16 Settembre 2025

MANCA UN’IDEA DI CITTÀ

L’eterna ignoranza


Credits Esmeralda Spitaleri (9)

I resoconti televisivi e i commenti sui quotidiani hanno mescolato le pesanti responsabilità personali dei protagonisti con le interpretazioni della normativa urbanistica, con gli effetti degli interventi edilizi sul paesaggio cittadino e con la politica comunale, in modo da rendere davvero confusa la situazione.

Per offrire una chiave di lettura non strumentale a qualche interesse, invito il lettore a ragionare sul fatto che se non si fossero verificate le note distrazioni di fondi, causate dalla definizione di “ristrutturazione” applicata a interventi, invece, di “nuova costruzione”, la maggior parte delle edificazioni oggetto delle indagini sarebbero comunque state approvate, sarebbero comunque state realizzate e l’effetto sul paesaggio cittadino sarebbe stato più o meno il medesimo.

Voglio dire che nelle maggior parte dei casi sarebbero stati versati oneri di urbanizzazione e monetizzazione degli standard in misura molto superiore, con considerevole vantaggio per le casse comunali e gli interventi sarebbero stati autorizzati con le procedure del piano attuativo e del permesso di costruire convenzionato, a seconda dei casi, con tempi molto superiori a quelli di una SCIA. Ma l’esito fisico non sarebbe mutato.

Voglio dire che, se prescindiamo dai comportamenti eticamente e/o penalmente delittuosi, e dai conflitti di interesse, la questione centrale su cui pochi commentatori si sono soffermati è quella della norma urbanistica che consente di demolire un insediamento produttivo dismesso e di edificare al suo posto una equivalente quantità di superficie residenziale, che sia costruita con case alte o con case basse. 

Il PGT prevede, come eccezione all’applicazione generalizzata dell’indice territoriale unico, che la SL (superficie lorda di pavimento) esistente sia comunque fatta salva e quindi sia possibile recuperarla attraverso demolizione e ricostruzione, anche se la sua entità risulta molto superiore a quella prodotta dall’applicazione del predetto indice unico. 

Il principio giuridico appare equo nel caso di ricostruzione con una destinazione d’uso simile a quella preesistente, per lo più produttiva. Ma nel caso di ricostruzione con nuova destinazione residenziale, che comporta un aumento di valore enormemente superiore a quello della destinazione produttiva, il principio è ancora equo?

In verità il PGT vigente contiene una regola che sottende un’idea di città, quella che impone il completamento delle cortine edilizie esistenti. Prima della sua entrata in vigore abbiamo visto costruire edifici perpendicolari alle cortine stradali, edifici che hanno sventrato gli isolati rivelando alla vista i fronti domestici non progettati per la scena pubblica cittadina. Ma il PGT contiene anche norme che vanno nella direzione opposta, come quella che individua con grandi cerchi le aree nelle quali è consentito aumentare l’indice per l’elevato livello di accessibilità (indotta dalla presenza delle stazioni della metro, ecc.,). Non, quindi, con indicazioni morfologiche circostanziate, ma puramente quantitative, quindi con effetti morfologici del tutto casuali.

Ma la norma più “antimorfologica” del PGT, che nega cioè qualsiasi volontà di indirizzo morfologico, è quella che consente di sostituire un insediamento esistente, alto 1 o 2 piani e distribuito sull’intera superficie di pertinenza, con una edificazione che utilizza la stessa superficie, anche potenziata da trasferimento di diritti volumetrici, per realizzare nuova superficie residenziale, che può essere concentrata in edifici pluripiano.

È così che abbiamo visto realizzare case molte alte (… ma non chiamiamoli grattacieli) in aree anche semicentrali, sconvolgendo un paesaggio cittadino che dai tempi del piano Beruto si è consolidato con lente trasformazioni interne, assumendo un carattere ben riconoscibile. 

Milano è una città dalla maglia stradale ordinata, costruita con una densità forte e omogenea, da sempre oggetto di un intenso rinnovamento edilizio, che degrada verso l’esterno inglobando insediamenti produttivi, che la dismissione delle attività destina a possibili trasformazioni d’uso. Una città apprezzata per questo carattere singolare, che oggi ospita alcuni episodi anomali, che richiamano immagini della città nordamericana di cinquant’anni fa e che stanno compromettendo la sua singolarità, senza proporre una diversa idea di città.

È quindi necessario aprire un confronto e un dibattito su che città vogliamo. 

