14 Ottobre 2025
IL CERINO DI SAN SIRO
Un gioco pericoloso per tutti, o quasi

Il gioco del cerino, si sa, è un gioco pericoloso, divertente all’inizio ma alla fine, o anche prima, qualcuno si scotta e piange. Così anche per San Siro, dove da anni il cerino passa di mano in mano e resta da capire chi si scotterà: la politica, i fondi speculativi, i cittadini?
La delibera del Consiglio Comunale, che autorizza la vendita dello stadio e delle aree vicine alle società di calcio Milan ed Inter, in realtà ai loro opachi proprietari, non dovrebbe illudere sullo spegnersi rapido della fiamma, forse troppi gli scogli, troppe le incognite, divergenti gli interessi in ballo, privati e pubblici, politici ed economici, personali e collettivi.
Il cerino, ricordiamolo, si era incendiato tra le dita di Berlusconi e Massimo Moratti, tanti anni fa ma non troppi per dimenticare la montagna di debiti accumulati dai due per i sogni di vittoria calcistica, più o meno innocenti (Moratti), più o meno strumentali (Berlusconi). Prima sogni e poi incubi delle rispettive famiglie: quasi un miliardo di debiti complessivi da ripianare, la ricerca di soci sempre più affannosa, quasi inventati infine presso oscuri e disinvolti partner orientali, disponibili ad accollarseli con spericolate operazioni di “portage” o al servizio di strategie di marketing globale infruttuose ed a loro volta men che sostenibili.
Falliti e scomparsi quelli, il cerino vagabondo è arrivato tra le dita dei fondi speculativi Elliott e Oaktree, certo non sprovveduti al punto da credere che il flusso di cassa delle due società, sempre negativo, potesse ripagare l’investimento. Era chiaro invece che “… quello che conta per questi fondi finanziari è l’operazione edilizia, la speculazione sulle aree di San Siro. A loro interessa San Siro non per lo stadio, ma perché si vendono meglio hotel, uffici, centri commerciali a San Siro che a San Donato o a Rozzano. E con il progetto immobiliare si vendono meglio le due società calcistiche a qualche fondo arabo o mediorientale Tutto il resto sono balle” (Luigi Corbani, ArcipelagoMilano).
Se solo per questo motivo, e basta ed avanza, quelle mani sapienti hanno raccolto il cerino, resta però da chiedersi chi e come abbia garantito “con il suo sangue” che non si sarebbero scottati, che l’onere del servizio (prestito) avrebbe preso la forma del rendimento immobiliare (maxicedola). La domanda è retorica, la risposta è sotto gli occhi di tutti, qualcuno ha “peccato” con pensieri, parole, opere ed omissioni. Amen.
Quindi il cerino è finito tra le mani del Sindaco, senza dimenticare altri passaggi non secondari e non indolori, che il nostro cerino altre mani prima ha toccato o tornerà a toccare. La Soprintendenza ad oggi resta silente sulla qualità di San Siro come bene immobile di valore culturale, nell’attesa che la stipula del contratto di vendita di San Siro prima della scadenza dei termini dei settant’anni previsti dalla legge 42/2004 la sollevi (quasi) dall’incomodo, mentre avrebbe potuto ed ancora potrebbe (*) sollecitare il Comune, come chiedeva l’allora sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi, di cui si può dire tutto ma non che non capisca di arte e cultura.
In ogni caso, ed in attesa dei prossimi sviluppi, la recente delibera comunale fa stato, autorizzando il Comune alla vendita dello Stadio e delle aree vicine interessate: il cerino cambia ancora di mano e passa ora tra le dita del Partito Democratico.
La Direzione Metropolitana ha deciso per la vendita di San Siro a stragrande maggioranza, ed il comunicato del Segretario Metropolitano ne enumera le ragioni, anzi le rivendica con forza.
Certo son stati posti paletti, certo la trattativa intestata alla vicesindaca è stata intensa e delicata, certo i milanesi non dovranno sborsare un euro per il nuovo stadio che resterà in città anzi nel quartiere, certo ne deriveranno importanti risorse per il sociale, ma la paroletta “responsabilità” ricorre troppe volte per non autorizzare anche altre letture, quasi esorcizzando le pesanti controindicazioni della vendita a tutti note, specie su ArcipelagoMilano e che qui non riprendiamo (**).
Una “responsabilità” da leggere anche e forse soprattutto come una sorta di “coerenza” di un partito e di un’amministrazione verso le valutazioni e le intese favorevoli già espresse negli anni passate, sedimentate al punto da impedire ormai un passo indietro. Coerenza “responsabile” nel rispetto di un patto, da migliorare il più possibile, ma impossibile da annullare, pena la perdita di credibilità dell’amministrazione e del partito come interlocutore di potenti soggetti nei processi di cambiamento urbanistico milanese. Questa è forse la più importante e sottesa ragione.
Così rivendicando e così decidendo, il Partito Democratico prende invece su di sé la piena responsabilità dell’operazione e tra le dita un cerino che scotta oggi e domani anche di più.
Intanto, la delibera di vendita del Consiglio è stata presa al prezzo di una grave rottura dell’unità della maggioranza. Verdi e Lista Sala si sono chiamati fuori, politicamente e fisicamente, dalla decisione. I voti necessari sono arrivati da Forza Italia e questo ha un prezzo, non ancora noto ma, c’è da credere, sostanzioso. Un passo politico grave e se Beppe Sala come al solito fa spallucce ed anzi chiama già in soccorso i Riformisti, altri se ne preoccupano, specie in un contesto nazionale che vede crescenti fibrillazioni tra i partner del “campo largo”. Ci sarà ricomposizione ed a quale prezzo? Si sono messi in movimento processi centrifughi che domani peseranno e come sulla coalizione che dovrà presentarsi alle prossime elezioni?
Ma soprattutto, e questa pare l’eredità più controversa e problematica di questo passaggio, il Partito Democratico non trova la forza, la convinzione o la coesione, necessarie per distanziarsi da un metodo di governo della città fondato sulla cessione dei beni comuni a soggetti privati come principale strategia di sviluppo e cambiamento. Uno scenario costante nel tempo che sembra contraddire enunciazioni pur importanti e recenti.
I movimenti di cittadinanza attiva, di partecipazione e di contestazione, della vicenda San Siro, raccolti attorno al “Comitato No Meazza, restano ora privi di interlocuzione nel PD, ma sbaglia probabilmente chi pensa ad un loro malinconico ritorno sotto le tende, anzi pare lecito attendersi ricorsi e contestazioni nelle diverse sedi giurisdizionali. quasi un Vietnam politico – giuridico che, protraendosi nel tempo, vorrà nelle intenzioni rendere l’intera operazione sempre meno profittevole, probabile ed infine sostenibile.
Il cerino è sempre più corto.
Giuseppe Ucciero
(*) Codice dei Bani Culturali (art..10.3 (d) del D.Lgs. 42/2004) “Se le cose rivestono altresì un valore testimoniale o esprimono un collegamento identitario o civico di significato distintivo eccezionale, il provvedimento di cui all’articolo 13 può comprendere, anche su istanza di uno o più comuni o della regione, la dichiarazione di monumento nazionale”
(**) Luigi Corbani, Federico Fedrighini, Luca Beltrami Gadola, fra tutti.
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