24 Giugno 2025
EXPO. 10ANNI DOPO
Passato prossimo e remoto

Sono passati 10 anni dall’EXPO che ha cambiato in alcuni aspetti la storia di Milano e ci si sarebbe aspettati un profluvio di celebrazioni, di convegni, di ricerche che si ci sono stati ma molto sottotono quasi chiedendo scusa.
Non è la prima volta che un Esposizione condiziona e modifica la realtà cittadina e la sua narrazione/percezione e non è la prima volta che ciò avviene con l’opposizione o quanto meno l’imbarazzo di una parte della città.
Nel 1871 Milano aveva ospitato la prima Esposizione Industriale Italiana, con sede ai Giardini Pubblici, in contemporanea con l’inaugurazione del traforo del Fréjus, il periodo però era di crisi economica, e il successo era stato modesto.
Ben altro ruolo assunse, nel 1881, l’Esposizione Nazionale, la seconda, dopo Firenze, dell’Italia postunitaria, ma la prima paragonabile alle manifestazioni estere.
Legata anch’essa ad un traforo il San Gottardo, si svolse ai giardini di Porta Venezia, ed ebbe: 750.000 visitatori, Milano era una città di 321839 abitanti, più della metà dei cittadini viveva in abitazioni di una o due stanze mentre solo 56.000 abitanti vivevano in case di più di quattro stanze. Gli analfabeti erano 88.510 e nel circondario esterno costituivano quasi la metà della popolazione.
Politicamente la città era divisa.
I liberali temevano l’industrializzazione, ritenevano poco proficuo un futuro di Milano come città industriale. L’ingegner Giuseppe Colombo, consigliere comunale e imprenditore, perché fondatore della Edison, ebbe occasione di dire: “Concentrare in una città una massa ingente di operai offre grandi percoli”.
Così Palazzo Marino non aveva troppo collaborato ai lavori dell’Esposizione guardata con sospetto anche per i costi ritenuti eccessivi, limitandosi a concedere in uso l’area dei Giardini pubblici.
Ma dopo l’Esposizione, e grazie a questa, le entrate del dazio erano aumentate, spingendo il bilancio del Comune addirittura all’avanzo d’esercizio.

L’Esposizione fu anche l’occasione per Milano di dotarsi di mezzi pubblici di trasporto più efficienti. Così recitava la relazione, presentata nel 1880 sui tramway, in vista dell’Esposizione: “Milano, la città che per consuetudine non vuole essere fra le ultime ad accettare e attuare tutto ciò che è il portatore di un reale progresso e che torna utile se la maggioranza dei cittadini, non può, per l’epoca dell’esposizione, trovarsi sprovvista di un servizio bene ordinato di tramways. L’introduzione quindi dei tram nell’interno della città, che si impone per le circostanze, non è dannosa al movimento stradale né pericolosa ai passeggeri, e altrove riesce di un utile sensibile all’erario cittadino… “
Non si creda però che sviluppo e modernità fossero un obbiettivo pienamente condiviso dalla classe dirigente.
La classe dirigente milanese, la famosa “borghesia” (ma sarebbe meglio parlare di “borghesie”) quando amministrava, era tutt’altro che bonaria, aperta, tollerante, comprensiva nei confronti di chi “proprietario” non era: sentimento che potrebbe anche non essere considerato grave, se ciò non fosse stato accompagnato anche da un sospetto, quando non da un rigetto, della modernità industriale.
I liberali moderati milanesi, per essere in una città dalla vocazione industriale, furono assai poco recettivi a tale realtà, e non solo nei primi anni dell’unità, quando la cosiddetta “destra” avrebbe guardato con maggior favore ad uno sviluppo dell’Italia come paese agricolo.
Quanto agli industriali milanesi, essi si impegnarono spesso e in prima persona in Consiglio comunale, ma salvo eccezioni scelsero di candidarsi nei radicali, che rappresentavano l’opposizione democratica al moderatismo milanese e che fino al 1904 furono alleati con i socialisti.
Lo sviluppo e quello edilizio nello specifico non erano allora (come oggi?) considerato automaticamente positivo.
