14 Ottobre 2025

FARE I CONTI SENZA L’OSTE: LA PIOGGIA AI NOSTRI GIORNI

Una “telenovela” milanese


Anche il più accanito negazionista delle modificazioni climatiche nulla può contro la statistica e l’evidenza dei fenomeni alluvionali che tendono a susseguirsi con una notevole regolarità e colpiscono zone ad alta densità abitativa: l’Italia ha una media di 200 ab/km2, la Lombardia di 400 ab/km2 ma la Città Metropolitana di Milano ha 2000 ab/km2, il che porta ad escludere che qualsiasi soluzione di quelle escogitate dalla Natura possa essere risolutivo e che occorra quindi mettere mano con decisione al territorio.

Sempre le stesse statistiche ci raccontano che non è cambiata la quantità complessiva di acqua ricevuta nel corso dell’anno (più o meno a Milano da tre secoli in qua cade un metro di pioggia all’anno) ma che sono in realtà cambiati due elementi critici:

  1. L’intensità e la persistenza delle piogge
  2. L’alterazione dell’assetto idrografico accompagnata  dalla lastricatura dei terreni causata dalla crescente urbanizzazione

Per quanto riguarda Milano è chiaro che la tombatura del Seveso e Redefossi sia la causa più evidente dei disastri alluvionali cui si è cercato di porre rimedio con le vasche di laminazione, la cui realizzazione è a tutt’oggi a metà del guado (verranno investiti 160 mln di euro), in uno spiacevole rimpallo di responsabilità fra Regione e Comuni metropolitani.

La prima domanda che occorre porsi è la seguente: le due vasche ad oggi mancanti al progetto complessivo sarebbero state sufficienti ad evitare le ultime due inondazioni?

La domanda non è peregrina perché i ritardi costruttivi di queste due vasche sono in capo alla Regione e data la nota contrapposizione politica fra questa e  il territorio milanese, ciò viene messo nel conto delle politiche discriminatorie da sempre perpetrate da Regione Lombardia contro Milano, suo principale finanziatore netto.

Però proprio le ultime piogge raccontano una storia in parte diversa da quella che deriva dagli studi sulle vasche di laminazione che hanno determinato il numero e la consistenza di quelle necessarie a regime e spinge a porre la domanda: se anche ci fossero state sarebbero state sufficienti?

Per rispondere occorre fare un paio di passi indietro.

Il Seveso, l’Olona e il Lambro hanno sempre avuto andamento torrentizio e ciò avrebbe da sempre consigliato di evitare quel che si è fatto, ovvero farli scorrere del tutto o in parte nel sottosuolo, per tre ordini di motivi:

  1. L’alveo così costretto non ha margini oltre le sue pareti
  2. La manutenzione dei corsi sotterranei è difficoltosa mentre andrebbe effettuata con puntigliosa regolarità
  3. Avere un sistema urbano di caditoie stradali che fanno confluire le piogge in tale corso consente all’urbanizzazione dilagante e incontrollata del milanese di avere un tappeto (il corso tombato) in cui mandare la polvere (ovvero le piogge), sovraccaricando così la portata già costretta

Per ridurre la portata torrentizia del Seveso a metà degli anni ‘50 si erano ipotizzati due grandi scolmatori di cui uno solo (quello di Nord-Ovest) è stato poi realizzato mentre il secondo (fondamentale) non venne mai realizzato perché i Comuni di Nord-Est provvidero a costruire su tutti i suoi possibili percorsi, rendendolo di fatto impossibile: ciò ha condotto alla necessità di realizzare vasche di laminazione che assorbissero tali ondate di piena.

Ma la differenza logica fra una vasca e uno scolmatore è di immediata evidenza, dove lo scolmatore anche nel corso della pioggia provvede ad allontanare l’acqua, mentre la vasca dev’essere sufficientemente capiente per accogliere tutta l’eccedenza con un margine di (grande) tolleranza in caso le condizioni medie tendano a quelle di punta secolari o, come nel nostro caso, deroghino dalle statistiche note: ogni buon ingegnere sa che solo la ridondanza genera la sicurezza, e dunque la risposta alla domanda se le due vasche mancanti sarebbero bastate (ovvero se la colpa è tutta in capo alla Regione matrigna) dovrebbe considerare la quantità esondata e sommarci un margine necessario per avere tranquillità futura, dunque a quanto mi risulti un bel boh?

Io di fatto non ho nessun titolo per fare questi conti e quindi dare risposte certe, ma il buon senso idraulico che mi accompagna dice che la difesa idraulica non è affare locale ma di sistema, e che accumuli e smaltimenti fanno parte della stessa soluzione: lo stesso buon senso e la conoscenza del Governo Idraulico di queste bande mi dice che nessuno si pone oggi con questo sguardo a differenza di quanto fatto nel corso dei secoli nel milanese.

