8 Luglio 2025
IL CITTADINO RESTANTE
Una scelta di vita

Allora resti? Quante volte si è detta questa frase con speranza. Così il restante è quel cittadino che decide di non andare. Certamente una forma di resistenza, probabilmente favorita dalle nuove realtà di cittadinanza attiva che sempre di più sono una geometria di contrapposizione alle convenzioni, al modello dominante del pensiero milanese secondo il quale chiunque viva in una periferia, sogni di andare a vivere in centro. Un cittadino che sceglie di restare pur avendo le possibilità economiche per spostarsi in quartieri meno periferici ma non lo fa, pone degli interrogativi e ci si chiede cosa possa favorire questa determinazione che appare come una sfida. Si fa fatica a invertire i flussi di pensiero, seppur consapevoli che ci sia una dinamica che sta cambiando, riconoscendo alla periferia una credibile e possibile alternativa di qualità. Ma come farne un torto al pensiero centrico radicato nella cultura ambrosiana che racconta sé stessa non oltre i Bastioni.
Ma chi è il cittadino restante?
Sopra i 35, cultura medio alta, reddito medio, lettore e spettatore, amante della comodità a partire dal parcheggio sotto casa, amante del verde e degli spazi, del camminare, del proprio appartamento, probabilmente cattolico, interessato alla propria città e in generale agli avvenimenti nel mondo, determinato, concentrato sulla vita lavorativa e familiare, pragmatico quanto basta, riflessivo e corretto, altruista, amante della storia e della cultura. Non necessariamente amante della politica, attento alle regole del convivere e convinto sostenitore dell’iniziativa civica dal basso a tutela del valore della prossimità sia economica che intellettuale.
Le periferie sono la città del futuro, dice Renzo Piano. «Quella dove si concentra l’energia umana e quella che lasceremo in eredità ai nostri figli». Le periferie siamo abituati a pensarle come qualcosa di marginale, non solo perché associate al degrado, ma anche perché residuali in quanto aride, desertificate dal punto di vista culturale e dei servizi. Marginali perché non vicine al nostro cuore. Ma questo è un errore di prospettiva, un’illusione ottica, una visione falsa. Nelle periferie bisogna portare gli ospedali, le sale da concerto, i musei, le università, perché nel centro storico abita solo il dieci per cento della popolazione urbana: qui invece ci sono le nuove generazioni, qui c’è l’energia, dice Piano. Le periferie sono la grande scommessa dei prossimi decenni.
Pasolini si avventurava in una città ai margini, denunciava lo sviluppo senza progresso degli anni Sessanta, con i ceti meno abbienti impossibilitati a partecipare alla rinascita del Paese. Il degrado diventava radicale nella perdita di identità e nello sfumare della coscienza di classe. La periferia, a sessant’anni di distanza da “Accattone”, ha trovato nuovi modi di catalizzare le energie, si è incamminata verso nuove narrazioni capaci di mostrare nuovi scenari.
A Milano le periferie si rimodellano, si riplasmano, si rigenerano, quartieri marginali che diventano spazi di resistenza, sempre più protagonisti di nuove narrazioni. Dunque, il restante è una figura essenziale per assicurare un livello di continuità tra la tradizione e l’innovazione. Quali sono queste periferie?
Si va da nord a sud della Città, a passi diversi e con obiettivi diversi, sospinti da investimenti più o meno imponenti, più o meno interessanti e talvolta incredibilmente lontani dai bisogni del cittadini e dalle necessità del quartiere da far pensare che vi sia una distanza incolmabile dalla domanda di abitabilità e crescita sociale sempre più chiesta del ceto medio, dando per scontato l’esclusione dei ceti più bassi che oggi vengono pensati in quartieri ex-novo fuori da Milano dove si pensa di costruire palazzi e abitazioni per il cittadino medio, sfruttando aree di proprietà di Palazzo Marino (per 300mila metri quadri) nei comuni di Gessate, Cologno Monzese e Gorgonzola. Si chiama: “Progetto sistema abitare” ed è stato approvato dalla squadra di Beppe Sala e presentato dall’assessore al bilancio, demanio e piano straordinario Casa Emmanuel Conte assieme alle amministrazioni coinvolte. Questo tandem Sala / Conte lascia intravedere una continuità di pensiero preziosa per il sindaco uscente e per tutto l’establishment sinistro, mentre suona come una minaccia per chi ha in testa un’altra Milano.
Anche i linguaggi possono essere molto diversi, passando da temi di rigenerazione urbana, a temi di riqualificazione residenziale, ai temi del social using fino alle trasformazioni di ex fabbriche in veri e propri District in cui offrire un’alternativa del vivere i momenti di relax e tempo libero immersi nelle proposte food e beverage, musica dal vivo e proposte culturali in linea con le tendenze del momento. Il cittadino restante si muove in questo campo assai particolare, in cui si vedono intere zone spente accendersi, luoghi destinanti all’oblio, risvegliarsi e proporre una narrativa diversa. Si diceva da nord a sud partendo da Mind oltre la tangenziale ovest nell’area Fiera Rho-Pero, passando per Cascina Merlata e zona Certosa – Musocco, Bovisa con la ripresa del progetto della Goccia, passando per Nolo e Farini, Lambrate, l’ex scalo di Porta Romana ( villaggio olimpico) quartiere Adriano per arrivare a Santa Giulia.
