19 marzo 2018

DORFLES UNO E TRINO

Non solo un aneddoto


Forse alcuni di voi avranno notato i due ritratti di Gillo Dorfles che ho diffuso nei social alla notizia della sua scomparsa. Parlare della loro genesi mi offre l’occasione di testimoniare dell’esperienza estremamente interessante e dell’opportunità che ho avuto, facendo la sua conoscenza, di crescere come pittore di ritratti. Ma anche contribuire a descriverne l’originale personalità.

In occasione dell’inaugurazione di una mostra, intitolata Coppie, che ho fatto qui a Milano nel 2006 e per la quale avevo pubblicato un piccolo catalogo, avevo invitato naturalmente anche Dorfles. Poiché non si era fatto vedere, mesi dopo decisi di inviargli una copia del catalogo, accompagnato da poche righe con le quali proponevo di fargli un ritratto. Inaspettatamente egli rispose con un biglietto molto gentile con il quale accettava la mia proposta, aggiungendo che mentre posava avremmo potuto fare delle piacevoli conversazioni, e mi raccomandava anche che i tempi di posa non fossero troppo lunghi.

Dato che non intendevo ritrarlo dal vero ma utilizzare, come faccio di consueto, delle fotografie che dovevo eseguire personalmente, gli ho telefonato per informarlo e per chiedere quando sarei potuto andare a fotografarlo. Registrai una certa delusione da parte sua per il fatto che non gli consentivo di mettersi in posa e mi disse che al momento per vari impegni non poteva incontrarmi. Nelle settimane successive alle mie ripetute telefonate rispose sempre accampando impedimenti, finché a un certo punto, un po’ spazientito, mi disse che potevo andare da lui il giorno successivo alle ore 16 in punto, lasciandomi intendere che non avrebbe potuto concedermi molto tempo.

Nel prepararmi a incontrarlo mi venne l’idea di portare con me i ritratti di alcune persone che Dorfles certamente conosceva bene per avviare una possibile conversazione. Preciso che i ritratti non erano intelaiati ma semplicemente arrotolati e quando alla mia richiesta accettò di vederli, li srotolai sul pavimento. Come primo commento, che mi sembrò un complimento, disse “questi ritratti respirano” ma immediatamente dopo incominciò a fare varie osservazioni e critiche molto esplicite, come: “guardi Battisti che dopo Francis Bacon sul tema del ritratto non c’è più nulla da dire” oppure “i suoi ritratti sono puramente imitativi, non hanno nulla di artistico” e ancora, piegandosi agilmente (ormai centenario) sulle ginocchia per indicare con l’indice puntato “vede, questi dettagli sono puramente decorativi, non hanno alcun significato pittorico” e infine per scoraggiarmi “ma lei non è un architetto? Perché non fa il suo mestiere invece di dedicarsi alla pittura?” Potete immaginare il mio disagio, tanto che, dopo aver tentato di avanzare qualche giustificazione, raccogliendo i miei lavori osservai che non era certamente più interessato. Ma lui, del tutto inaspettatamente, mi disse che era comunque disponibile per un ritratto. E ciò mi mise in grande difficoltà perché a causa delle sue critiche mi sentivo, come potete ben immaginare, del tutto inadeguato al compito. Come estremo tentativo di sottrarmi, osservai che in casa ormai non c’era più luce naturale sufficiente per eseguire le foto che mi sarebbero servite per il ritratto. Ma lui guardando fuori dalla finestra constatò che le strade erano ancora ben illuminate e mi chiese di seguirlo: scese con grande agilità le scale dell’edificio di piazza Lavater dove viveva e si mise in posa davanti a un muro per farsi fotografare.

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Cosa che feci con grande ansia, scattando un gran numero di istantanee da molti punti di vista senza affettivamente sapere a cosa sarebbero servite. Poi ci salutammo e me ne tornai a casa. Come potete immaginare da quel momento incominciò per me un travaglio molto impegnativo perché non sapevo veramente come affrontare il suo ritratto. Continuavo a riguardare le foto, ripensando a ciò che mi aveva detto e alle critiche esplicite e dirette mosse al mio lavoro. Finché, a un certo punto, mi vennero in aiuto le molte foto che gli avevo fatto e le utilizzai combinando tre viste, per formare la grande testa una e trina, della quale eseguii parecchi esperimenti e versioni.

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Mutazione 1, 2007, olio su tela, cm 77 x 96

Devo riconoscere che senza lo shock dovuto alle critiche di Dorfles al mio lavoro, espresse in modo tanto esplicito e diretto non mi sarei mai trovato nella condizione di dover riflettere intensamente sul valore e il significato di quanto stavo facendo. In effetti mi sentivo già gratificato per il fatto stesso di usare pennelli colori e tele: ossia di dipingere. Ma il valore di ogni mio ritratto, fino a quel momento, si era ridotto a una maggiore o minore somiglianza con i soggetti rappresentati e poco più. Una volta terminato il lavoro gli proposi di mostrarglielo in occasione di una cena con amici comuni, anche perché speravo che in presenza di terzi avrebbe evitato di muovermi critiche troppo dirette. Ma Dorfles rifiutò in modo risoluto, chiedendo di vedere il ritratto in privato e prima di chiunque altro, invitandomi ad andare a mostrarglielo al più presto. Potete immaginare con quale stato d’animo e con quanta agitazione mi accinsi a farlo.

Quando mi trovai in sua presenza e gli srotolai dinanzi la mia tela, con mia sorpresa disse qualcosa che ancora oggi non sono in grado di valutare se sia stato un apprezzamento del tutto positivo: “Non avrei mai immaginato che lei sarebbe stato in grado di farmi un ritratto così interessante. Desidero averlo”. Però io non sono mai riuscito a separarmene, a causa di ciò che quel ritratto rappresenta per me ancora oggi. Poi, come da lui richiesto, gliene consegnai una copia riprodotta a colori su tela del tutto simile all’originale che conservo, ben esposto, nel mio studio.

Credo sia chiaro quanto siano state utili per me le sue critiche, che mi hanno costretto a ripensare il mio approccio al tema del ritratto. A lui riconosco anche il merito di avermi spinto a superare il conformismo pittorico dell’uso dei pennelli, dei colori a olio e delle tele, che ho successivamente abbandonato per arrivare a dipingere con le dita usando solo acrilico nero su carta.

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Sguardo 3, 2012, acrilico su carta cm 100 x 150

È con questa tecnica che ho successivamente realizzato un altro suo ritratto che non ho avuto l’occasione di mostrargli personalmente.

Mi resta la curiosità e il rammarico di non sapere come lo avrebbe commentato.

Emilio Battisti



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