8 Luglio 2025
URBANISTICA E/O EDILIZIA, DELLA NORMA E DELLA RAGIONE
Il futuro della città
8 Luglio 2025
Il futuro della città

Le norme che regolano le azioni attinenti l’Urbanistica, ovvero di previsione e governo del territorio soprattutto urbano, e quelle in materia Edilizia, tra nuova costruzione e recupero, dovrebbero essere complementari.
Tuttavia nei fatti buona parte della strumentazione urbanistica nazionale in questi ultimi anni è apparsa superata, sia in relazione alle tante modifiche succedutesi con la modifica del titolo 5° del 2001 e il passaggio di competenze che le Regioni hanno acquisito in materia, con le conseguenti legiferazioni soprattutto in ambito di rigenerazione, sia per la debordante proliferazione di norme edilizie, di cui non da ultimo il Decreto Salva Casa è stato una plastica rappresentazione di come la norma edilizia abbia preso il sopravvento anche in ambito urbanistico. Vediamo come.
La disciplina urbanistica appare in difficoltà, alla ricerca dei propri principi, di una vision per la città che sia più o meno partecipata, smart o in espansione, sicuramente in trasformazione.
La legislazione edilizia invece ha attraversato negli ultimi anni una stagione di affannosa bulimia che volentieri è esondata in campo urbanistico, occupando più o meno consapevolmente spazi di competenza della pianificazione, forte di una spinta determinata molto spesso da esigenze contingenti che si materializzano in vasti interessi immobiliari, cui non è parso vero di poter superare le difficoltà operative di scelte che in linea di principio è la politica a dover regolare.
Mettere mano alla legislazione urbanistica investe infatti questioni di principio, prima tra tutte la questione della rendita fondiaria. Le norme edilizie invece appaiono pragmaticamente orientate a risolvere interessi contingenti e obiettivi immediati.
Senza dunque entrare nel merito della separazione all’origine di architettura ed urbanistica, che nulla ha a che fare con i termini amministrativi della separazione degli uffici, semplificando un po’ potremmo dire che l’urbanistica disciplina le trasformazioni del territorio – articolo 1 della L. 10/77 – e in specie di:
Dunque in sostanza regolando:
Mentre -sempre in termini amministrativi- l’edilizia regola i diversi aspetti: estetici, tecnologici, di sicurezza di cui un manufatto esistente o di nuova costruzione si compone. Dunque l’urbanistica è necessariamente sovraordinata e detta le regole del “territorio”, mentre l’edilizia detta le regole del “manufatto”: una distinzione dunque non tanto o solo di scala, ma di principio.
Vi è poi una eccezione, tenendo ferma la ratio che compone i regolamenti edilizi più vari, che riguarda tutto ciò che è temporaneo, poiché in quanto tale non inciderebbe stabilmente sulla trasformazione del territorio e dunque non necessiterebbe di nuovi servizi, dunque non andrebbe sottoposta neppure ad atto abilitativo, appartenendo così all’ambito dell’edilizia libera. E non si tratta di una zelante divagazione, purtroppo.
Con l’introduzione degli usi temporanei infatti (L.120/2020, che trasforma il così detto decreto semplificazioni in legge) si è allegramente derogato al principio dell’uso normato dal Piano, con tanto di foglia di fico nell’affermazione che tanto tale cambio d’uso non comporta mutamento della destinazione d’uso del suolo (!).
Diabolicamente e a seguire tale principio, consapevoli che la rimessa in pristino è sempre fatto oneroso, la recente legge Salva-Casa di Salvini non credo incidentalmente ha previsto la possibilità di mantenere in essere le strutture temporanee realizzate durante l’emergenza sanitaria.
E se si scavalca di fatto il Piano nella definizione degli usi il gioco è fatto, poiché in questo modo si afferma il principio primo del capitale là dove è la rendita a gestire l’urbanistica e non l’urbanistica a gestire la rendita. Il tutto, appunto, attraverso norme edilizie su cui possano interferire pruriti politici -a tutela del bene comune.
La rappresentazione plastica ulteriore di quanto descritto sopra è nell’annoso dibattito in merito alle densità nella rigenerazione urbana: poiché dopo l’uso, con le norme edilizie sulla rigenerazione si è di fatto sottratto all’ambito urbanistico anche il controllo della volumetria, grazie ai vari bonus stabiliti appunto dalle regole edilizie sulla rigenerazione (premialità spesso superiori al 20%).