Si diceva della grande spinta verso le periferie che oggi sono in grado di dare quegli spazi che non possono essere reperiti altrove. Ma quali prospettive offre il sistema Milano? Quale limite si pone alla pianificazione del costruire per pochi? La premessa è che il miglior modo di pianificare e progettare la città sia di guardare come la gente la usa e di cercare di individuare quegli snodi che non funzionano o che potrebbero funzionare meglio, o valorizzare invece gli snodi che funzionano e che non devono essere turbati.
Sono i sentieri quotidiani usati dalle persone che andrebbero percorsi a piedi da chi intende operare trasformazioni urbane di forte impatto sui quartieri, per captarne l’essenza nei rumori e nei silenzi delle fredde mattine invernali o dei pomeriggi allegri di primavera. Che strade percorrono le persone, che traiettorie seguono?
Quell’evoluzione sociale passante per l’urbanistica, che tanto amava l’architetto Piero Bottoni quando pensò di costruire nuovi quartieri con abitazioni a costi contenuti, tuttavia dignitose e con una certa estetica anche nei contesti, per dare a tutti una possibilità di crescita nel bello, seppur con un limite economico, ma non come una ridotta della società, se mai come una riproposta di armonia contestuale, dove l’individuale assume un significato positivo poiché contestualizzato.
Si dovrebbe prendere a prestito questa visione attenta della periferia, come punto di riferimento nel ripensare i luoghi con coraggio progettuale, con capacità d’interpretare le nuove esigenze abitative rispettando quelle antiche e le conseguenti scelte urbanistiche che dovrebbero camminare sul solco del buon fare. Oggi molti quartieri hanno certamente conservato le loro caratteristiche di borgo fuori Milano, luoghi dove riscoprire quei sentieri che sono alla base dell’evoluzione della società del posto, rispondente a fattori umani ancestrali come quello di muoversi da un luogo all’altro, da un paese all’altro.
Ma il cittadino restante non guarda ai grandi progetti di trasformazione, piuttosto cerca di migliorare il proprio quartiere con piccole azioni ripetute fino a renderle strutturali coinvolgendo la gente, le realtà socio-culturali della zona e i negozianti, vero baluardo di un commercio di prossimità che assume tratti di eroismo se si guardasse alle politiche sospinte anche dal Comune di Milano che non nega a nessuno un centro commerciale sempre più una costante delle rigenerazioni in cui convergono capitali rilevanti, un ossimoro se si pensasse ai progetti di sviluppo di quartieri in cui si promuovono spazi all’aperto condivisi, servizi al cittadino e tutto quanto necessario alla saviezza e dove la qualità del vivere all’aperto, dovrebbe essere un obiettivo primario, ma in tal vestito si propone al massimo il centro commerciale come paradigma della socialità ritrovata.
C’è anche una realtà che non va negata e che ripropone la narrazione di Giovanni Testori e Pasolini che avevano assunto la periferia come “mito”, emblema di una naturalità dei valori che contrastava con la lenta consegna ai valori del consumismo. Oggi la periferia narrata è parte integrante di un percorso di riscatto per alcuni, una via di fuga fatta di musica e scrittura, soprattutto per i giovani.ù

Piero Bottoni con Fernand Léger sul Monte Stella
La periferia è il luogo dove ogni cosa è in bilico, sul punto di trasformarsi in altro in meglio o in peggio. C’è l’estate degli anziani spesso indigenti, c’è una baracca, pezzi di vita accartocciati. Materassi nei parchi, resti di una cameretta, lattine scolorite dalla pioggia, stracci, cumuli d’immondizia abusiva. Giardini trascurati inneggianti alla difesa della biodiversità, carcasse di auto divorate dalla vegetazione, soprattutto il confine con un altrove nel quale regna l’abisso di vite sconosciute. La periferia segna un confine frastagliato, il limite ambiguo della città, ma anche della legalità, del lecito, dell’immaginario, e ovviamente della vita e della morte.
È lì che il cittadino restante insiste per superare i luoghi comuni e quei paesaggi mentali spesso fatto di limiti e quasi mai liberi da pregiudizi e condizionamenti sociali. Soprattutto nella periferia ci sono tutti i dialetti del mondo che, in ore serali, invadono le strade con le voci dei passanti intenti a dialogare con le famiglie lontane tramite smart-phone. Dal terrazzo, il cittadino restante osserva e ascolta il cambiamento.
Gianluca Gennai
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