle cesoie dei pompieri, estrae dalla vettura un ferito immobilizzato. E non potrebbe essere altrimenti, dal momento che nel 2016, l’ultimo anno di cui abbiamo dati ufficiali, sono accaduti nelle strade del comune di Milano quasi 9.000 incidenti (8.935 per l’esattezza) che hanno provocato 50 decessi e quasi 12.000 feriti (11.905, sempre per l’esattezza). In media, 24 incidenti al giorno, 32 feriti al giorno, quasi un morto a settimana. Si tenga conto che il numero degli incidenti riguarda soltanto quelli che provocano danni alle persone che sono state trasportate ad un Pronto Soccorso, e che il numero dei decessi prende in considerazione solo quelli che accadono entro 30 giorni.

Anche per gli incidenti, come l’altra volta per la sosta dei camioncini, queste “quattro strade” sono assimilabili alle altre 4.000 della città e si prestano a far sorgere numerose proposte per ridurre il più possibile il numero degli incidenti e la loro gravità. Qui mi limito a ricordarne solo tre, che da tempo compaiono nelle mozioni finali della stragrande maggioranza di convegni e nelle raccomandazioni di esperti di ingegneria del traffico.

La prima è la presenza di un vigile nei principali incroci, con funzione deterrente delle più diverse scorrettezze compiute dagli utenti della strada, da tutti gli utenti della strada.

La seconda è una profonda revisione dell’attuale esame per il rinnovo della patente, che deve essere accompagnato anche da una prova pratica su strada.

La terza è l’introduzione di un sistema automatico di regolazione della velocità in ambito urbano (50 km orari, sempre) montato di serie sui veicoli, ed il posizionamento di strutture permanenti di controllo della velocità, magari con la possibilità di sperimentare limiti variabili, in funzione di determinati parametri.

È da aggiungere che queste tre proposte appaiono semplici e sono da tempo note, ma comportano un impegno “politico” prima ancora che “trasportistico” molto notevole. È quasi superfluo aggiungere che l’impegno necessario alla loro anche parziale attuazione comporterebbe una stima ed una riconoscenza cui, di questi tempi, non siamo più abituati.

Gianfranco Chierchini

 

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