Numerosi consiglieri, anche della maggioranza, temevano senza nasconderlo, uno sviluppo selvaggio che avrebbe leso per sempre il volto estetico di Milano. Così, ad esempio, Gerolamo Sala: “Milano, città cospicua e priva affatto di dintorni che offrano qualsiasi amenità, è per nulla curante, non già di moltiplicare i pubblici passeggi, ma nemmeno di conservare i pochissimi e brevissimi di cui è dotato, quel tanto di bellezza che pur avevano. Milano non ha che la cerchia antica dei bastioni ed un bellissimo, ma piccolo e racchiuso pubblico giardino. Orbene, col Cimitero si ingombra la parte più amena del nostro Comune e si rattrista la parte più frequentata e gradita. […] Io penso sempre al rimorso artistico che debbono prove coloro che, avendolo potuto, non hanno impedito un deturpamento cittadino, quale quello de’nostri bastioni e quale l’altro dei nuovi edifici che si lasciano sorgere addossati all’Arco della Pace”
Si alludeva all’ottimizzazione dell’area che da Foro Bonaparte andava all’Arco della Pace e che comprendeva la piazza d’Armi e una larga parte dello stesso Castello, adibito allora a corpo militare. A capo dell’operazione, oggi definibile speculazione, stava la Società Fondiaria milanese, guidata da Antonio Allevi, ex patriota e perseguitato politico dagli austriaci, che dopo l’unità aveva diretto la “Perseveranza” ed era stato eletto in Parlamento per il collegio di Barlassina.
Il progetto di Allevi si prefiggeva nientemeno che costruire “una città nuova”, operazione che egli progettò stringendo contatti direttamente con i propri amici dei ministeri, dimenticando di coinvolgere l’amministrazione locale, che infatti venne informata solo dall’opposizione e con notevole ritardo.

Dure le critiche Giulio Prinetti, che chiese a gran voce di un piano regolatore: “l’incremento edilizio è così rapido e affastellato che se non è diretto con acume e energia esporrà il Comune Dio sa a quali spese in avvenire, quando sarà necessario demolire ciò che ora si lascia fare inconsideratamente. Manca un principio direttivo alla Giunta e manca un adeguato concetto dell’avvenire riservato a Milano”.
Del resto, fu durissima la battaglia per evitare che il castello sforzesco fosse abbattuto e l’area destinata ad edilizia residenziale signorile.
Vi era ovviamente anche chi disegnava l’immagine di Milano città industriale, che avrebbe potuto crescere in armonia con sé stessa e con suoi abitanti se solo questa trasformazione fosse stata governata. Si trattava dell’ingegner Pirelli:
“Vi piaccia figurarvi alla mente i severi quartieri di Porta Genova, di Porta Magenta, di porta Garibaldi e di porta Nuova irti di alti fumaioli, di ricchi fabbricati di ogni forma e struttura, di allegre casine, di operosi opifici: tutta la bella zona dei bastioni e della circonvallazione a case e villini intramezzati da giardinetti, e le varie strade alla foggia americana, ad intercapedini con atrio alle case: in molte altre vie splendidi negozi e botteghe. Piacciavi scorgere qua e là gli isolati economici all’inglese od a palazzine d lusso; ammirare l’elegante ed euritmica disposizione dei fabbricati delle piazze e dei giardini intorno al castello, all’Arco delle pace e all’Arena; e immaginare il gradevole effetto del piazzale Loreto dopo fila di fabbricati e villini, colle sfuggite dei suoi imponenti viali e dell’ameno passaggio di Porta Vittoria e della piacevole varietà pensata ai viadotti, dai ponti, dai giardini, dal verde che si alterna colle fronti dei palazzi e si insinua fra le bianche pulite case; e tutto questo vivificato da mezzo milione di abitanti industriosi e attivi.
Non è questo un sogno di mente esaltata, ma giusta e razionale induzione di fatti e cose, che confidiamo, o Signori, vedrete Voi stessi pienamente avverarsi, se approverete le disposizioni edilizie che oggi, d’accordo colla Giunta, noi Vi proponiamo tanto per le nuove costruzioni sulle aree del Foro Bonaparte e della Piazza d’Armi, come nella zona a piede delle mura tra il bastione e la strada di circonvallazione e per tutte le nuove edificazioni”
Con l’Expo del 1881 verrà coniata la definizione, copyright Ruggero Bonghi, di “Milano Capitale Morale d’Italia”, mentre i critici si ritroveranno attorno agli scritti di Paolo Valera, che quell’anno pubblicava Gli scamiciati, e fondava il giornale La Lotta.
Qualche anno 1894 dopo sarà la volta delle Esposizioni Riunite che si tennero nell’area prospiciente il Castello e la parte del Parco Sempione verso l’Arena in quell’occasione fu costruita la torre con ascensore idraulico, alta 38 m.