Per fare un esempio che ritengo illuminante basterebbe l’interessante lettura degli atti acclusi al PGT milanese (quello strumento di programmazione che ha consentito di moltiplicare la rendita immobiliare riscrivendo in fase successiva le regole a piacere del richiedente e del dirigente urbanista addetto) che ci consente di quantificare nel 40% la quota di reticolo minore tombato o soppresso dall’urbanizzazione milanese e tale quota è andata inevitabilmente a ridurre la capacità di accumulo e smaltimento già presente sul nostro territorio, chiamato a fronteggiare fenomeni meno intensi e ravvicinati di quelli odierni 

La stessa Regione, senza peraltro metterci un solo euro, si è in qualche modo accorta che proprio il reticolo idrico minore, ovvero il sistema di canali derivato dal reticolo maggiore dei Navigli, diventa fondamentale come laminazione d’emergenza poiché è al contempo vasca di laminazione con annessa funzione di scorrimento e quindi va chiedendo ai gestori del SII (il Servizio Idrico Integrato che si occupa di suo di acqua potabile e smaltimento fognario) di farsene carico in funzione di difesa idraulica.

Il ‘senza un euro’ di cui sopra non è tutta colpa della Regione (anche se un diverso e più robusto approccio magari collegandosi ai fondi infrastrutturali europei da sempre sottoutilizzati dal nostro Paese, sarebbe cosa buona e giusta) ma soprattutto di una popolazione blandita dal basso costo dell’acqua e che al solo sentire notizia di utilizzo di una possibile leva tariffaria su di un bene primario, grida all’attentato democratico, ignorando volutamente che il costo medio europeo è oggi di 2,5 euro/mc, quello italiano di 2 euro/mc e quello milanese di meno di 1 euro/mc: se solo i milanesi pagassero il giusto, ovvero 2 euro/mc, ecco che comparirebbero dal nulla 10 mld di euro da investire per risolvere tutte le emergenze idrauliche milanesi e mettersi in lista per curare  quelle lombarde.

Ma perché il cittadino drogato dai bassi costi (che poi sono finti, perché se sommiamo i disastri idraulici e le mancate utilità nascoste nell’acqua e non sfruttate, ecco che l’euro pagato cela almeno un altro euro di disutilità) sia messo nella condizione di pentirsi del suo cicalare con un bene fondamentale come l’acqua occorre che la somma delle condizioni sfavorevoli che oggi determinano i gravi problemi ricorrenti, gli venga presentata in forma unitaria con un bilancio costi/benefici che superi la parcellizzazione delle competenze, oggi fonte di colpevole inerzia e incapacità di provvedere.

A partire dalla differente capacità di assorbimento di un territorio iper-lastricato che si trova dinnanzi fenomeni intensi e ripetuti, passando dalla crescita del livello di subsidenza della falda che riduce gli assorbimenti, dalla riattivazione del reticolo idrico minore e dal collegamento con la rete dei Navigli preferibilmente sottratta alla sonnacchiosa gestione agricola attuale, e ancora da forme di difesa passiva da realizzare nei parchi cittadini sulla falsariga di quanto accade nel piovoso  Nord-Europa, dall’utilizzo razionale delle acque non potabili e dal conseguente stretto collegamento con la campagna, da sempre simbiotica con Milano sino allo sfruttamento dell’energia termica e meccanica che oggi, a differenza di un tempo, viene negletta, tutto racconta che la soluzione al problema contingente milanese è affare comune di città, provincia e Regione  chiamate a trovare una strada unica e coordinata di tutti gli interventi necessari, sapendo che le risorse sono l’ultimo dei problemi, mentre il primo è la carente visione e intelligenza dei fatti. 

Probabilmente l’eccessiva delega, un classico delle democrazie mature, in questo caso si rivela un ulteriore ostacolo alla soluzione, mentre sembrerebbe opportuna una soluzione commissariale, come già fatto a livello nazionale, che consenta di redigere un solo (e percorribile) programma di riqualificazione idraulica del territorio, destinato a contenere tutte le possibili soluzioni ai problemi sopraelencati in forma organica ed efficace.

Giuseppe Santagostino



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  1. Andrea VitaliCollegare i Navigli allo smaltimento delle acque meteoriche non mi sembra una grande idea (anzi, diciamolo chiaramente: mi sembra un' idea pessima). Tutta la rete idrografica storica distingue chiaramente acque pulite da acque luride, rogge dove troviamo i gamberetti da fogne a cielo aperto. Le acque del Seveso (fogna a cielo aperto) dovrebbero finire nel naviglio (acque trasparenti e pulite)? Non sia mai! (meglio la gestione sonnacchiosa...)
    15 Ottobre 2025 • 08:51Rispondi
    • Giuseppe SantagostinoLa legge 152/2006 saggiamente chiede la divisione fra le bianche e le nere per consentire di impiegare entrambe al meglio (il Governo Meloni sta proprio in questi giorni saggiamente disponendo di non buttar via nemmeno le utilità termiche contenute in tutti i reflui) e quindi ipotizzare il ripristino di un circuito integrato di acque riutilizzabili che ha già nel reticolo idrico la sua infrastruttura anche per evitare che tra i 200 e i 300 milioni di metri cubi di acque piovane vengano annualmente inutilmente depurate con costi economici comprensibili ma anche ecologici (mischiare le acque erratiche riduce drasticamente l'efficienza della depurazione). È per questo che il vero nemico non é solo la fogna mista dei Romani Antichi ma anche la fogna ad cazzum di varesotti, lecchesi o monzesi che hanno fatto di Olona, Seveso e Lambro la loro fogna gratuita. A mio avviso é meglio guardare alla luna (togliere ai fiumi il ruolo di fogna) e non al dito, ovvero che i nostri tre fiumiciattoli facciano ancora schifo a vent'anni di distanza dalle prime condanne europee per il mancato controllo sugli scarichi.
      12 Novembre 2025 • 08:04
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