27 febbraio 2018

VIVERE DI QUANTO BASTA

Un’intervista al Presidente di Fondazione Cariplo Giuseppe Guzzetti


Presidente Guzzetti, inizio quest’intervista sul vostro progetto per Milano “Qu.bì, quanto basta, la ricetta contro la povertà infantile” dicendole che mi è molto piaciuto il “quanto basta” perché ritengo sia importante riflettere su come sarebbe diversa la ridistribuzione delle risorse e anche delle opportunità se ognuno di noi vivesse di “quanto basta”. Intravedo quindi in questo progetto, e io personalmente apprezzo, l’indicazione di un’etica oltre che di un modello di sviluppo. Ci può raccontare quale intuizione, quali situazioni di vita osservate vi hanno mosso?

05ponzini08FB“Qu.bì, quanto basta, la ricetta contro la povertà infantile”, è un progetto dedicato a circa 20000 bambini che a Milano non hanno un’alimentazione sufficiente, in pratica “fanno la fame”, nel senso che realmente non mangiano abbastanza. Abbiamo voluto usare termini positivi per affrontare questo problema perché anche il linguaggio nella comunicazione ha un senso, non volevamo sottolineare la tragedia, anche se di tragedia si tratta: è lo stile di Fondazione Cariplo, intervenire senza fare ulteriori danni con un approccio troppo sensazionalistico, che finisce per frustrare ancora di più le famiglie che si trovano in queste condizioni. Le povertà che generano fame, esclusione, miseria, si possono combattere e sconfiggere se affrontate nel modo giusto.

Tutto nacque in un tardo pomeriggio dell’autunno 2016. Un giornale riportava i dati e le stime del fenomeno forniti dalla Caritas di Milano: lessi che c’erano migliaia di bambini che vivevano in povertà, non ci potevo credere. Convocai immediatamente i nostri collaboratori e chiesi loro di studiare un progetto per risolvere il problema. Il 16 dicembre, due mesi dopo, in occasione delle celebrazioni per il venticinquesimo compleanno di Fondazione Cariplo, il progetto era pronto e lo presentammo davanti a 400 persone, coinvolgendo da subito Comune di Milano, Caritas e Banco Alimentare. Abbiamo stimato che serviranno 25 milioni di euro: 12 milioni di euro li ha messi subito a disposizione Fondazione Cariplo, 5 milioni Fondazione Vismara, 3 milioni Intesa San Paolo, 300.000 euro Fondazione Fiera. Ora dovremo raccogliere altri 4,7 milioni di euro con l’apporto di aziende e di persone comuni: il progetto ha programmazione triennale. Lo abbiamo fatto perché riteniamo che occorra attivare la sensibilità di tutti, provvedere da soli non avrebbe avuto senso, questo è un problema di cui deve farsi carico l’intera città, chi la vive e chi ne trae ricchezza.

Ho letto che l’erogazione dei fondi è stata preceduta da analisi, ricerche, incroci di dati, al fine di destinare le risorse in modo corretto, laddove davvero c’è il disagio. Parlate proprio di una mappa della povertà che indica che a Milano quasi 20.000 minori vivono in uno stato di povertà assoluta. Sarà possibile in futuro tracciare anche una mappa geografica delle aree della città nelle quali si concentrano maggiormente le famiglie più in difficoltà? Le faccio questa domanda perché ritengo sia diverso per un nucleo familiare risiedere in un quartiere come il Giambellino, con una storia e una tradizione associazionistica e di impegno sociale e in cui, quindi poter entrare in contatto più facilmente con una rete di sostegno, piuttosto che al quartiere Adriano, più carente rispetto a queste risorse.