Venne poi l’Expo del 1906 dall’aprile al novembre, pensata per festeggiare il traforo del Sempione che fu ben altra cosa anche per le dimensioni di un milione di metri quadrati tra il Parco del Castello e la Piazza d’Armi. Si trattava infatti una Esposizione internazionale fortemente voluta da Angelo Salmoiraghi, che dietro di sé aveva creato un pool, come si direbbe oggi, di investitori composto da medie e piccole imprese. Curiosamente il governo, confermando l’atavica diffidenza di Milano con Roma, pensò di affidare la gestione niente popò di meno che a Bava Beccaris, il carnefice del ’98.
Questa iniziativa guardava senza troppe dissimulazioni all’Expo parigino di sei anni prima, con l’Expo Milano assumeva la funzione di cerniera con l’Europa,
Milano, era molto cambiata, gli abitanti erano 541.148, e la città si era ingrandita a nord e a nord est, con un servizio di vetture tranviarie ormai decisamente ed efficacemente. V’era ormai persino chi lamentava l’aggressione estetica alla tranquillità e all’armonia delle strade e dei paesaggi urbani condotta dalla cacofonia delle immagini luminose e di quelle dei negozi. Così il consigliere, ovviamente della destra liberale, Vittorio Ferrari, in Consiglio Comunale nel 1906:
“Se l’industria nazionale ha trovato dal Governo e dai Municipi tutte le agevolezze e quando non le trova tutti ce ne liberiamo per affrancarci dall’importazione straniera e ogni giorno più è viva di noi la soddisfazione e l’orgoglio di vedere le marche nazionali sostituite alle esotiche nei prodotti nostrani che ai nostrani bisogni provvedono, io non so intendere perché debbano invece divulgarsi ogni giorno più le leggende e le insegne straniere, sostituendosi alle concorrenti italiane;
La spesa per la realizzazione della manifestazione del 1906 si aggirò attorno ai 13 milioni di lire finanziata prevalentemente dai privati, dagli utili di esercizio, dai biglietti d’ingresso e da una lotteria nazionale.
Scrive Francesca Misiani, autorevole storica dell’Expo del 1906: “La Giunta di Ettore Ponti, formatasi all’indomani delle amministrative del gennaio 1905 ed espressione della componente più riformista dei moderati, garantì una preziosa lungimirante continuità con l’azione della precedente esperienza popolare (giunta Mussi, quando i socialisti entrarono per la prima volta in maggioranza ndr); inoltre, anche grazie alla collaborazione di tecnici in vista, si orientò verso una politica volta specialmente ad assicurare l’efficienza indispensabile per lo sviluppo urbano. L’obiettivo, così come veniva segnalato nella prima relazione di bilancio, era quello di guardare al futuro…. Quello tra Milano e l’Esposizione del Sempione, fu un legame a doppio filo: da una parte il capoluogo lombardo ebbe modo di confrontarsi con oltre trenta paesi sul terreno della tecnica, della scienza e del progresso; dall’altra, l’evento internazionale offrì alla città l’occasione di autorappresentarsi non solo di fronte al mondo, ma specialmente di fronte a sé stessa, mettendo alla prova le sue effettive capacità organizzative e produttive”.

Fu tale forma di autoreferenzialità ad alimentare aspettative, entusiasmi e, non raramente, critiche e polemiche: “la festa, solenne per tutta Italia e per tutto il mondo civile, è poi sommamente cara a noi milanesi, poiché dessa rappresenta – possiamo dirlo senza false modestie – il trionfo di Milano nostra; significa la affermazione della sua forza ed è riprova novella della laboriosità intelligente ed infaticabile dei milanesi”, scrisse il Monitore alla faccia della modestia.
Se la volontà dei milanesi era quella di mostrare Milano come città del progresso a livello internazionale, si può ben capire come nell’organizzazione dell’Expo avessero il massimo rilievo i settori più innovativi, primi fra tutti le comunicazioni e i trasporti.
Un posto di primo piano ottennero dunque la Mostra dell’Automobilismo e del Ciclismo, la Mostra Ferroviaria, Postale, Telegrafica e Telefonica, la Stazione Radiotelegrafica, la Mostra Aeronautica, nonché quella Stradale e della Marina.
Non mancarono ovviamente le prime pietre, tra cui quella della stazione che verrà inaugurata molti anni dopo, ma questa è tradizione e continuità, neppure mancarono ritardi, scioperi e serrate minacciate e un incendio.
