28 giugno 2017

BASTA GIOCARE CON LE PAROLE, AL CENTRO IL BENE COMUNE

Lettera sulle periferie: la cultura vuol dire preparazione


Gentile Paola Bocci, in merito al suo recente articolo sulla rivista ArcipelagoMilano, ho pensato molto all’idea di rifondazione culturale intesa come un volano di rilancio “peri-ferico” financo alla soppressione della parola “periferia” intesa come definizione superata di un “non luogo” ben lontana dalle idee di rilancio che si vuole attuare e lontana anche da una realtà non più aderente a quelle che pensiamo come zone della città nelle quali rilanciare proposte sociologiche e urbanistiche proiettate verso un futuro inclusivo.

07gennai24FBLa letteratura in materia si è oramai inserita in contesti che vanno ben oltre l’immaginabile sia dal punto di vista sociologico sia dal punto di vista politico e urbanistico, ma anche meramente romanzesco se si pensa ai tanti “gialli” ambientati in periferia, crogiolo di personalità complesse, intellettualmente interessanti per un lettore distante.

Tuttavia, l’idea di rilancio culturale a mio avviso è pienamente condivisibile se gli argomenti passano dalla dialettica a un progetto più ampio e infine alla realizzazione. C’è da dire che l’uso del termine “periferia” oggi è maggiormente legato a un’idea di degrado e di tristezza nell’immaginario collettivo, basti pensare all’idea di un cinema di periferia, un locale di periferia, qualcosa di perso nell’anonimato e nello squallore di un quartiere dormitorio dove a tutto si pensa meno che a vivere.

Penso sia ancora peggio la definizione “poliferia”, con tutto il rispetto per l’intento la trovo davvero aberrante, come del resto altre definizioni che cercano di cambiare qualcosa che è destinato a rimanere inalterato nel tempo, basti pensare al termine “operatore ecologico” o “diversamente abile”, tentativi retorici di edulcorare una realtà più che mai da normalizzare in una società edonistica dove si fa fatica a sopportare l’imperfezione, il turbamento; da qui un conio che ci aiuti almeno a declinare elegantemente ciò che ci disturba visivamente.

Ma quello che più fa pensare del suo articolo, è la visione d’insieme che pare assente. Mi spiego meglio. Si parla di rilancio culturale prevalentemente orientato alle periferie, partendo da un’idea elegantemente sovversiva di quella che oggi è, per esempio, l’organizzazione degli eventi piuttosto che la visibilità delle tante iniziative culturali periferiche che restano lontane dai circuiti centrici cittadini, cosi come certe iniziative formative a livello scolastico più frequenti in centro piuttosto che in periferia.

Colgo tuttavia un’idea nobile di un vero “rinascimento” omnicomprensivo che attui un allineamento di concetto nel quale centro e periferia siano “un unicum” al fine di annullare quanto possibile le distanze socioculturali e ideologiche con le aree più centrali.

Ma non è forse di cultura che dovremmo parlare anche in altri settori della società? Lei non crede sia necessario inserire la cultura in ambienti amministrativi dove chi gestisce dovrebbe essere il primo portatore di cultura? La cultura dov’è?

Si ha la sensazione di vuoto quanto si ascoltano gli interventi di molti amministratori pubblici a tutti i livelli istituzionali, come non avessero la minima formazione di base per fare il mestiere che fanno, completamente avulsi alle logiche quasi banali a cui dovrebbero attenersi per poter svolgere al meglio le funzioni a loro assegnate.

Come è possibile attuare una rivoluzione culturale partendo dal basso soprattutto quando i legami istituzionali presenti tra chi detiene il potere, sono meramente ideologici, totalmente privi di cultura peraltro in antitesi con quella che si pensa essere un’idea di condivisione partecipata tanto di moda quanto “chimera”.

L’effimero tentativo di far passare “quattro chiacchiere” al bar come tavolo partecipativo, quattro idee di rilancio culturale come proposta di rilancio, risulta quanto di più lontano dalla sua proposta o meglio dalla sua visione di un futuro che non si attuerà finché persone come lei non si spenderanno per sovvertire dall’interno l’autoreferenzialità e l’arroganza che a oggi persistono tra i tavoli amministrativi e portano distanze e non convergenze tra cittadini e amministratori ma che soprattutto appaiono totalmente avulse dalla cultura nel senso che lei da a questo termine.

Ecco che il rilancio culturale delle periferie sarà attuabile, ma a valle di un risanamento culturale generale dell’amministrazione pubblica che passi da una selezione accurata delle persone chiamate a gestire il “bene comune”. Non, come avviene oggi, attraverso una nomina politica o peggio cambi di poltrona che tutto hanno meno che un senso, se non quello di detenere il potere in virtù di un’ideologia, che potrebbe anche essere giusta se filtrata da una visione culturale di società. Per non parlare dell’esercizio del potere che oggi è senso di responsabilità versus il cittadino e non un’idea alta di cives che annulla l’interesse personale.

Non senza conseguenze potrà essere veritiera la sua proposta, non senza spendersi oltre il confine colto ed elegante dell’esposizione potrà attuarsi un’inversione di tendenza, non senza entrare nel merito potrà esorcizzare i demoni del potere che dominano i pulpiti illustri dell’intellighenzia cittadina, sì portatrice di cultura classica ma meno preparata ad affrontare la puzza della plebe e le viscere delle periferie dove a suo dire bisogna portare la cultura che altrimenti da sola non ci arriva.

Gianluca Gennai

Il commento è stato pubblicato in prima istanza sul portale partecipaMi.it

 



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