28 Ottobre 2025
EDILIZIA SOCIALE “A CHE PUNTO È LA NOTTE” *
Avanti piano, anzi pianissimo
28 Ottobre 2025
Avanti piano, anzi pianissimo

Vorrei parlare di due argomenti: l’edilizia sociale come infrastruttura abilitante e la spinosa questione delle iniziative edilizie in regime di collaborazione pubblico/privato, del quale diffido.
Costruire case per chi non se lo può permettere vuol dire avere chiaro un concetto: la disponibilità di case è un fattore abilitante come sono fattori abilitanti le ferrovie, gli ospedali, le autostrade, gli edifici pubblici, le scuole, le università e tutti quegli edifici che non hanno solo un valore in sé ma che servono ai cittadini per realizzarsi, insomma per vivere e che fanno di un Paese un Paese civile.
La “casa” è indubbiamente uno di questi e non va assolutamente trattato come un problema di mercato immobiliare.
Vale dunque la pena di raccontarne qualcosa e della tribolata storia che comincia con il famoso Piano Fanfani al quale ha accennato di recente Emmanuel Conte Assessore al Bilancio, Demanio e Piano straordinario Casa in un recente convegno organizzato dal Circolo Caldara proprio sul tema CASA. Lo ha citato come primo esempio di grande investimento del Governo sulla casa: il “Piano Fanfani” del 1949 è il Piano INA-Casa, un progetto di edilizia residenziale pubblica voluto dall’allora ministro del Lavoro Amintore Fanfani.
Dopo di allora sulla CASA si sono fatti molti errori. Abbiamo visto passare la famosa legge 167 del 1962, la Legge 487 del 1964, la legge 22 ottobre 1971 n. 865 e molte altre ancora.
Certo rimediare a sessanta anni di errori nella politica della casa non è una robetta che si fa in quattro e quattr’otto ma per cominciare a cambiar strada basta un attimo, un po’ di amarcord e l’abbandono della demagogia. Gli errori storici fondamentali sono stati due: la creazione di categorie di privilegiati e la svendita del patrimonio di edilizia residenziale pubblica di ogni genere, da quella dei cosiddetti allora Istituti Autonomi Case Popolari a quelli degli enti previdenziali e ai fondi pensione e, per finire, i beni demaniali statali e comunali.
La vera tragedia però iniziò con la legge 560 del ’93 imponendo che in ogni Provincia dovesse essere alienata parte del patrimonio di edilizia residenziale pubblica (non meno del 50%, non più del 75%), e che «sono soggetti a vendita gli edifici acquisiti, realizzati o recuperati a totale carico, o con concorso, o con contributo dello Stato, della Regione o di enti pubblici territoriali». Una follia.
A questi errori se n’è aggiunto un terzo più di recente, quando l’edilizia popolare ha cominciato a chiamarsi “housing sociale”: l’illusione che per provvedere a queste necessità si potesse far carico ai privati di una “quota” del nuovo edificato. Ma andiamo per ordine cominciando dalla creazione di categorie di privilegiati da un lato e di sventurati dall’altro lato, con una premessa sulla quale non torneremo: ancora oggi vi è una categoria di nostri concittadini che non hanno mai avuto e mai avranno le risorse economiche per provvedersi di un tetto né di un affitto lontanamente paragonabile al mercato, né tantomeno in acquisto.
Si iniziò il depauperamento dei patrimoni di edilizia pubblica: il ricavato fu ed è insufficiente non dico a sostituire il patrimonio venduto, con uno nuovo e in migliori condizioni, ma nemmeno a mantenere quello esistente; il patrimonio fu reso ingovernabile avendo costretto le amministrazioni a vendere singoli appartamenti creando condomínii tra pubblico e privato la cui vita è difficilissima sia per il pubblico, sia per il privato; favorendo con il meccanismo della prelazione i residenti che poterono e possono acquistare a prezzi largamente al di sotto del mercato e persino del puro costo di costruzione, indipendentemente dal loro reddito famigliare reale.
Oggi a che punto siamo?
Si è andati avanti solo con le lottizzazioni convenzionate che prevede una quota di edilizia sociale attraverso una convenzione in cui il lottizzante (costruttore) si impegna a realizzare parte degli alloggi a condizioni economiche agevolate, garantendo che vengano venduti o affittati a prezzi calmierati. In cambio di questa obbligazione il Comune autorizza lo sviluppo dell’area.
La legge sull’edilizia convenzionata in Italia si basa principalmente sulla Legge n. 167/1962 per l’istituzione dei Piani per l’Edilizia Economica e Popolare (PEEP), che mira a realizzare alloggi a prezzi contenuti. La normativa si è evoluta nel tempo attraverso diverse leggi, tra cui (Testo Unico in materia edilizia), che hanno definito e modificato le convenzioni, i vincoli e le modalità di cessione degli immobili. La convenzione, stipulata tra il Comune e il costruttore, regola le condizioni di vendita e affitto a prezzi calmierati, spesso imponendo un vincolo di alienazione o locazione per almeno cinque anni.
L’inconveniente è che perché si facciano degli alloggi in edilizia convenzionata bisogna che ci siano degli operatori interessati a farla e quindi bisogna aspettare loro: se non ve ne sono bisogna aspettare che arrivino. Teniamo presente che siccome la quota di edilizia convenzionata nelle convenzioni supera raramente il 10%, per avere cento alloggi in convenzionata se ne realizzano 900 in edilizia libera.
Sulla casa le ultime novità arrivano da un comunicato del Comune intitolato PIANO STRAORDINARIO CASA. AL VIA LA NUOVA STRATEGIA PER L’ABITARE IN AFFITTO ACCESSIBILE che trovate qui e che val la pena di leggere perché rappresenta un esempio di rapporto pubblico/privato.
Queste operazioni edilizie ma anche i contratti di servizio hanno un aspetto che va sottolineato: il PUBBLICO ci perde e il PRIVATO ci guadagna per una semplice ragione: al tavolo delle trattative per il privato siedono i migliori tecnici e avvocati con tutte le loro armi di persuasione (marketing), dall’altra parte funzionari del Comune meno agguerriti o politici, purtroppo qualche volta conniventi.
Per concludere un amarcord personale.
Nella mia vita imprenditoriale ma come semplice appaltatore ho realizzato o ristrutturato case di edilizia sociale di ogni genere e con tutte le formule storiche di convenzionamento e, per finire, sono stato per quasi tre anni Consigliere di Amministrazione di Aler. Parlo dunque per esperienza diretta.
Da qui la mia idiosincrasia per il rapporto pubblico/privato in ogni caso ma anche la convinzione che prima di parlare di edilizia sociale bisogna aver visto chi ci sta, come vive, con che affollamento: ci vuole empatia innanzi tutto di tutto per far politica prima di inventare soluzioni possibili: da una parte possedere le aree edificabili e dall’altra i quattrini propri. L’unica condizione.
Luca Beltrami Gadola
* Titolo di un giallo di Fruttero e Lucentini
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