28 Ottobre 2025
LA RIFEUDALIZZAZIONE DI MILANO
Un oggi molto incerto

Nell’ introduzione al suo ultimo libro: Rifeudalizzazione, Massimo De Carolis[1] esamina il declino della democrazia occidentale sotto l’azione e diffusione di un fenomeno nuovo: la concentrazione della ricchezza in poche mani e la simbiosi del potere economico con quello politico, in cui “l’ordine istituzionale nel suo insieme diventa (o almeno rischia di diventare) uno strumento nelle mani degli interessi privati più forti e organizzati, autorizzati a usarlo per consolidare la propria posizione di privilegio e di dominio anche a danno delle altre componenti della società e persino del mondo nel suo insieme”[2] .
Secondo De Carolis è in atto un processo che supera la vecchia dialettica tra politica e grandi interessi economici caratteristica della democrazia, anche nelle sue forme deteriori: corruzione, peculato, concussione ecc. Ci è sempre piaciuto pensare che la forma democratica di governo fosse dotata di solidi anticorpi e che a Milano, forse più che altrove, questi fossero determinanti per garantire l’alta qualità del suo vivere civile.
Ricordiamo le manifestazioni di trent’anni fa a sostegno del pool Mani Pulite, le mobilitazioni del popolo dei fax” e dei “girotondi” le grandi inchieste giornalistiche e le denunce su fatti corruttivi che danneggiavano tutti noi; le inchieste della magistratura sostenute dai cittadini e l’ampia partecipazione a referendum su importanti questioni ambientali e civili.
Quelle mobilitazioni, quei movimenti erano il migliore prodotto di una coscienza civile diffusa ancora presente e attiva, come dimostrano le numerose mobilitazioni di cittadini che si oppongono alla privatizzazione di beni pubblici primari, come lo spazio urbano della nostra città.
Non è più così: le mobilitazioni degli anni recenti stentano a incontrare il consenso della maggioranza e mancano completamente di rappresentanza politica: sembra irrimediabilmente cambiato il rapporto dialettico tra cittadini attivi e rappresentanza politica, le cui scelte sembrano oramai orientate dai poteri economici piuttosto che dalle migliori aspirazioni dei propri elettori. Siamo di fronte a un mutamento economico, sociale e culturale che sembra travalicare ogni capacità soggettiva di fermarlo o dirigerlo. O, per lo meno, io non conosco nessuno che possegga questa capacità, un tempo attribuita alla politica.
Noi cittadini, per un decennio abbiamo creduto che bastasse cambiare i nostri rappresentanti istituzionali per porre rimedio a quelli che ci potevano sembrare eccessi della cultura di destra: così abbiamo votato per il centro sinistra.
Abbiamo impiegato diversi anni ad accorgerci che la direzione non è cambiata, anzi: i processi di disgregazione sociale, di appropriazione in poche mani dei beni pubblici e delle ricchezze della città, di privatizzazione di ogni cosa hanno subito una forte accelerazione proprio con le giunte di centro sinistra.
Le ultime inchieste della magistratura e le ultime decisioni dell’Amministrazione confermano che anche a Milano siamo nella situazione che De Carolis definisce come: “il proliferare di relazioni asimmetriche di affiliazione e vassallaggio, basate su un particolare scambio fra autorità e fedeltà”[3]
Questa mi sembra essere la principale responsabilità politica degli accusati e della Giunta che li ha assecondati e collocati in posizione apicali, al di là di eventuali e poco dimostrabili responsabilità penali. Qui la distanza tra la dimensione di ciò che sta accadendo e i limiti della nostra cultura politica e civile è lampante, come l’inadeguatezza degli strumenti dell’azione giudiziaria e d’indagine a proteggerne i cittadini.
Per mettere in crisi una cultura e una modalità di gestione della città che hanno dato vita a un nuovo sistema socioeconomico non sarà sufficiente cambiare alcuni tecnici e sostituire un assessore. Ma è la sola cosa che abbia fatto questa giunta che, per il resto, prosegue imperterrita.
Anche se le inchieste in corso portassero ad alcune condanne, è evidente a tutti che non cambierebbe il connubio sempre più stretto coi grandi interessi finanziari di una rappresentanza politica sempre meno legata al controllo degli elettori. La simbiosi tra potere economico e politico “è oggi sotto gli occhi di tutti, e solo una ingiustificabile pigrizia intellettuale permette ancora a tanti di trattare recessione e violenza, moneta e guerra, come realtà indipendenti una dall’altra”[4].
Milano e Gaza
A volte, la storia crea delle coincidenze.
A Milano, mentre la magistratura indaga sul rapporto tra politica e affari, centomila persone si sono mobilitate per Gaza, dove per due interi anni Israele ha perpetrato il massacro di una popolazione inerme, condotto con tutti i mezzi bellici economici e politici disponibili – eccetto i gas asfissianti e le bombe atomiche. Il genocidio ha fatto schizzare in alto il valore della borsa israeliana e delle azioni dell’industria bellica in tutto il mondo.
