7 marzo 2017

LO SCIOPERO GLOBALE DI “NON UNA DI MENO” A MILANO

L’8 è donna, per autodeterminarsi


L’8 marzo sarà una giornata di sciopero in 40 paesi nel mondo. Uno sciopero femminista, indetto in ogni luogo con accenti e priorità diverse, ma con un’attitudine comune: rendere visibile la violenza del patriarcato e reagire sottraendosi ai propri compiti e alle proprie abitudini. Un’onda partita dall’Argentina con il movimento «Ni Una Menos» ha attraversato la Polonia con lo sciopero per il diritto all’aborto del 3 ottobre 2016 e si è manifestata in Italia con «Non Una Di Meno» e le giornate del 26 e 27 novembre a Roma, che hanno segnato l’inizio della scrittura di un Piano Femminista Antiviolenza.

02cossutta09Questa marea femminista nasce, quindi, con la capacità di tenere insieme, in maniera non retorica, il piano locale con quello globale, attraverso parole d’ordine comuni declinate in modo diverso. Dopo le giornate romane anche in Italia si è scelto di dislocare la lotta nei diversi luoghi, creando reti e iniziativa locali. A Milano a dicembre è nato un percorso «Non Una Di Meno», che raccoglie associazioni, collettivi e singole di età e provenienze diverse, che ha già iniziato ad attraversare la città in molti modi (qui o sulla pagina Facebook Non una di meno – Milano trovate più informazioni).

«Non Una Di Meno» intende la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere come un elemento strutturale della nostra società, che va ben oltre i singoli episodi di femminicidio, gravissimi nel loro essere punta di un iceberg fatto di violenze meno visibili e di discriminazioni quotidiane. Per questo il Piano Femminista Antiviolenza si articola su 8 tavoli di lavoro, che esprimono la consapevolezza che non possano esserci soluzioni emergenziali alla violenza, né che inasprire le pene possa essere utile: se la violenza è strutturale, per affrontarla serve un cambiamento altrettanto strutturale. Per questo si parla di percorsi di fuoriuscita dalla violenza e di soluzioni giuridiche, ma anche di educazione, comunicazione, salute, lavoro, welfare e migrazioni.

Lo sciopero diventa, quindi, un modo per rivendicare questo cambiamento radicale della società, che viene declinato in 8 punti specifici. In questo percorso «Non Una Di Meno» ridefinisce anche il concetto stesso di sciopero. Da un lato, infatti, mettiamo in discussione la divisione tra lavoro produttivo e riproduttivo e proponiamo di scioperare anche da tutti quei lavori di cura che spesso sono svolti dalle donne e che non vengono considerati lavoro; dall’altro siamo consapevoli della difficoltà di scioperare tra contratti precari e lavoro nero e per questo proponiamo anche forme simboliche di sciopero: vestirsi di nero e fucsia, organizzare momenti di incontro sul luogo di lavoro, mettere una risposta automatica alla mail fino a rifiutarsi di svolgere quel surplus di lavoro gratuito spesso legato al genere (sorridere, vestirsi in un certo modo, etc.).

Proprio in questa ridefinizione dello sciopero si saldano le alleanze, che hanno caratterizzato fin da subito il movimento, con tutte le soggettività LGBTQ che vivono forme di violenza e discriminazione basate sulla stessa matrice patriarcale e machista: donna, quindi, diventa un termine politico forte, legato a una posizione nella società prima che alla biologia.

Uno sciopero politico, quindi, a partire dallo slogan «Se le nostre vite non valgono, noi scioperiamo» e che sceglie come data simbolo l’8 marzo per immaginare un festa delle donne senza donne, una sottrazione rispetto alle aspettative, un imprevisto, una rottura del quotidiano e delle sue abitudini. Allo stesso tempo, però, lo sciopero permette una festa delle donne in cui le donne diventano protagoniste: non oggetti di festeggiamenti spesso ipocriti, ma soggetti di lotta.

Lo sciopero, perciò, come spazio di utopia molto concreta, come tempo in cui incontrare le altre, attraversare lo spazio pubblico, costruire momenti di sovversione delle oppressioni quotidiane e sperimentare una gioia arrabbiata e condivisa da conservare come una sensazione che sappia farci vedere più chiaramente la violenza. Lo slogan che accompagna le manifestazioni argentine è «ci vogliamo vive» e per realizzare questo desiderio, non possiamo che farlo insieme, traendo forza dalle differenze che ci attraversano. L’8 marzo è un modo di prendersi il tempo e lo spazio per iniziare a farlo.

Carlotta Cossutta



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