13 giugno 2017

NO ALLA SCHEDATURA DELLE DONNE

I Centri Antiviolenza lombardi contestano Regione Lombardia


Non vogliono cedere alla deriva securitaria di Regione Lombardia: i 18 Centri Antiviolenza della Rete Lombarda. E chiedono che l’accoglienza e l’ospitalità delle donne che vivono in una condizione di violenza siano compiute in luoghi idonei, i Centri Antiviolenza, appunto. Su ventinove organizzazioni di varia natura accreditate da Regione per accedere ai fondi messi a disposizione dal Governo per la lotta alla violenza sulle donne, oltre il 60% ha deciso di correre il rischio di non ricevere i già pochi fondi distribuiti da Regione. Cinque i no che hanno espresso le rappresentanti dei centri lombardi:

06rossi22FB(1) No all’inserimento nell’Albo regionale di enti, associazioni e fondazioni che non abbiano le caratteristiche dei Centri Antiviolenza; (2) No all’improvvisazione da parte di realtà che si sono sempre occupate d’altro e che vedono in quest’attività un accesso ai finanziamenti pubblici senza avere un’adeguata e continuativa esperienza; (3) No all’obbligatorietà della sottoscrizione di protocolli interistituzionali per l’iscrizione all’Albo; (4) No all’impostazione attuale del sistema di raccolta dati ORA con l’imposizione dell’identificazione della donna con il suo codice fiscale; (5) No alla pubblicizzazione del “fascicolo donna”.

Due le delibere di Regione Lombardia che hanno provocato la dura reazione dei Centri : quella del 19 dicembre 2016 che istituisce il sistema ORA (Osservatorio Regionale Antiviolenza) e quella del 28 aprile 2017 che determina le caratteristiche delle organizzazioni che possono iscriversi all’Albo dei Centri Antiviolenza.

La Convezione di Istanbul garantisce che i luoghi di accoglienza e ospitalità possano essere di sole donne, derogando alla discriminazione sessuale e anche l’Intesa Stato Regioni del 27 novembre 2014 sancisce che i centri antiviolenza sono “associazioni e organizzazioni operanti nel settore del sostegno e dell’aiuto alle donne vittime di violenza, che abbiano maturato esperienze e competenze specifiche in materia di violenza contro le donne, che utilizzino una metodologia di accoglienza basata sulla relazione tra donne, con personale specificatamente formato sulla violenza di genere”.

La Presidente del primo Centro Antiviolenza italiano, l’avvocata Manuela Ulivi della Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate di Milano, afferma che la Regione contraddice se stessa: “Si cerca di svalorizzare il lavoro dei centri: a livello nazionale è stata riconosciuta l’importanza e la validità della metodologia dell’accoglienza, un metodo che consente alle donne di aprirsi perché in relazione con un’altra donna. Un centro antiviolenza è un luogo, sono le relazioni, il lavoro di anni di esperienza, non si può limitare ai professionismi”.

I centri lombardi che si riconoscono nella rete nazionale D.i.Re. Donne in Rete contro la violenza si oppongono all’inserimento nell’Albo Regionale di enti, associazioni e fondazioni che non abbiano le caratteristiche dei centri antiviolenza e ritengono fondamentale che i criteri selettivi contemplino sia la presenza di sole operatrici donne, sia l’attuazione della metodologia dell’accoglienza in un contesto che dia continuità al progetto delle donne, così come previsto dall’articolo 1 della citata Intesa Stato Regioni e dalla Convenzione di Istanbul.

La contestazione si basa soprattutto sulla convinzione che un centro antiviolenza non possa nascere dall’improvvisazione da parte di realtà composte da professionisti che fino a poco tempo prima si occupavano d’altro e i Centri temono che nuovi soggetti si improvvisino in questa “attività” per poter accedere ai finanziamenti pubblici senza un’esperienza adeguata in un luogo idoneo.

Un altro motivo forte di contestazione è la richiesta di compilazione del sistema ORA e l’ideazione del cosiddetto “fascicolo donna”. Dalla loro esperienza (che in molti casi supera i 20 anni) i centri ritengono che la richiesta dei dati, codice fiscale compreso, metta a rischio le donne. L’anonimato e la segretezza sono i punti cardine dell’attività dei Centri Antiviolenza e la reazione di quelli lombardi alla richiesta stringente della Regione è stata forte e chiara: No.

I Centri Antiviolenza vogliono continuare a raccogliere i dati statistici che consentono di monitorare il fenomeno così come non si rifiutano di fornire le informazioni “necessari e coerenti per verificare i finanziamenti, quello che non funziona è che Regione chieda la tracciabilità e la gestione del percorso della donna vittima di violenza attraverso la creazione del fascicolo donna” continua l’avvocata Ulivi.

Tutti i dati, codice fiscale compreso, dovrebbero, secondo il progetto del Pirellone, andare direttamente a Regione Lombardia che esige anche il recupero del fascicolo donna e le informazioni in esso contenute. Segretezza addio. L’attuale impostazione del sistema di raccolta dati non tiene conto delle fasi dell’accoglienza secondo le rappresentanti dei Centri lombardi: “L’imposizione dell’identificazione della donna attraverso il codice fiscale a partire dalla cosiddetta fase di ‘presa in carico’ non consente una lettura completa e corretta del fenomeno ed è contrario al principio dell’anonimato, cardine della metodologia dei centri antiviolenza e previsto nella Convenzione di Istanbul”.

L’esperienza dei Centri Antiviolenza ha saputo individuare in passato strumenti di raccolta dati con codici alternativi al codice fiscale che i Centri ritengono possa essere una soluzione che preserva le donne e nel contempo garantisce la raccolta dei dati necessari.

Stefania Rossi



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