La ristrutturazione edilizia diventa così nei fatti ciò che un tempo non troppo lontano era una variante urbanistica, (sotto forma di rigenerazione urbana) là dove incide di fatto sulla invarianza urbanistica, per di più di fatto non bilanciata dagli oneri applicati.
A questo punto manca solo di intaccare anche la localizzazione, e l’urbanistica non avrebbe più capisaldi, e solo perché stiamo parlando di azioni sull’esistente -per quanto in regime di ristrutturazione anche il sedime sia alquanto messo in discussione…
E infatti col salva-casa si liberalizza il cambio di destinazione -e del resto già con il Piano di Governo (2012) non si è introdotta l’indifferenza funzionale? – sia in senso orizzontale che verticale (ovvero consentendo la trasformazione sia nella stessa categoria urbanistica che no, fatto salvo alcune zone rurali e omogenee figlie di vetuste regole del piano regolatore prescrittivo).
Per porre un limite a tale inversione, dovrà intervenire se va bene il Piano locale in fase successiva al salva-casa (circolare MIT 1/2025, pag. 14).
Di più: anche se evidente che cambiare liberamente gli usi compromette le dotazioni territoriali e individuali esistenti, l’onere economico della trasformazione è comunque limitato alla sola corresponsione delle urbanizzazioni secondarie.
Le urbanizzazioni primarie infatti non si considerano dovute perché si deve presumere che le aree di intervento ne siano già dotate (trovandosi già in area urbanizzata).
Tuttavia se tali dotazioni sussistono in conformità alla destinazione esistente, ciò non dovrebbe valere per “mutamenti verticali” ovvero in categorie diverse che comportano modifica, ad esempio, delle “dotazioni territoriali”, ad esempio la dotazione individuale dei parcheggi come previste rispettivamente dal d.m. 1444/68 e dalla legge n. 1150/42.
Le finalità della “città compatta” e dunque della “densificazione”, non possono non tenere conto della parità di dotazioni territoriali, mentre questo procedere per “norma edilizia” finisce col depauperarne la città, rendendo plastica la rappresentazione di come una norma edilizia si rifletta interamente in campo squisitamente urbanistico.
Le dotazioni territoriali sono una conquista dell’urbanistica moderna, figlia dei criteri razionalisti e presidio della qualità della vita e dell’igienicità e salubrità dei luoghi.
Mentre l’urbanistica se interpretata nel modo descritto è considerata dal legislatore stesso una sovrastruttura inutile quando non dannosa. Interpretazione che sposa allegramente gli interessi finanziari dei (pochi) operatori e che di fatto costituisce una forma di censura all’etica della Pubblica Amministrazione a tutela dei (tanti se non tutti) cittadini.
Se si è operato disattendendo gli obblighi di preventiva pianificazione attuativa, ritenuta non solo debordante e inutilmente complicata ma soprattutto deleteria in quanto causa dei ritardi rispetto le sacre esigenze del mercato immobiliare internazionale e finanziario, si dimentica che nelle conseguenze operative tale disattesa coinvolge tutti quanti.
Ma se la soluzione proposta non è di superamento dell’attuale disciplina, ma tornasse ad essere addirittura quella di una “interpretazione autentica”, nei fatti si affermerebbe che dei piani particolareggiati si poteva fare a meno anche in passato. Non voglio immaginare i possibili esiti.
Certamente la pianificazione urbanistica si è estesa ad una sovrabbondante definizione di aspetti marginali o di estremo dettaglio, diventando spesso causa di difficoltà all’interpretazione e applicazione del Piano stesso.
Ma se il cosiddetto Salva-Milano fosse davvero diventato “interpretazione autentica”, il processo di alienazione della Pubblica Amministrazione a tutela di tutti sarebbe un fatto sempre più irreversibile.
È dunque tempo di metter mano alla disciplina complessiva della legge urbanistica nazionale, non più emendabile, così come per noi milanesi al PGT, rimasto colpevolmente, per opportunismo finanziario e operativo, alla versione aggiustata in qualche modo del 2012.
Francesco de Agostini
f.deagostini@ilaud.org
7 commenti