8 Luglio 2025

ANCORA TU?

Renzi, il PD e la “tenda riformista”


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 “Ancora tu, ma non dovevamo vederci più?”, così Lucio Battisti cantava con il cristallo incrinato della sua voce. Il ritorno dell’ex è un grande classico delle relazioni sentimentali e certamente quello tra Matteo Renzi ed il Pd (gran parte) fu un grande innamoramento, alla fine infelice però. Siccome il tempo addolcisce il ricordo e seleziona nella memoria più i momenti belli che quelli brutti, così oggi, oltre dieci anni da allora, il gran seduttore si rifà vivo e corteggia spietatamente la sua ex creatura, che per ora resta un po’ a “guardare l’effetto che fa” (Jannacci). 

Il personaggio, si sa, è affascinante, astuto ed infido la sua parte, trovando proprio nel suo narcisismo incontinente il vizio che limita e pregiudica il suo grande talento politico.  Così il PD si interroga sulla sincerità delle sue mosse, stimolato da Goffredo Bettini, instancabile tessitore di idee per conto terzi. Per Bettini, bella scoperta, al PD radicale di Schlein serve un coté moderato che “rassicuri” i ceti medi e faccia da contrappeso all’attuale prevalenza del coté sinistrorso – populista, a cui AVS e M5S prestano la loro complicata fisionomia.

Insomma, ci vuole, a completare il “campo largo”, una bella “tenda riformista”, un luogo della politica dove possano convergere e trovare adeguato spazio e rappresentanza (i posti) le molte anime di chi fatica a riconoscersi nel PD, oppure di chi già oggi, pur sentendosi nel profondo dell’anima sua lontano dal centro destra, si colloca su coordinate diverse, insomma personaggi in cerca di autore: un’area ampia, multiforme, zeppa di capitani ambiziosi senza truppe, riformisti, ex socialisti, cattolici democratici, liberali autentici, a Milano Beppe Sala ed il caffè letterario del Circolo Matteotti. 

Più in generale quanti compresi in una visione che arriva a contenere in sé anche le propaggini più lontane di un centro destra istituzionale che vorrebbe trovare ragioni e logica per collocarsi lontano dalla destra di Meloni e Salvini. Come tutti sanno, però questa stagione, sia pure con non poche differenze, fu già quella di Mario Draghi, il tecnocrate massimo cui si diedero le chiavi della Repubblica per salvarla dal disastro del Covid ed altro ancora. 

E fu proprio Matteo Renzi a tessere la regia della manovra politica che defenestrando Giuseppe Conte (Giuseppi) aprì le porte all’ex Presidente della BCE, come neppure si può dimenticare che Enrico Letta, che pure doveva “stare sereno” fu cacciato in malo modo proprio dal seduttore fiorentino. Tutto questo per dire che la memoria non rassicura per nulla, lasciando nei cuori e nelle menti degli interessati il brivido freddo della paura di essere corteggiati oggi per trovarsi abbandonati domani. 

Incombe infatti su Matteo Renzi la sua più profonda natura, il tratto distintivo più marcato, l’ingovernabile pathos esistenziale, tanto potente da assecondare i suoi istinti più letali oltre i suoi stessi interessi, come Esopo racconta dello scorpione che, punta a morte la rana che lo traghettava in mezzo al fiume, ammise mentre insieme affogavano: “è la mia natura”.

Fin qui di Renzi e della sua credibilità, eppure il problema esiste al di là della sua persona e per questo la sua iniziativa trova spazio nella necessità oggettiva delle strategie politiche e delle aritmetiche elettorali. D’altra parte, quando dice “uniamoci ora per non trovarci con Ignazio La Russa Presidente della Repubblica” non parla a vanvera ed agita la questione su cui in altri grandi Paesi sinistra, centro e destra istituzionale, hanno trovato, con grande fatica certamente, le formule per lasciare Rassemblement National ed ADF fuori dalla stanza dei bottoni. Renzi o no, il tema esiste e va affrontato. Certamente vanno valutati scenari ed alternative e con queste i prezzi da pagare.