I nostri collaboratori hanno definito la prima fondamentale fase di progetto come “analisi di data science”. Cosa significa? C’è intelligenza progettuale e ingegneria di intervento dietro questo progetto. Adottare il tradizionale modello di intervento di semplice erogazione di fondi non avrebbe inciso, come invece ci auguriamo faccia “Qu.bi’”. Abbiamo dunque agito con due azioni in parallelo: un’erogazione immediata di 3 milioni di euro donati a Caritas, Banco Alimentare e Fondazione Pellegrini, perché era necessario dare subito una risposta di primo intervento. La fame non può aspettare. La seconda azione ha invece previsto la raccolta e l’analisi di tutti i dati relativi al fenomeno. Non si può affrontare un problema così senza conoscerlo a fondo. Siamo riusciti a unificare i data base di chi sostiene i poveri in città, tanti dati che nessuno prima d’ora aveva razionalizzato, e così siamo arrivati ad avere quella che è stata definita la mappa, o meglio la fotografia del problema, molto realistica. L’obiettivo era conoscere a fondo chi fossero le famiglie, dove abitassero, in quali condizioni vivessero, quali eventi avessero generato tali situazioni di povertà: perdita del lavoro, divorzi, immigrazione…solo conoscendo le cause si sarebbe potuto intervenire. È vero, anche i quartieri, cioè il contesto in cui queste famiglie vivono, sono diversi e dunque gli interventi non possono non tenerne conto. È innovazione sociale, direi intelligenza e ingegneria sociale. Di fronte a problemi di questo genere occorre trovare risposte basate su un metodo rigoroso, non sono le risorse economiche a fare la differenza. Si spendono tanti soldi nel nostro Paese, la differenza la fa il modo con cui si spendono.

Proprio per questo sulla città abbiamo attivato due progetti sinergici: oltre a “Qu.bi’” infatti, è partito nel settembre scorso “Lacittàintorno”, un programma intersettoriale di Fondazione Cariplo che, con un impegno di 10 milioni di euro, affronta il tema delle periferie e della povertà culturale, della necessità di rigenerare le relazioni di chi ci vive. “Lacittàintorno” è un programma triennale di rigenerazione urbana. Una sfida ambiziosa, che prende il via nell’ottobre 2017 a Milano, in due quartieri pilota: Adriano/Via Padova e Corvetto/Chiaravalle, rispettivamente nelle aree nord-est e sud-est della città. In queste zone, accanto alle criticità, è presente un ricco tessuto di associazioni, cooperative sociali e gruppi informali, che “Lacittàintorno” vuole valorizzare, promuovendo il protagonismo delle comunità nello sviluppo delle aree e “accendendo le luci” con nuovi progetti artistici e di aggregazione, iniziative culturali e di dibattito.

Il programma “Lacittàintorno” si basa sulla collaborazione tra istituzioni, università, scuole, attori del privato sociale e dell’associazionismo locale, operatori economici e cittadini. Anche in questo caso alla base c’è un metodo scientifico. Un apporto fondamentale infatti arriva dal Politecnico di Milano che sta sviluppando, a sostegno del programma, un percorso di ricerca interattiva, che coinvolga cioè le stesse comunità per fornire una conoscenza accurata e strategica relativa ai contesti di intervento.

Dobbiamo partire dalle periferie, che abbiamo chiamato “città intorno”, perché anche in questo caso non abbiamo voluto connotarle come parti di città di serie b e ai margini. Siamo convinti che la cultura sia in grado di rigenerare le periferie, con importanti ricadute positive sulla coesione sociale. Le periferie hanno un grande potenziale inespresso che confidiamo di riuscire a fare emergere con “Lacittàintorno”. Ricostruire le periferie non vuol dire dedicarsi solo ai muri delle case o degli immobili, vuol dire soprattutto ricucire le relazioni. La parola d’ordine è Comunità.