Ci siamo accorti che esiste un legame tra noi e le vittime dei genocidi in corso, perché apparteniamo tutti alla stessa specie; abbiamo capito che l’inumana indifferenza verso le vite dei gazawi dimostrata dai nostri governi per non danneggiare le aziende che sostengono e partecipano al genocidio[5] non differisce da quella dimostrata dalla giunta e dai grandi players immobiliari per la sorte delle decine di migliaia di famiglie costrette ad abbandonare una Milano diventata troppo cara per loro. Non è affatto un caso, che gli stessi grandi fondi di investimento che siedono nei CdA delle aziende che fanno affari con Israele si intreccino con i grandi promotori immobiliari[6] .
Stiamo comprendendo che la logica del modello estrattivo dell’economia globale impone ovunque le stesse regole: che si tratti degli abitanti del Kiwu, del Kordofan o del quartiere San Siro, viene sempre privilegiato l’interesse dell’accumulazione privata di ricchezza su quello degli abitanti che, se danno fastidio, vengono espulsi. Con una differenza, almeno per ora: che fuori dall’Occidente, se non sono bianchi, possono venir macellati nella più totale indifferenza.
Nelle nostre città, in questi lunghi e oscuri due anni, solo una minoranza di studenti e giovani immigrati di seconda generazione hanno capito cosa stesse succedendo e hanno osato manifestare insieme. Sovente sono stati manganellati, sempre derisi e accusati di antisemitismo da un giornalismo servo e da un governo che si sentiva disturbato negli affari della fornitura d’armi e munizioni ai macellai.
Ma loro hanno continuato e, a poco a poco, inorriditi davanti al genocidio, si sono uniti i sindacati di base, i portuali; molti lavoratori hanno iniziato i primi scioperi contro la guerra; in ritardo sono arrivati anche la CGIL e, fra mille titubanze, persino il PD, parte del quale, ancora lunedì scorso, ha votato per mantenere il gemellaggio con la ex capitale dello stato genocida.
La Sumud Global Flotilla ha giocato un ruolo fondamentale, dimostrando che davanti alla violazione di tutti i principi che regolano il diritto e la convinvenza tra i popoli e le persone si può e si deve sempre agire, rendere testimonianza, chiamare alla mobilitazione e, talvolta, si può vincere. Le manifestazioni in suo favore hanno coinvolto milioni di persone, restituendo ai cittadini il loro peso politico.
A Milano hanno manifestato centomila persone: da cinquant’anni non vedevamo una simile partecipazione a una manifestazione politica.
La consapevolezza dell’incommensurabile distanza tra gli interessi economico-politici di un pugno di persone[7] e le regole dell’etica per la convivenza civile sembra non esser mai stata così diffusa in Occidente nell’ultimo mezzo secolo, e ha risvegliato la nostra determinazione a intervenire per evitare la catastrofe comune. I milioni di persone che si sono mobilitate per Gaza sono ancora una minoranza, speriamo sia capace di coinvolgere la maggioranza…
Non sembra proprio volerlo capire la nostra amministrazione comunale che, a partire da Albertini, si è dimostrata sempre più attiva nel favorire e promuovere in ogni modo, e ad ogni costo, l’arricchimento di pochi grandi soggetti economici a spese della maggioranza dei cittadini.
Che si tratti della Lega o dei Civici, di Forza Italia o del PD, di Fratelli d’Italia o dei Verdi; che i sindaci si chiamino Albertini o Pisapia, Moratti o Sala, è diventato impossibile distinguere differenze tra le scelte politiche di fondo: stessi orientamenti, stessa la politica urbanistica, al massimo cambia il linguaggio, la qualità del belletto. I politici di oggi scelgono in base alla loro convenienza personale e di clan.
Non è un caso che l’ex assessora all’urbanistica e agricoltura di un sindaco che aveva indotto grandi speranze, come Pisapia, non sembra porsi problemi come consulente legale dei medesimi fondi i cui appetiti, in teoria, da assessora avrebbe dovuto moderare. D’altra parte, anche lo sponsor principale della candidatura di Giuseppe Sala, l’on. Renzi, all’epoca osannato segretario del PD, non fa mistero di essere legato al principe Bin Salman e al suo fondo saudita[8] mentre, per fare un altro esempio, l’ex ministro dell’interno del governo Berlusconi: Angelino Alfano è diventato presidente del CdA del Gruppo San Donato, di quello della società che gestisce l’autostrada Milano-Torino e della società immobiliare controllata da Esselunga[9].