L’Expo del 1906 come 10 anni fu anche un grande parco divertimenti.

Ricorda Francesco Agostini: “La mostra era costellata da fantasmagoriche attrazioni, come toboga acquatici e rappresentazioni di assalti alle diligenze, in un wild west alla Buffalo Bill in cui il cielo, squarciato da aerocicloplani, era oscurato dall’enorme aeronave “Italia”. Lo si capiva subito, però, che lo slogan alla base dell’esposizione non rimaneva confinato all’interno dei padiglioni liberty, ma fuoriusciva dai cancelli del parco, integrandosi nella città come a dire: sì, il futuro non è solo esposto in mostra, ma già intorno a te. Tanto è vero che l’illuminazione serale della “città bianca” contribuiva a creare per Milano un immaginario futuristico, in cui la scienza e la tecnica esplodevano come nel “Ballo Excelsior” di Luigi Manzotti, messo in scena per la prima volta alla Scala vent’anni prima. Gli stessi mezzi di trasporto balzavano oltre i cancelli del parco, creando nuovi collegamenti e nuovi scenari urbani, grazie alla rapidissima costruzione della ferrovia sopraelevata di sette metri da terra che collegava parco Sempione alla Piazza d’armi, dove allora si trovava l’altra ala dell’Esposizione e dove oggi sorgono le tre torri delle archistar. “
Opera di grande ingegneria che divenne in realtà una delle attrazioni principali dell’Esposizione, la ferrovia sopraelevata il cui collaudo avvenne il 14 aprile 1906 e l’inaugurazione ufficiale alla presenza di Vittorio Emanuele III il 29 aprile 1906, ogni tre minuti partiva un treno dal Parco e uno da Piazza d’Armi per un totale di 40 corse all’ora che consentivano di trasportare 60.000 persone al giorno.
Alcuni dati tratti da una guida del tempo: 35000 gli espositori, 7666000 i visitatori.
Nazioni partecipanti con proprio padiglione: 12 – Francia, Inghilterra, Svizzera, Belgio, Germania, Austria, Ungheria, Bulgaria, Russia, Marocco, Canada, Cina.
Nazioni più ampiamente rappresentate nelle varie sezioni: 19 – Olanda, Spagna, Norvegia, Svezia, Portogallo, Romania, Grecia, Montenegro, Turchia, Tunisia, Stati Uniti, Messico, Repubblica Argentina, Perù, San Domingo, Brasile, Persia, India, Giappone.
Concorsi speciali: 9, per l’agganciamento automatico dei vagoni, per la rilevazione di correnti elettriche, per un servizio pubblico con automobili, per il miglioramento dell’agricoltura montana, per il miglioramento del bestiame bovino, per la distribuzione igienica del latte, per progetti di case popolari, per progetti di camere d’albergo, per uno studio sulla disoccupazione.
Concorsi aeronautici: 6, Macchine per volare a motore, Aeroplani senza motore con lancio meccanico, Palloni sonda di massima altezza, Fotografie aerostatiche, Fotografia di fenomeni meteorologici, Cervi volanti.
Congressi: 120, tra nazionali e internazionali
Attrazioni: 3 Cinematografi, 2 Padiglioni di esplorazione e natura: Viaggio nell’estremo Nord, Grotta azzurra, 2 palombari in azione, 2 Ricostruzioni esotiche: Villaggio eritreo, Il Cairo a Milano 8 Istallazioni di divertimento: Toboga con bacino, L’Aeroplano (giostra), Slitta elicoidale, Cavalli elettrici, Treno ad aria compressa del cantiere del Sempione, Montagne russe, Pallone frenato, Palazzo delle illusioni.
Competizioni: la Coppa d’oro automobilistica (Milano- Napoli e ritorno), Inseguimento tra automobili e aerostati, Concorsi internazionali di pompieri, di ginnastica, di musica, di scherma, di tiro a segno, di gruppi bandistici, di scacchi
E si potrebbe continuare.
Se la l’Expo del 1881 aveva incoronato Milano come capitale morale quella del 1906 la incoronò città europea, l’unica del regno.
In conclusione, le esposizioni hanno sempre coinciso con grandi cambiamenti lasciando un’eredità complessa.
Dimenticavo, fatto nient’affatto secondario, l’Expo del 1906 chiuse con utili: 121.321 lire, versati al Comune per il restauro del Castello Sforzesco.
Walter Marossi