23 novembre 2016

PIAZZA DEL LIBERTY: UN DOPPIO DELITTO

La cultura dello spazio urbano non è quella dell’ultimo minuto


Si contano sulle dita di una mano gli interventi previsti dal Piano di ricostruzione del centro di Milano del 1949 che abbiano saputo interpretare la tradizione della città e che siano riusciti a inserirsi nel tessuto storico senza devastarlo irreparabilmente. Tra le poche ricostruzioni attente ai caratteri tipici della spazialità urbana troviamo la sistemazione a portici del Corso Vittorio Emanuele e, alle sue spalle, la creazione della piccola piazza che in seguito sarà chiamata piazza del Liberty.

08tonon38fbCon la doppia teoria di portici il corso si arricchisce di quei luoghi tipicamente urbani, di mediazione tra la strada e gli edifici e tra pubblico e privato, che avevano reso famosa Milano ai tempi di Bonvesin de la Riva e di Galvano Fiamma. Con l’apertura della piazza è reinventato quello spazio pubblico, anch’esso tipico della tradizione urbana, che è definibile come stanza a cielo aperto: un ambiente di dimensioni non eccessive, discreto, identificato essenzialmente dalla cortina degli edifici che lo circonda e che, non lontano da piazza Liberty, ha due nobili esempi in piazza San Fedele e in piazzetta Belgiojoso. Come queste, anche la nuova piazza ha un impianto rettangolare e prende il nome dall’episodio architettonico ritenuto di maggior importanza. In questo caso l’importanza è associata non solo al valore architettonico ma anche e soprattutto al valore civile.

Se sulla piazza è oggi possibile ammirare la bellezza della facciata Liberty che ancora nel 1943, quando fu gravemente danneggiato dai bombardamenti, caratterizzava l’albergo Corso in corso Vittorio Emanuele, poi demolito, è per merito della strenua difesa che di quel bene culturale hanno fatto il Comune e la Soprintendenza: un caso raro di resistenza delle istituzioni pubbliche agli assalti degli interessi privati, allora rappresentati dalla società immobiliare che aveva avuto l’incarico di realizzare gli edifici della nuova piazza e che, ritenendo diseconomico il salvataggio della facciata Liberty, ha cercato in tutti modi di ottenerne la distruzione. Basterebbe questo a impedire ogni intervento che possa oscurare e svilire quella vittoria civile.

A maggior ragione andrebbe impedito il progetto arrogante, per non dire insultante, della Apple che in totale disprezzo per la storia di Milano non solo degrada a marginale comparsa l’edificio oggi protagonista delle piazza (e che non a caso le ha dato il nome), ma addirittura abolisce la piazza, devastandola con una spropositata rampa che tutto evoca fuorché una scalinata. Nella millenaria tradizione di disegno urbano della piazza italiana ed europea, cui Milano appartiene, la scalinata è l’elemento architettonico che si erge dal piano terra verso l’alto a inquadrare spesso un edificio monumentale, pubblico quasi sempre.

Al contrario, ogni scala che si apre nel suolo urbano per portare nel sottosuolo, nella nostra esperienza, funziona da accesso alla metropolitana oppure da rampa di accesso ai box o a un garage. Non diventerebbe più nobile se al loro posto, al termine della discesa, si trovasse l’ingresso a un negozio e neppure se l’ingresso fosse sormontato, come nel progetto di Norman Foster, da un mastodontico lastrone di cristallo. Quest’ultimo, semmai, a chi si trovasse là sotto, a tre metri di profondità, è molto più probabile che produca la sensazione sgradevole di avere sulla testa una potenziale ghigliottina. Né una lunga rampa potrebbe mai diventare per tutti un comodo teatro per eventi culturali, come si sostiene da più parti. È più facile che si trasformerebbe in un luogo degradato del bivacco diurno e notturno.

D’altro canto, chiunque abbia a cuore la cultura e la qualità della vita milanese non consentirebbe l’errore urbanistico di chiudere con l’Apollo l’ennesimo cinema per sostituirlo con l’ennesimo spazio commerciale: il cinema è una delle poche funzioni superstiti in grado di assicurare al centro cittadino quel poco di vitalità culturale che gli è rimasta e che può fare da argine alla sua definitiva trasformazione in un unico noioso shopping center.

In questa prospettiva suona veramente come una presa in giro la promessa di utilizzare di quando in quando come schermo cinematografico uno dei lastroni di cristallo: prima si compie il delitto e poi sulla tomba del morto, con grande magnanimità, ci viene regalata la lapide in memoria!

Un’ultima considerazione. A sostegno dell’invasivo intervento della Apple qualcuno sostiene che la piazza era poco utilizzata. Non è vero. Semmai è stata a lungo utilizzata in maniera impropria in quanto ha accolto al suo interno un parcheggio fino al 2012. Ma dal 2014 la piazza è rinata.

Ospitale e discreta, riposata e riposante, coerentemente con la sua originaria natura e la sua collocazione a ridosso del Corso Vittorio Emanuele, la piazza del Liberty oggi accoglie numerose persone che possono muoversi liberamente a piedi in tutte le direzioni, darsi convegno dopo il cinema e i ristoranti, o, ancora, sostarvi a godere di un momento di tranquillità e silenzio prima di reimmergersi nel flusso concitato e rumoroso della folla lungo i portici. Né vanno dimenticati cosiddetti eventi artistici per i quali, in più di un’occasione, la piazzetta ha funzionato benissimo come teatro.

Per ottenere tali risultati è stato sufficiente togliere le auto, cambiare la pavimentazione e collocare una lunga aiuola-panchina: è bastato un intervento delicato, attento al contesto, mosso esclusivamente dal desiderio di decoro e di buona educazione. Lontano mille miglia dagli eccessi esibizionistici spaesati e spaesanti che hanno martoriato in questi ultimi anni il corpo di Milano, la misurata riqualificazione di piazza del Liberty ci ha fatto sperare che a Milano potesse ancora esserci spazio per la sua radicata misura civile. Se non vogliamo che questa speranza si riveli un’illusione occorrerebbe sospendere la condanna a morte sia del cinema Apollo sia della piazza del Liberty. Unico possibile compromesso: se non si riuscisse a impedire la smobilitazione del cinema Apollo, che almeno la Apple si accontenti di aver divorato il sottosuolo, e lasci salvo il suolo.

 

Graziella Tonon

 



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