Il PD viene da un quindicennio dove, oppresso dal senso di responsabilità nazionale, si è adattato a sostenere diverse formule di governo “tecnico”, da Monti a Draghi, un percorso lungo il quale ha via via compromesso la fisionomia popolare e la relazione con la parte della società che pure dovrebbe maggiormente rappresentare. Schlein ha segnato la discontinuità ed il tentativo di recupero del terreno e credibilità perdute ma, mentre indica la prospettiva del “campo largo”, si chiede se convenga maggiormente tenere vicini a sé i voti, pochi, di Renzi e Calenda o se non sia meglio cavalcare verso le praterie sconfinate dell’astensione, terreno dove certamente troverebbe accanto a sé Giuseppe Conte ed AVS. Prospettiva affascinante ma densa di rischi, su cui forse l’osservazione dell’avventura solitaria di Giorgia Meloni potrebbe dire qualcosa.

La questione alla fine è la piattaforma di programma, l’insieme delle politiche che, dovendosi trovare un ragionevole minimo denominatore tra chi vuole mandare a casa il governo di centrodestra, dovrebbero essere condivise dalle forze comprese tra M5S e Carlo Calenda, ammesso che il ragazzo, che si iscrisse al PD come segretario in “corpore vili”, sia ancora interessato. 

Europa, ambiente, difesa, lavoro, immigrazione, diritti civili, questa la costellazione di temi e valori dove tracciare il profilo di una possibile maggioranza nel paese e nelle urne e di qui una visione di Paese che ancora stenta a venire. Questo il perimetro delle questioni dove un arco di forze tanto composito, ma neppure la destra è così monolitica, deve saper trovare i punti d’intesa e naturalmente la figura che dovrà farlo vivere già in campagna elettorale come possibile capo del governo. 

E qui torna Matteo Renzi, come king maker d’intende. Ci torna perché non sono molte le persone capaci di recitare il ruolo, in un gioco di scacchi dove ciascuno pone veti agli altri e probabilmente Elly Schlein potrebbe trovare in Conte il suo ostacolo principale. Ci torna perché, mentre sullo sfondo si staglia Mario Draghi come candidato forte al dopo Mattarella, appaiono disponibili figure come quella di Paolo Gentiloni, uomo dai toni felpati, già Presidente del Consiglio, di grande esperienza e di estesissime relazioni internazionali. 

Un uomo molto credibile nel profilo istituzionale e certamente ascrivibile al segno “riformista”, territorio dove l’ex di ritorno ha piazzato la sua “tenda” e da dove tesse le sue trame, cercando di accreditarsi come il principale punto di riferimento dell’area, disegno dove l’ambizione infinita non pare sostenuta dalle sue deboli e poche forze.

Ma ci prova, così Matteo Renzi cerca di rinnovare il ruolo politico che il talento gli assegna ed il narcisismo circoscrive, e con questo, da buon seduttore, qualche traccia dell’antico sentimento, col rischio però di scoprire che poco o nulla è rimasto di allora.

Sara pure “stato l’unico”, ma purtroppo era ed è “incorreggibile”.

Giuseppe Ucciero



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  1. Fausto BagnatoSe non riuscite a rendervi conto che Matteo Renzi è stato infiltrato per distruggere, definitivamente, il P.C.I. non capirete la stessa cosa avvenuta con la sconfitta di Bonaccini. Meditate, questo si chiama consociativismo.
    9 Luglio 2025 • 11:12Rispondi
  2. Pietro VismaraVedo che il mitico Renzi è intervenuto oggi per difendere gli indagati "che hanno saputo rendere attrattiva Milano per i benestanti". Neanche le difese d'ufficio gli riescono più bene...
    17 Luglio 2025 • 18:09Rispondi
  3. renato somacondivido, personaggio difficile ma unico oggi ad avere intuizione e visione politica, anche chi lo osteggia se ne dovrà fare una ragione.
    3 Agosto 2025 • 21:33Rispondi
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