C’è infine un terzo progetto sinergico con questi temi che Fondazione Cariplo ha lanciato nel 2014: è il Progetto Welfare di Comunità e Innovazione Sociale, che abbiamo chiamato “Welfare in azione”. La Comunità locale oggi è il perno al quale si può incardinare un nuovo sistema di welfare, perché le persone vivono i problemi all’interno di una comunità che sentono come propria, si sentono partecipi e desiderano che quell’ambito generi relazioni e quindi anche quei servizi che aiutano ad avere punti di riferimento e un aiuto in caso di bisogno. Abbiamo immaginato un welfare che nasca dal basso, che abbia una capacità di adattamento alla situazione specifica, che abbia matrici comuni, ma che non sia totalmente standardizzato. Siamo usciti dalla logica delle risorse economiche disponibili, e abbiamo lavorato per attivare e ricomporre le potenzialità di tutti gli attori del sistema, sia dal punto di vista economico che dal punto di vista della conoscenza, delle idee e delle capacità di intervento. Un lavoro enorme, una precondizione senza la quale però l’ecosistema non riuscirebbe a fare il salto di qualità. Abbiamo messo a disposizione 30 milioni di euro per sostenere 30 iniziative che sono già partite. Per far capire quanto interesse ed attenzione c’è intorno a questo tema: sono arrivate alla Fondazione più di 140 idee, abbiamo selezionato 27 progetti triennali (9 per anno) che sono partiti e coinvolgono circa 600 soggetti (tra partner e soggetti della rete). Un progetto di questi è realizzato in collaborazione con il Comune di Milano, si chiama “We.mi”. Gli altri coprono tutto il territorio sul quale la Fondazione è attiva: la Lombardia e le Province del Verbano, Cusio Ossola e Novara. A fronte dei 30 milioni di euro messi in campo da Fondazione Cariplo, si è generato un effetto leva che porta le risorse complessivamente a circa 67 milioni di euro. Avevate mai sentito parlare di una raccolta fondi così importante sui temi sociali? Ma ci sono altri dati che è importante sottolineare. Vi sono oltre 114 mila persone coinvolte nei progetti! Avete capito bene. Pensate che ci sono più di 3000 persone che si stanno dando da fare, si stanno prodigando, partecipano attivamente. Questa è la Comunità che abbiamo in mente! Una comunità che abbia energia e si prodighi per il bene delle persone che ci vivono, siano esse anziani, giovani, disabili o bambini. Vi sono 500 aziende coinvolte a diverso titolo. Abbiamo sempre detto che una delle chiavi di successo di questa sperimentazione è il coinvolgimento delle aziende che, con il welfare aziendale o con altre modalità, costituiscono un pilastro importante del modello pubblico/privato e privato sociale. Le aziende ad esempio sono disponibili ad ospitare le persone coinvolte nei progetti per esperienze lavorative, tirocini, leva civica…Quella che viene definita innovazione sociale è già realtà.

Quali sono a suo parere le modalità attraverso le quali offrire a queste famiglie la possibilità di uscire dal bisogno oltre che attraverso un’erogazione diretta di risorse? Come passare da una ridistribuzione delle risorse a una ridistribuzione delle opportunità?

Conoscendo il problema nei particolari, con minuziosità, si può offrire un intervento mirato a ciascuna famiglia. Sapere che il capo famiglia è disoccupato, o ha problemi di alcolismo, per fare degli esempi, è fondamentale. Solo così potremo attivare, grazie alle organizzazioni di volontariato che operano con noi, azioni utili per combattere il problema. Le risorse economiche sono importantissime, ma è l’approccio con cui si affrontano le situazioni che è fondamentale se si vuole davvero provare a far cambiare le cose.

Missione di Fondazione Cariplo è quella di “essere una risorsa per sostenere le istituzioni a servire meglio la propria comunità”. Anche in una città come Milano, la città più ricca d’Italia, spesso la comunità, soprattutto quando vive in difficoltà, non riconosce le istituzioni come uno strumento, un’estensione della propria volontà. Si identifica più facilmente con le diverse forme non pubbliche di volontariato, di sostegno e assistenza, ma pensa alle istituzioni come altro da sé. Il vostro pensiero e la vostra azione, la gestione dei vostri progetti e servizi, come si intreccia con le decisioni e le scelte delle Amministrazioni pubbliche? Quali sono le condizioni per istituire una regia unica di tutte le iniziative, pubbliche e private, sul territorio? Dove stanno le difficoltà?

