16 Settembre 2025

VOLVER

Il futuro dell’Ordine degli Architetti


Credits Esmeralda Spitaleri (11)

Una fatale congiunzione degli astri ha fatto sì che, in concomitanza con l’esplosione della crisi dell’urbanistica milanese, si tengano anche le elezioni per il rinnovo del Consiglio dell’Ordine degli Architetti. Sull’urbanistica il dibattito è in corso, così come sulle responsabilità originate dall’assenza, anzi dalla latitanza della politica, come argomentato dagli articoli apparsi su questa rivista, in particolare il 2 settembre scorso.

Per quanto riguarda l’Ordine professionale, è altrettanto evidente che il dramma in scena porta in evidenza le problematiche e i conflitti aperti nella situazione attuale. 

Alle pressanti istanze di cambiamento espresse con forza e sostenute dall’impegno civile di architetti e intellettuali, bene si attaglia il titolo almodovariano di questo testo: TORNARE; ma qual è il fine? o meglio il telos nell’accezione aristotelica, cioè l’intenzionalità dell’auspicato ritorno?

Si tratta di ritrovare e riaprire i sentieri interrotti di un mestiere, quello dell’architetto, che, divenuto professione liberale, trovò nell’ Ordine l’istituzione dedita alla tutela della sua dignità. Quanto labile sia questo concetto viene attestato, già agli esordi, dagli accesi dibattiti che, nel secolo scorso, accompagnarono la nascita degli Ordini provinciali con i relativi Consigli e la definizione dei loro compiti.

Tuttavia, per lungo tempo, non sono stati messi in discussione il ruolo degli architetti nella società, né il loro compito primario, che è quello di finalizzare il proprio lavoro all’appropriatezza e alla bellezza delle dimore per le persone, alle differenti scale dimensionali.

Che la città sia come una grande casa e la casa sia, a sua volta, una piccola città è una notissima affermazione albertiana, della quale si è attualmente perduto o cancellato il senso.

Difatti, demonizzati gli strumenti urbanistici e, in generale, le regole capaci di indirizzare scelte consapevoli riguardo all’equilibrio tra interessi privati e bene pubblico, le logiche mercantili, sostenute dalla finanza globale, hanno calpestato la civitas e obliterato il tema della forma della città, nella sua articolazione fisica e spaziale; ove per forma si intende l’esito di metamorfosi che, nel tempo, si compiono a partire da princìpi costitutivi specifici, città per città.

Questa atroce deriva incide profondamente sulla professione dell’architettura. Lo strapotere del mercato ha progressivamente, un pezzo alla volta, tolto dignità e autonomia alla professione. 

L’abolizione della tariffa, spacciata come misura anti corporativa dalla becera ignoranza dei legislatori, ha portato al depauperamento della qualità del lavoro dei professionisti, indotti a lavorare sottocosto. La riduzione degli incarichi per il progetto architettonico a contratti per la fornitura di servizi ha demolito la figura dell’autore dell’opera nella sua interezza, dall’ideazione alla realizzazione.

La moltiplicazione delle competenze e delle figure professionali ha minato l’unità della responsabilità progettuale, che non può e non deve esimersi dall’essere olistica, dato che sempre modifica assetti, condizioni, equilibri esistenti. Il confronto tra le condizioni attuali e la tradizione del ruolo e della dignità professionale, affermatisi in termini costitutivi da un secolo, è impietoso. Perfino la lettura dei princìpi esposti, ad esempio, nei vecchi volumetti che inquadravano la professione degli architetti e degli ingegneri, oltre a stabilire le norme deontologiche e la tariffa, è utile per rendere evidente quanto si sia discostata la professione da quei princìpi e quanto poco sia stato fatto, nei decenni recenti, dall’Ordine per tutelare la figura e il mestiere (ministerium) stesso dell’architetto.

Dunque VOLVER: tentare, almeno, di tornare alle origini, attraverso una rifondazione che, come è accaduto sovente nella storia, trova condizioni per attuarsi in situazioni di crisi conclamata.