È anche vero che nel passato, intorno ad ogni amministrazione comunale si è sempre formato un gruppo di immobiliaristi particolarmente attivi nell’utilizzazione delle opportunità pianificatorie e un gruppo di professionisti ad esso legato, favoriti da più o meno appariscenti conflitti di interesse, e da conseguente concorrenza sleale nei confronti degli altri colleghi. Ma diversamente dal passato, oggi a questo fenomeno si aggiunge una povertà di elaborazione di “idee di città” che è davvero grave. 

Qualche esempio del passato? Ricordate quando, ai tempi della realizzazione della seconda sede del Piccolo Teatro (in centro o al Gallaratese?) si discusse a lungo sul decentramento o meno delle istituzioni (Policlinico, Tribunale, carcere, ecc.), cioè se optare per una città monocentrica o policentrica? E ai tempi del PIM e del CIMEP, quando si pianificavano e realizzavano dei veri e propri pezzi di città nuova per l’edilizia popolare, e quando il PIM indicava ai Comuni come ordinare e razionalizzare le aree industriali? E quando è stato inventato il Parco Agricolo Sud e il Parco Nord e la città accettava – certamente molto più di oggi – una visione e una politica allargata alle reali dimensioni del territorio abitato?

Intendiamoci, non chiedo di elaborare un piano ottocentesco di ampliamento con gli allineamenti e le altezze. Chiedo di uscire dalla polemica quotidiana da bar, e di provare a riempire l’enorme vuoto di idee che domina il futuro della città. Questo vuoto, tra l’altro, provoca le condizioni migliori per il proliferare di strategie immobiliari che utilizzano la vaghezza normativa favorendo il malaffare.

L’ultima grande occasione persa per conferire alla città una prospettiva di forte rinnovamento disegnato dalla mano pubblica è stata quella della cintura delle aree degli scali ferroviari. Era l’occasione per un grande disegno diretto a mettere a sistema le aree pubbliche e per progettare un patrimonio di edilizia economica importante.

A meno che non si pensi che approvare un’idea di città e un relativo complesso di regole per realizzarla sia possibile solo in un regime non democratico. A meno che non si pensi che l’unica condizione possibile nella città democratica sia quella della liberalizzazione normativa, cioè che si pensi ad una città che si trasforma in mille modi diversi. Una città nella quale l’“attrattività” coincide con la varietà e casualità degli episodi di cui è composta, una città della libera concorrenza tra strategie immobiliari, una città della legge del più forte, nella quale il governo pubblico del territorio sta a guardare.

È evidente che alcune questioni decisive – come quella delle risorse per l’edilizia economica sovvenzionata – possono essere affrontate soltanto a livello nazionale, ma sono convinto che a livello locale ci siano le risorse intellettuali da svegliare e organizzare per riempire l’attuale vuoto di pensiero.

Albero Caruso



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  1. Cesare MocchiAssolutamente d'accordo sulla follia di fare salva la SL nei casi di demolizione e ricostruzione con cambio d' uso e modifica di sagoma e di sedime. Non si fa da nessun'altra parte, è un' idea idiota di Lupi e Assimpredil che non si capisce perché sia stata mantenuta. È ovvio (lo capirebbe anche un bambino) che con il cambio d'uso (ad esempio a residenza o commercio) cambia anche il carico urbanistico. E non c' è neanche un tema di diritti o di valori consolidati, le aree dismesse sono ampiamente ammortizzate e sono a bilancio a valore zero se non negativo. Salvare il volume esistente con nuove funzioni (cosa che ripeto non si è mai fatto prima né da nessuna parte) è davvero ignoranza pura.
    16 Settembre 2025 • 21:15Rispondi
  2. Andrea VitaliCondivido molte considerazioni. Sulle aree ferroviarie, mi sembra che oramai sia una partita chiusa o quasi (gli accordi sono stati sottoscritti e le aree in gran parte sono state vendute), certo ci sono temi attuativi, ma non mi sembra che in altre città (a Bolzano, o a Pavia del PRG della Gregotti Associati, per dire) indici, dotazioni e impegni siano poi così diversi. Le occasioni perse con il PGT sono anche altre, il PGT per dire ha reso edificabili circa 10 milioni di metri quadri di aree a verde, con indici non bassi (1 mc/mq), di questo vogliamo parlare? E per circa 8 milioni di metri quadri di aree industriali (alcune ancora in funzione, peraltro) è stato consentito il riutilizzo a parità di SL come giustamente viene detto per funzioni residenziali e commerciali, senza chiedere nulla in cambio (né aree a verde, né edilizia sociale né niente). Qui veramente si è rinunciato a ragionare sul futuro della città.
    17 Settembre 2025 • 08:58Rispondi
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