28 febbraio 2017

CITTÀ STUDI E RHO-PERO: GEMELLATI A FORZA

Muoversi contro i cittadini nell’interesse di chi? 4 domande


Da qualche tempo il nostro gruppo di cittadinanza attiva “Che ne sarà di Città Studi” discute di uno scenario così rischioso per il nostro quartiere e al tempo stesso così probabile, che ci pare incredibile sia stato finora sottovalutato in modo tanto palese dalle istituzioni. Solo di recente, le autorevoli dichiarazioni provenienti dal Municipio 3 finalmente cominciano a contenere elementi di allarme e di urgenza, ma il discorso complessivo ci sembra ancora piuttosto indefinito e non in grado di influire sulle gigantesche dinamiche che si stanno mettendo in moto.

03vanoli08FBRho-Pero e il post-expo – Comune, Regione e Governo – i tre soci di Arexpo – non sono riusciti in trent’anni a mettere in piedi un progetto di rilancio dell’area ex – industriale di Lambrate, malgrado la presenza dell’Università degli Studi. Ora, decidendo di dare credito al piano dell’ultimo rettore di questa importante istituzione, tenteranno l’espianto dell’Università dal nostro quartiere per re-impiantarla lontano dalla città, sperando di farle assumere là il ruolo che non hanno saputo darle qui.

Ai cittadini di Città Studi ‘gemellati a forza’ con Rho-Pero, l’assessore all’urbanistica fa sapere che la scelta del trasferimento non è stata del Comune: un’Università prestigiosa al centro di un quartiere popoloso in zona semi-centrale, viene spostata in blocco per la decisione di un rettore e il Comune subisce la decisione senza far nulla – e anzi, insieme ai suoi soci in Arexpo, si profonde in sforzi economici, concessioni edificatorie e dilazioni temporali di ogni genere per la riuscita dell’espianto. Questo atteggiamento del Comune ci pare singolare e richiede un approfondimento:

Città Studi – Nel 2011, Politecnico di Milano e Università degli Studi elaborarono un progetto “Città Studi Campus Sostenibile”. Partendo dal presupposto che le Università giochino un ruolo decisivo per supportare politiche di sostenibilità e innovazione sul territorio, l’iniziativa si poneva nel solco delle più recenti e innovative sperimentazioni in atto in tutto il mondo: l’Università tende ad abbandonare la propria “torre d’avorio” e si apre alla città, non solo in modo figurato ma anche fisicamente, abbattendo barriere architettoniche e integrandosi con il tessuto urbano (è il concetto di ‘Università perno’, tema che ci è caro e al quale è dedicata la nostra rubrica di approfondimento Campus and the City).

Questa prospettiva è stata sconvolta dall’arrivo dei (tantissimi) fondi per il post expo: ora il campus sostenibile fautore di sviluppo per il quartiere è diventato nelle parole di Vago “molto più costoso” della soluzione trasferimento (ma i costi per il quartiere nel suo studio di fattibilità non sono conteggiati), l’allora rettore di Polimi Giovanni Azzone diventa il presidente di Arexpo, mentre il coordinatore di quel progetto, Alessandro Balducci, diventa il commissario in pectore che gestirà la pratica Città Studi per conto del Comune.

Certo stupisce questo cambio repentino da parte di illustri rappresentanti di Università pubbliche (“mi conviene: lo faccio, il quartiere non è un problema mio”), ma stupisce ancora di più la debolezza del Comune nel mettere in atto iniziative a difesa del suo quartiere: Il patto per Milano e il patto per la Lombardia, stipulati di recente dal Governo con Comune e Regione, non prevedono infatti alcuno stanziamento né compensazione per Città Studi.

Tutto ciò che i nostri appelli hanno ottenuto finora è stata la promessa di “istituire un commissario” che – secondo le dichiarazioni del Comune – tenterà di mantenere la vocazione dell’area a servizi, mediante il rafforzamento dei vincoli alla destinazione d’uso delle aree. Questa misura, pur necessaria, non ci pare sufficiente, vediamo perché.

Il rischio di deriva immobiliare – Intanto il master-plan di Arexpo procede spedito: dall’insolito attivismo del rettore deduciamo che a breve l’Università degli Studi metterà in vendita gli edifici a prezzi di realizzo (secondo stime del corriere della sera, addirittura alla metà del prezzo di mercato). Un compratore “di peso”, presumibilmente già individuato e proprietario a sua volta di una SGR che colloca fondi immobiliari sul mercato nazionale ed estero, rileverà in blocco le aree e – acquisita una posizione oggettivamente dominante – procederà all’interlocuzione con il commissario del Comune da posizioni di forza.

Qual è la logica dietro la non-scelta di lasciare nelle mani di un interlocutore immobiliare il “rilancio” di un quartiere universitario? E come essa si concilia con la volontà di “mantenere la vocazione a servizi” e “impedire operazioni di speculazione”, come da dichiarazioni del Comune? Il proposito di ottenere questo risultato mediante vincoli sulla destinazione delle aree sembra solo una scelta difensiva fatta da un soggetto che subisce decisioni prese altrove. Essa potrebbe addirittura rivelarsi un comodo alibi per chi, rallentando gli investimenti (il mercato immobiliare vede un’abbondanza di offerta in questi anni), volesse usare il degrado delle aree per orientare la rabbia dell’opinione pubblica contro “la burocrazia” e a favore di posizioni politiche più concilianti.

Mentre il proprietario delle aree persegue il suo obbiettivo di valorizzazione, il quartiere può restare per anni sospeso in un limbo, con alle spalle un’incombente periferia anch’essa già svuotata di funzioni. A dispetto delle buone intenzioni che il Comune dichiara a parole, ci pare che il rischio di riconversione immobiliare forzata del quartiere sia un’ipotesi con cui ci si debba confrontare anziché rimuoverla. Tale rischio è già ben percepibile in questo documento redatto a suo tempo da Cassa Depositi e Prestiti.

Le domande – Per contrastare tale rischio, il Comune dovrebbe smettere di giocare in difesa e farsi protagonista in prima persona del rilancio dell’area, trovando le risorse necessarie, indicando un obbiettivo di sviluppo sulla scia del succitato “Campus Sostenibile” e selezionando i partner privati funzionali alla sua realizzazione. Poniamo le seguenti domande nella speranza di aprire finalmente una discussione seria su questo argomento. E’ nostra intenzione rivolgerle a quanti più soggetti politici sarà possibile:

* Ritiene probabile il preoccupante “scenario di rischio” da noi prospettato? In caso contrario, può spiegare quali fatti la portano a prevedere esiti diversi?

* Ritiene che un Commissario sia lo strumento più adeguato per fronteggiare i rischi di riconversione immobiliare forzata da noi paventati? Se si: quali obiettivi e quali poteri darebbe per attuare un piano di mitigazione del “rischio” davvero efficace e non revocabile?

* Ritiene che il Comune debba portare il tema di Città Studi all’attenzione dei soci di Arexpo, luogo nel quale ha un peso azionario sufficiente a determinare ogni decisione presa contro i propri interessi?

* Nello specifico, ritiene che in quella sede il Comune debba usare il suo potere di interdizione per reperire da Regione e Governo (anche a titolo di compensazione) le risorse per un progetto di ”rilancio” di Città Studi?

 

Roberto Vanoli
Comitato “Che ne sarà di Città Studi”

 

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