 A titolo indicativo, vengono qui esposti di seguito alcuni compiti imprescindibili, che l’Ordine dovrebbe assumere per tornare a esercitare un ruolo riconoscibile e riconosciuto.

  1. Battersi per lo studio, l’approvazione e la promulgazione di una Legge sull’Architettura, che manca in Italia, diversamente da gran parte dei paesi «civili».
  2. Difendere l’integrità degli incarichi di progettazione e direzione dei lavori, che, dalla Legge Merloni in poi, sono stati fatti a pezzi, sicché l’autore viene di fatto espropriato del suo lavoro.
  3. Impegnarsi a far abrogare da qualunque testo la definizione del progetto, nelle sue diverse fasi, come «fornitura di servizi».
  4. Difendere il diritto d’autore, abitualmente calpestato dal pubblico e dal privato, senza ritegno nell’apportare modifiche alle opere senza coinvolgere chi le ha progettate.
  5. Sostenere il valore delle opere di architettura, sia pubbliche, sia private, come bene per la collettività, in quanto la loro qualità si confronta con i contesti urbani e paesaggistici in cui sono inserite.
  6. Battersi per ripristinare l’esclusività di alcuni compiti professionali (il restauroin primis)un tempo obbligatoriamente affidati agli architetti, oggi non più.
  7. Sconsigliare o meglio inibire agli iscritti la partecipazione a concorsi e gare dove il criterio di merito sia il ribasso degli onorari.
  8. Combattere la vessazione dei requisiti economici obbligatori e della esecuzione di lavori pregressi della stessa categoria di quelli a gara/concorso, oltre al cosiddetto «avvalimento» che, di fatto, rende il professionista architetto schiavo delle società di progettazione (vigendo simili requisiti Utzon, per citare un solo caso, non avrebbe potuto neanche partecipare al concorso per l’Opera di Sidney).
  9. Controllare i criteri di costituzione delle commissioni giudicatrici dei concorsi di progettazione, troppo spesso formate da figure incompetenti nel merito della qualità architettonica delle proposte.
  10. Intervenire contro l’uso e l’abuso dell’epiteto «archistar», che deprime l’immagine stessa dell’architetto entro il bugliolo della comunicazione mediatica, prevalendo per ignoranza su quello di «maestro» che da sempre, in tutte le arti, qualifica chi venga riconosciuto come tale.

L’inattualità (in senso nietzschiano) di questo «decalogo» apparirà insopportabile a chi pensa che il mestiere dell’architetto debba differire, nella sostanza, da quello che è «da sempre», per usare una locuzione ricorrente nel lessico di maestri, a memoria, da Ignazio Gardella ad Aldo Rossi 

Altrettanto ne sarà rilevata la parzialità, evidente nel riferimento a una figura di architetto progettista e autore di opere, che attualmente forse non prevale. Tuttavia mi ostino (passo alla prima persona) a credere in questa figura e a difenderla; mi conforta che ancora in Italia e soprattutto all’estero, non sia il solo.

Di certo ritengo che quella attuale del rinnovo del Consiglio costituisca l’occasione per imprimere una svolta.

 

Angelo Torricelli

 



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  1. Giuseppe Claudio VitaleALCUNI EMENDAMENTI CHE NELLA VICENDA SPECULATIVA MILANESE DENOTANO PROFONDA INCOMPETENZA E INCOERENZA: INSERIRE UN NUOVO PUNTO 1) Richiedere la formulazione di una nuova legge urbanistica nazionale il cui elemento fondante deve essere la separazione dello ius aedificandi dal diritto di proprietà. Al punto 5) prima della parola "architettura" inserire le parole "urbanistica e pianificazione territoriale". Al punto inserire 9) dopo la parola "architettonica" inserire la parola "e urbanistica".
    23 Settembre 2025 • 17:27Rispondi
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