Se questo è il modello Milano, è facile capire come persino consiglieri comunali noti per la loro sensibilità ambientalista, abbiano sempre preferito intervenire su questioni locali, come il parco Bassini o la svendita di San Siro, che potevano facilitare la loro convivenza con la maggioranza continuando a raccogliere consensi tra i loro elettori, non abbiano mai fiatato quando il Comune svendeva ai privati una fetta importante del patrimonio pubblico, dall’area della vecchia Fiera di Milano al palazzo degli uffici di via Gioia, alle piscine e centri sportivi comunali, a non so quante scuole e altri edifici. Sarebbe interessante scorrere l’elenco dei beni pubblici che il Comune ha ceduto ai privati in questi trent’anni, possibilmente con data, nome dell’acquirente e cifra incassata: chissà chi ce l’ha?
CHE FARE?
Il completo disinteresse che i politici e i partiti dimostrano per il pluridecennale calo dei votanti alle elezioni – oramai siamo stabilmente sotto il 50% – mi sembra una dimostrazione sufficiente del loro volgersi verso interlocutori che offrono loro… come dire? maggiori possibilità di carriera politica e/o professionale?
Certo, sono ancora obbligati a trovare un minimo di base sociale che, votandoli, legittimi la loro carriera personale e di clan. A Milano questa non è costituita solo da alcuni “irriducibili” legati a idee e schieramenti novecenteschi: una certa rilevanza deve avere anche quella fascia abbastanza diffusa di famiglie che, immeritatamente favorita dal possedere beni immobili acquistati in altre epoche o ereditati[10], partecipa senza alcun merito al sacco della città e all’espulsione dei suoi abitanti più poveri, favorendo la trasformazione di Milano in un grande luna park per turisti e gated community per milionari, com’è già accaduto a Firenze, Venezia e Roma, e sta accadendo a Napoli e Palermo[11].
Io non lo so, cosa si possa fare. Ma in queste settimane ho visto studenti, fuori sede, lavoratori precari, medici e sanitari, immigrati di seconda generazione, famiglie con bambini e pensionati scendere per strada insieme e marciare fianco a fianco: e credo che questo rinnovato interesse e sensibilità per i grandi temi che ci coinvolgono tutti potrebbe dare vita a nuove forme di socialità e trovare nuove soluzioni politiche e istituzionali. Da seguire con umiltà e grande attenzione.
Luca Bergo
[1] a Radio 3, durante l’intervista a Fahrenheit del 13 ottobre scorso: (https://www.raiplaysound.it/audio/2025/10/Fahrenheit-del-13102025-cb26e7c4-4792-46ae-8cce-7def19be81d9.html )
[2] Massimo De Carolis: Rifeudalizzazione – la mutazione che sta disintegrando le democrazie occidentali. Ed. Feltrinelli, Milano, 2025 – Introduzione
[3] M. De Carolis: Rifeudalizzazione – Introduzione, pag 8
[4] Ibid: pag. 9
[5] vedi il dettagliato rapporto di Francesca Albanese sulle aziende che traggono profitto dal massacro dei civili in Palestina: https://www.ohchr.org/sites/default/files/documents/hrbodies/hrcouncil/sessions-regular/session59/advance-version/a-hrc-59-23-aev.pdf del 30 giugno 2025
[6] vedi:Alessandro Volpi – Nelle mani dei fondi – Il controllo invisibile della grande finanza, ed. Altreconomia, Milano, 2024; e, dello stesso autore: https://altreconomia.it/le-nostre-citta-in-balia-dei-fondi-immobiliari/
[7] Nel 2024 la ricchezza dei miliardari è cresciuta, in termini reali, di 2.000 miliardi di dollari, pari a circa 5,7 miliardi di dollari al giorno, a un ritmo tre volte superiore rispetto all’anno precedente. (…) In Italia il 5% più ricco delle famiglie italiane, titolare del 47,7% della ricchezza nazionale, possiede quasi il 20% in più della ricchezza complessivamente detenuta dal 90% più povero. Da: Oxfam Italia, rapporto Disuguaglianza – Povertà ingiusta e ricchezza immeritata. https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2025/01/Report_OXFAM_Davos_gen2025.pdf
[8]https://www.corriere.it/sette/politica/23_dicembre_16/matteo-renzi-io-mio-amico-bin-salman-affascinante-ossessionato-numeri-0796efd2-984e-11ee-b6b4-ebf3d7fed83d.shtml
[9] https://it.wikipedia.org/wiki/Angelino_Alfano#.
[10] Quelli che argutamente Mario Allodi, su queste stesse pagine, chiamava “patrizi” contrapponendoli ai “plebei” destinati a lasciare la città: https://www.arcipelagomilano.org/archives/63546
[11] che altro sarebbero altrimenti le pedonalizzazioni dei centri storici, da cui gli abitanti originali sono stati espulsi e dove il costo di ogni merce e servizio è tale da non consentire loro – non dico di fruire di una mostra d’arte – ma neppure di sedersi a prendere un caffè?
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