29 marzo 2017

NOI I MIGRANTI E LA NOSTRA COSCIENZA

Artù l’incessante danza della mescolanza


Premessa. Quanto è grave e profondo il problema di cui ci accingiamo a trattare in questo scritto? Talmente grave e talmente profondo che – a giudizio di chi scrive – può segnare il destino politico e umano di chi lo voglia davvero affrontare, costi quel che costi. Esempio pratico: perché Bersani non vinse le famose elezioni “già vinte” del 2013?

06mercatanti12FBSì ok, tutti gli errori che volete: Monti, il giaguaro, la sottovalutazione di Grillo, una campagna troppo poco arrembante e una naturale ritrosia culturale del Paese a guardare davvero a sinistra, senza la mediazione di personaggi cosiddetti “moderati” o provenienti dalla rassicurante tradizione cattolica.

Ma, a mio modo di vedere, tanto (e sottolineo tanto) fece anche l’annuncio pubblico e solenne di voler prendere un provvedimento sullo ius soli nei “fatidici” primi cento giorni di governo e la fotografia in cui il candidato Presidente del Consiglio del centrosinistra, al termine di un comizio, prendeva in braccio una bambina di colore.

Ci ho pensato su e vi chiedo di fare altrettanto: quante foto di politici come quella avete visto in Italia? Di più: quante foto come quella avete visto nel mondo? Un politico che, al culmine di una campagna elettorale, si espone al punto di prendere letteralmente in braccio la questione e annunciare che la prima cosa che farà il suo prossimo governo sarà investire politicamente, culturalmente e socialmente sulla mescolanza?

Ve lo dico io: non ne avete vista nessuna. E sapete perché? Perché con foto e propositi come quelli, ancora oggi, in Italia e non solo, un politico può persino perdere elezioni già vinte. Perché quello della mescolanza e della “biodiversità” è un tema ancora troppo vivo, troppo scivoloso e troppo rimosso, nel profondo più profondo di ciascuno di noi. Ecco perché, con il progetto Artù, abbiamo deciso di affondare il cucchiaio proprio lì. Perché è proprio lì che sta il grumo più resistente e invincibile della nostra cronica e ancestrale incapacità di cambiare.

Artù è dunque questo: pratiche e narrazione della mescolanza. Per ora è solo una pagina su Facebook e una serie di iniziative di mescolanza pura, poi si vedrà. Artù è una spada nella roccia. Una spada che sta lì da tanto, forse da sempre, e che nessuno è mai riuscito a estrarre. Anche perché – se qualcuno ci fosse riuscito – si sarebbe trovato di fronte a un fatto a dir poco sconcertante: la spada, in realtà, termina in un cucchiaino, strumento deputato alla interazione degli elementi e alla loro mescolanza.

Abbiamo detto interazione, non integrazione, essendo la prima dinamica e la seconda statica, avendo la prima un carattere di pariteticità e la seconda una evidente gerarchia degli elementi coinvolti.

Artù è dunque un’arma. Sì, un’arma. Perché con meno di questo non si affronta il drago che dobbiamo combattere. E perché – parafrasando James Baldwin [scrittore afroamericano degli anni successivi a Martin Luther King] – non tutto quello che si affronta può essere sconfitto, ma di certo non si sconfigge niente se non lo si affronta. E quello che oggi dobbiamo finalmente affrontare non è il drago in sé, ma il drago in noi.

E l’unica arma efficace contro questo tipo di drago è quella che propone Artù e che sta conficcata in quella maledetta roccia, che altro non è che il “maledetto muro” che abbiamo nella testa, di cui cantava Ivano Fossati già nel 1983, in quel meraviglioso brano sulle preclusioni mentali che era La musica che gira intorno. Un muro che non ci permette di superare paure e preconcetti per accettare qualcosa che si discosti più o meno minimamente dall’idea di normalità che ci siamo fatti. Un muro che diventa muro contro muro quando entra in contatto con la normalità degli altri. Un muro, infine, che ci condanna a vivere sempre e comunque divisi, per il sollazzo e il vantaggio dei pochi che su quelle divisioni prosperano e imperano.

Tutte cose che sappiamo ma non basta più. Bisogna agirle le cose, non limitarsi a saperle.

E quindi ecco Artù e le sue mescolanze, come quella realizzata il 22 marzo scorso al cinema Beltrade, quando – sapendo che «il Medio Oriente qui da noi non riscuote nessuna fortuna» – abbiamo organizzato una mescolanza tra donne con il velo e donne senza (con sold out e replica giovedì 6 aprile, alle 20, con tanto di confronto dopo la proiezione, sotto i portici della parrocchia, per chi abbia davvero voglia di mettersi a tu per tu con i propri pregiudizi) e come quelle che realizzeremo prossimamente, al ritmo di una al mese, ovunque ci capiti, per mescolare qualunque genere di diversità e per vedere – non di nascosto – l’effetto che fa.

Artù ha il suo manifesto e un linguaggio tutt’altro che aulico, che teorizza tra l’altro il superamento del «buonismo buonista» e un approccio più eticamente compromesso e «bastardo» con la mescolanza. Artù ha il suo modo di intendere il confronto, che non può non comprendere anche lo scontro e che non può non annoverare tra i suoi nemici giurati – come si è detto – il nemico che è dentro ciascuno di noi, prima ancora che è fuori.

Perché, parliamoci chiaro, nessun assetto di potere e nessun rapporto di forza può essere così durevole se non si innesta su una predisposizione largamente radicata e condivisa nel tessuto sociale. In tutto il tessuto sociale, comprese quelle comunità culturali e politiche che si sentono immuni o, peggio ancora, che si vedono come la cura del problema.

Artù nasce da una costola di Passepartout – Rete di Imprese Sociali (di cui ambisce a essere inserto autonomo e, all’occorrenza, irriverente), grazie al contributo creativo di Ideificio e Altavia e con il compito di proporre una contro-narrazione (o meglio ancora, una narrazione avalutativa, lontana dal clamore sensazionalistico, terroristico e penoso del racconto mainstream, allenato a polarizzare tutto, nella convinzione che paura e odio siano viatici di vendita e diffusione estremamente più efficaci di qualunque mescolanza e sfumatura).

Perché le cooperative di Passepartout hanno capito che in Italia non si potrà mai fare accoglienza vera se non si aggrediscono davvero le cause della diffidenza e della paura che si collocano molto al di là, al di sopra e al di sotto dei biechi interessi elettorali di Salvini.

Artù ha, infine, una sua certa idea di come si debba essere per diventare mescolatori seriali: un po’ «bastardi» (nel senso etimologico del termine), per niente facili e sempre poco allineati al potere costituito e alle sue sempiterne e perverse dinamiche. Perché solo così potremo attrezzarci ad affrontare davvero quel solito, vecchio, irriducibile e maledetto muro per cercare, infine, di tirarlo giù. O almeno a girarci intorno. Come fa l’andamento circolare di un cucchiaino che mescola. O come fa la danza.

 

Mauro Mercatanti

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