14 Ottobre 2025
NON SONO SOLO SCELTE POLITICHE
A chi il “plusvalore”?

Sulla tassazione delle rendite immobiliari il DPR 380/2001, il Testo Unico sull’Edilizia in vigore, dice al comma 4 dell’articolo 16 riformato nel 2014 (testo in nota 1) che il plusvalore economico generato dalle trasformazioni urbanistiche programmate nei piani comunali deve essere dedicato, in una percentuale non inferiore al 50%, alla realizzazione di opere e servizi pubblici. Alcune regioni hanno recepito questa norma in modo completo, altre hanno fatto proprio il principio ma hanno inserito dei distinguo indebolendola parzialmente.
La Lombardia non l’ha mai recepita, anzi afferma con l’articolo 103 comma 1 della LR 12/2005 che questa norma nazionale non si applica essendo la materia già stata in precedenza regolata dagli articoli 43 e seguenti della legge stessa. Tuttavia la tassazione sulla rendita fondiaria desumibile dall’applicazione della vigente LR 12/2005 è di gran lunga inferiore al 50% che dovrebbe, come minimo, andare a vantaggio dell’interesse pubblico. Quindi all’arrivo della nuova norma nazionale avrebbe dovuto essere adeguata.
La norma nazionale in materia di edilizia prevale sulle norme regionali: “Le regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico” (articolo 2 comma 1 del DPR 380/2001).
Il principio desumibile dall’articolo 16 comma 4 è chiaro, non bisogna essere addetti ai lavori per comprenderlo: il plusvalore generato dal piano approvato dall’amministrazione pubblica deve essere ripartito tra interesse collettivo pubblico e operatori privati. Le regioni hanno la possibilità di incrementare la quota che va a beneficio della collettività oltre il valore minimo del 50%. Non possono ridurla.
In ogni caso in assenza di una norma regionale che la recepisca, i comuni sono tenuti a seguire le indicazioni della norma nazionale, quindi ad applicare almeno il 50%: “Le disposizioni, anche di dettaglio, del presente testo unico, attuative dei principi di riordino in esso contenuti, operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai principi medesimi” (articolo 2 comma 3).
La Lombardia non si è adeguata neppure in occasione dell’approvazione della LR 18/2019, che ha ampiamente modificato la LR 12/2005, ma non ha modificato la parte relativa al contributo di costruzione del Testo Unico dell’Edilizia aggiornato nel 2014.
Non si tratta di risorse marginali. Grazie al plusvalore i guadagni nelle trasformazioni immobiliari possono arrivare a percentuali di gran lunga superiori a quel valore tra il 5-15% che si riesce mediamente a realizzare negli altri settori produttivi (2).
Qui sta il nocciolo del problema. Lo aveva illustrato in modo limpido Francesco Rosi nella scena di apertura di Le mani sulla città, del 1963 (visibile su you tube (3)). Quello che accadeva sei decenni fa a Napoli non appartiene al passato, né si è trattato di caso isolato, si è negli anni diffuso alle altre città, grandi e piccole, è diventato prassi, affiancata più recentemente da un sofisticato sistema di comunicazione, ed è oggi incredibilmente attuale.
Non lasciamoci distrarre. Non si tratta di prendere posizione su grattacieli sì o grattacieli no, come il sistema comunicativo vorrebbe farci credere, per poi darci ad intendere che si tratta di scelte politiche, quindi decide chi è stato eletto, è legittimo, siamo in democrazia, non vi è nulla di giuridicamente rilevante.
Invece c’è, e dietro c’è anche un più generale problema culturale. L’urbanistica comunale ha il compito di contemperare le esigenze pubbliche con l’iniziativa privata, ma nel farlo deve mettere al centro prima di tutto il bene comune, deve sempre partire dalla città pubblica. In questa logica si inserisce l’articolo citato del DPR 380/2001 dicendo che almeno la metà del plusvalore generato dalle trasformazioni approvate con i piani deve essere dedicata alla realizzazione di opere e servizi pubblici.
Quando si sviluppano i contenuti del Piano di Governo del Territorio (PGT) (4) si dovrebbe, in teoria, partire dal Documento di Piano dove si definiscono visione e strategie generali per il futuro della città. Nella prassi, fatte salve rare lodevoli eccezioni, si parte invece dal particolare del Piano delle Regole mettendo al centro le proposte dei privati. Ma, se il piano si deve occupare prima di tutto di città pubblica sarebbe più sensato e realistico partire dal Piano dei Servizi, individuando i fabbisogni della comunità locale e le opere e servizi per soddisfarli, quindi le risorse necessarie per realizzarli. Noti fabbisogni e risorse si può procedere a individuare le strategie di risposta e a dimensionare il resto del PGT.
Marco Pompilio
4 commenti