17 ottobre 2023
CITTADINI, ELETTORI E “ANIME MORTE”
De profundis
Se il linguaggio è cultura, come spiega l’attinente antropologia, colpisce un termine entrato nel gergo corrente, indicativo dell’orizzonte intellettuale medio del ceto politico in carica. Se infatti nei partiti storici il rapporto politico era stabilito tra vertice e base, e quello organizzativo tra centro e periferia, ora l’eventuale attenzione di parlamentari e leaders apicali è rivolto “ai territori”.
La diffusone di questo termine generico non cancella le differenti posizioni o, come si dice oggi, “narrazioni” più o meno variegate; tuttavia è sintomo di un’omologazione latente, di un atteggiamento di malcelata superiorità e distacco rispetto ai cittadini ivi viventi e operanti.
Se infatti ancora nel 1990 la legge 142 sull’ordinamento delle autonomie si riferiva alle “comunità locali” quali elementi di base della repubblica democratica, ora l’elemento umano pare lasciare il campo ad anonimi e indistinti “territori”.
Nel volgere di una generazione il comunismo è morto, la socialdemocrazia alquanto debilitata, e pure la semplice democrazia non si sente molto bene. Incombe infatti una post-democrazia, tendenzialmente speculare alle “democrature” che hanno talvolta soppiantato i regimi esplicitamente autoritari nell’est e nel sud nel mondo.
Vale la definizione del politologo Colin Crouh: “una situazione in cui tutte le forme della democrazia continuano a funzionare, ma sono diventate un rituale, perché le decisioni importanti sono prese altrove” tra le élite e le lobby. (*)
Orbene la liturgia rituale consiste essenzialmente nella caccia al voto che da mezzo per realizzare idee e programmi diviene il fine, col corollario di occupazione di posti e quote di sottopotere. Prova ne sia il progressivo svilimento delle assemblee elettive, dal Parlamento ai Consigli comunali, rispetto alle cariche monocratiche ed esecutive.
Le pessime leggi elettorali che si sono susseguite hanno inoltre ampiamente consentito meccanismi perversi di cooptazione e trasformismo. I “territori” vengono allora percepiti come contenitori di voti, e gli elettori come numeri da contare e contrattare, quali le “anime” della proprietà terriera russa schernita da Gogol.
La reazione delle “anime morte” si riversa pertanto nella crescente astensione, nel silenzio assordante di un’ampia opinione pubblica diffidente e sfiduciata (resistono il voto di scambio e, sempre meno, quello di fedeltà). L’astensionismo di massa e le politica autoreferenziale si ignorano a vicenda, approfondendo su entrambi i lati il vulnus inferto al regolare corso democratico.
Tornando infine al nostro specifico “territorio” milanese e metropolitano possiamo rintracciare alcuni sintomi conclamati di post-democrazia realizzata:
– La sostanziale continuità, nelle scelte essenziali, tra le amministrazioni cittadine di segno formalmente opposto: Albertini-Moratti e Pisapia-Sala, tanto da indurre, nelle ultime elezioni, ad una malcelata “desistenza” del centro-destra.
– L’emarginazione delle voci di opposizione isolate in un “ghetto”, libere di esprimersi ma non di farsi ascoltare, non meritevoli di repliche e controdeduzioni rispetto a critiche e proposte alternative motivate.
– Una funzione tecnocratica e aziendalistica. Il sindaco di Milano, ma anche Metropolitano, anziché elevare la visione politica alle interconnessioni con la vasta area circostante, da autentico manager si limita a rappresentare i propri azionisti, ovvero i residenti anagrafici del capoluogo.
Gli altri, ovvero i cittadini reali giornalmente presenti dentro i confini formali ma non elettori (finalmente definiti su Arcipelago workers e non solo users) considerati invece come le esanimi anime del possidente Cicikov!
Valentino Ballabio
(*) Intervista a Millenium, ottobre 2023.
2 commenti