È evidente che vi sia una crisi di identità e di fiducia nei confronti delle istituzioni, dovuta non tanto al ruolo che esse hanno, quanto al clima generalizzato nei confronti della politica. Le persone comuni in questa confusione non riescono a discernere e il rischio, ormai conclamato, è di una disaffezione dal bene comune, dall’impegno civico. Vedo però segnali di ripartenza. Spesso le iniziative nascono dal basso, proprio dal volontariato e dal terzo settore, che in questi anni difficili hanno svolto e continuano a svolgere un ruolo fondamentale, facendo anche supplenza allo Stato. Ma sappiamo che le buone intenzioni rischiano di fallire se non vi è comunque un patto tra chi ha a cuore il bene comune: pubblico, privato e privato sociale, come ho sempre detto, sono un triangolo che deve rimanere unito, uno non può prescindere dagli altri, altrimenti si rischiano azioni senza coordinamento, addirittura repliche, sovrapposizioni, sprechi. È quel che dicevamo a proposito della povertà e delle periferie. È vero che il pubblico ha meno risorse, ma può fare massa critica con le intelligenze, le competenze e le energie messe a fattor comune. Per questo ogni iniziativa di Fondazione Cariplo viene concordata e condivisa con gli enti territoriali, nel caso di Milano con il Comune. Non prevarichiamo i ruoli: insieme individuiamo le priorità. Ogni volta che si insedia un sindaco a Milano ci incontriamo e ne discutiamo. All’inizio del suo mandato il sindaco Sala ha subito espresso il desiderio di occuparsi delle periferie, che per noi è un tema fondamentale se non vogliamo che la città si spacchi in due. Ci si siede a un tavolo, si pongono obiettivi, si lavora, si fanno le cose concretamente. Mi lasci dire con un pizzico di orgoglio che oggi…sì…Fondazione Cariplo, in diverse circostanze, ha saputo dimostrare di poter guidare i gruppi di lavoro senza prevaricare i ruoli, ma mettendosi a servizio, come istituzione neutrale. Ecco forse è questo il punto: a volte esistono pregiudizi che rendono difficili le collaborazioni, ma la reputazione di Fondazione Cariplo forse sì, ha favorito, e sta favorendo, le collaborazioni anche tra organizzazioni di diversa natura.

Si parla spesso di aiuti economici da chiedere a mecenati, a personaggi facoltosi, voi per primi dichiarate che vi rivolgerete al mondo dello sport e dello spettacolo, ma non pensa che anche le persone più semplici potrebbero essere felici di contribuire, attraverso aiuti anche piccoli, ad avere una città che non viaggi a due velocità?

Milan e Inter scenderanno in campo a San Siro per il progetto “Qu.bì”. I mondi dello sport e dello spettacolo sono un potente canale di comunicazione per sensibilizzare le persone comuni, proprio quelle alle quali vogliamo arrivare per farci aiutare, per contribuire a questa impresa. Abbiamo pensato dunque a una prima fase di sensibilizzazione. Gli 80.000 spettatori che saranno a San Siro quel giorno, e poi, il 6 maggio, anche il pubblico dell’Armani basket, prenderanno coscienza di un problema di cui non ci si rende ancora conto: quello della povertà infantile. Le tv e i giornali ne parleranno, come è già successo. Infine, in parallelo, partirà una vera e propria campagna di raccolta fondi, attraverso sofisticate piattaforme di crowdfunding. Non avremmo potuto farlo prima perché se la gente non conosce il problema e la proposta per risolverlo, come può decidere di contribuirvi? L’obiettivo è proprio quello di far sì che chiunque possa donare anche uno o pochi euro: il valore di questa azione è molto più che simbolico, significherà che la comunità milanese ha preso coscienza e si è attivata, ed è un obiettivo molto importante del progetto. I milanesi da sempre sono generosi, occorre però concentrare le energie e le risorse in un’unica direzione. Io ci credo.

Chiara Ponzini



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