16 maggio 2017

“BANDO ALLE PERIFERIE” E LARGO ALLA REGIA DEL PUBBLICO

Opportunità e sperimentazione per misure strutturali


Il piano periferie lanciato dal Comune di Milano lo scorso mese di novembre ha un merito e un’ambizione. Il merito è quello di aver messo il tema delle periferie al centro dell’agenda amministrativa della città di Milano, e di averlo fatto in modo concreto e non stereotipato (è interessante, ad esempio, il fatto che, accanto a quartieri di edilizia residenziale pubblica, il piano periferie coinvolga anche aree come Quartiere Adriano o come via Padova, che poco o nulla hanno della periferia stereotipata fatta di case popolari).

07comelli18FBL’ambizione, dichiarata dallo stesso sindaco Beppe Sala è quella di “annullare il divario tra una Milano che cresce e funziona e una Milano che soffre e fa fatica”, insomma l’ambizione di superare le disuguaglianze.

Ha però anche un grosso limite: affrontare la questione periferie guardando principalmente agli aspetti strutturali significa lasciare sullo sfondo un prezzo importante del problema (le persone e le loro relazioni) e, in ogni caso, significa essere legati ai tempi delle opere pubbliche, del “mattone”, tempi lunghi, forse troppo lunghi per chi vive in situazioni di bisogno e di malessere crescente.

La qualità della vita, semplificando ma non troppo, può essere ricondotta a cinque elementi cardine: (1) la casa e l’abitare; (2) i collegamenti e l’accessibilità; (3) il lavoro; (4) i servizi pubblici e privati come scuole, presidi sanitari, biblioteche, ma anche negozi e luoghi di svago e di aggregazione; (5) la qualità delle relazioni che, in ultima analisi, è conseguenza di tutto quanto precede senza però esserne la somma algebrica.

La qualità delle relazioni nasce dal vivere in luogo dignitoso e accessibile, dal sentire di avere opportunità e possibilità di miglioramento della propria condizione, dall’avere a disposizione servizi essenziali e dal percepire sicurezza nel proprio ambiente e fiducia nei propri “vicini di casa”. Sono questi gli aspetti più delicati, quelli che il grande investimento del piano periferie non riesce (o non riesce ancora) a toccare.

E qui prova a inserirsi il Bando Periferie presentato a inizio maggio con scadenza il 5 giugno 2017, che ha il merito, indiscusso, di mettere sul tavolo (e, si auspica, anche della valutazione dei progetti e delle idee che saranno proposte) la complessità urbana, le connessioni e l’intreccio delle funzioni che possono trasformare il sopravvivere in vivere (bene).

Alcune delle parole chiave introdotte dal bando sembrano spostare l’asse, ribaltare l’ordine di priorità verso la quotidianità della vita e delle relazioni tra le persone; il bando propone una serie di obiettivi ambiziosi – bellezza, felicità, vivacità e vitalità, connessione e accessibilità, apertura e solidarietà – contrapposti alle situazioni di partenza, spesso caratterizzate da monofunzionalità dei luoghi, da degrado, da mancanza o scarsità di connessioni e di mezzi pubblici, da insicurezza o percezione di insicurezza, dall’isolamento sociale e relazionale (oltre che fisico) e dalla mancanza di opportunità.

Da qui la valutazione, essenzialmente positiva, del Bando Periferie che, tra i pregi, ha essenzialmente il fatto stesso di esserci e di individuare aree prioritarie; compito della politica, in un’epoca di risorse particolarmente limitate, è anche quello di scegliere, di individuare priorità, e il bando lo fa.

Sul versante positivo si colloca anche la scelta, implicita nelle caratteristiche bando, di evitare gli interventi a pioggia che, lo si è visto negli anni, difficilmente riescono a incidere sul territorio e a favorire relazioni e collaborazione tra realtà che operano nel medesimo contesto. Ci sono poi aspetti necessariamente meno positivi, tra cui spiccano i tempi ristretti, per la presentazione dei progetti, e per l’attuazione degli stessi.

Tempi ristretti per la presentazione dei progetti può significare progetti (troppo) semplici e, soprattutto, molto già visto, ma, guardando l’altra faccia della medaglia, può anche essere da stimolo al confronto, alla collaborazione tra realtà diverse e alla messa in rete di idee, energie e risorse. Tempi stretti per l’attuazione può invece significare progetti meno ambiziosi, poco sperimentali e, per questo, meno incisivi.

Ed è esattamente questo il rischio più grosso che, tuttavia, può essere evitato se il Bando Periferie sarà luogo di sperimentazione, per l’amministrazione ancor prima che per i soggetti coinvolti.

L’auspicio è quindi che questo sia solo il primo passo e che da “bando per l’erogazione di contributi destinati a progetti a sostegno della rigenerazione urbana nell’ambito delle periferie milanesi” il bando si trasformi in misura strutturale. Se così sarà, il Bando Periferie potrà essere, davvero, il primo passo concreto per un’attività di rigenerazione, umana e urbana al tempo stesso, dei quartieri periferici.

Perché ciò avvenga dovrebbero succedere almeno quattro cose: (1) che i progetti e le proposte che saranno presentati, inevitabilmente non tutti vincitori, non vadano comunque persi e possano essere la base di studio e di partenza per una riflessione più ampia e diffusa sui bisogni delle periferie; (2) che la scelta di destinare parte del bilancio del Comune di Milano a interventi, diversi dalle opere pubbliche, sulle periferie milanesi si trasformi in misura strutturale, andando a rafforzare significativamente – a partire dal prossimo anno – l’importo a disposizione. (3) che il bando periferie sia, anche per le realtà che operano sul territorio e intendono partecipare al bando, occasione di collaborazione, di confronto e di sfida su progetti multidisciplinari, che mettano in gioco competenze e ambiti diversi, solo così si potrà passare dagli esiti, quasi impercettibili, dei tanti piccoli e grandi bandi degli anni passati a risultati concreti e di lungo termine; (4) che il bando si trasformi in una piattaforma in cui sia l’amministrazione comunale, forte e arricchita dagli esiti e dalle proposte del bando periferie, a assumersi direttamente la regia dei progetti, per coinvolgere le realtà territoriali su attività e priorità definite dall’amministrazione stessa partendo dall’ascolto e dalla lettura di quello che succede nei quartieri.

Perché 540 mila euro sono pochi, troppo pochi, per incidere sulla qualità della vita e delle relazioni nei quartieri difficili di Milano, ma sono un investimento importante per lanciare una sperimentazione diffusa che, come è nella natura delle sperimentazioni, possa poi estendersi e essere adottata su larga scala, valorizzando ciò che funziona e rivedendo e ripensando ciò che non funziona.

E perché la sperimentazione, affidata anche a soggetti terzi, possa diventare azione politica strutturale, è uno l’ingrediente che non può mancare: il ruolo centrale, di regista e di coordinatore, dell’amministrazione.

Elena Comelli



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