10 Giugno 2025
UN’OCCASIONE PERSA PER UNA STORIA DIVERSA
La breve e tardiva parabola della perestrojka
10 Giugno 2025
La breve e tardiva parabola della perestrojka

Passato un quarto di secolo possiamo considerare, con maggior freddezza e ponderazione, gli effetti della caduta del Muro. I facili entusiasmi del momento, che contagiarono emotivamente pure la sinistra, si riducono oggi a constatazioni purtroppo pessimistiche: aumento delle diseguaglianze sociali, sofferenza della liberaldemocrazia, smania di riarmo e guerra a pezzi, (o peggio: il “fascismo della fine del mondo” secondo Naomi Klein, come ripubblicato su queste colonne).
Era proprio inevitabile? Senza scomodare autorevoli commentatori ed opinionisti, impegnati a giudicare passato e presente, mi permetto un modesto amarcord, il ricordo di un’esperienza personale allorché, da giovane funzionario del PCI, ebbi la ventura di frequentare il corso semestrale della “scuola internazionalista” di Mosca nel 1974.
Quattro le materie principali e quattro insegnanti: “Ludmilla (filosofia) apprezza la linea euro-comunista, parla un italiano perfetto, legge Cesare Luporini e Galvano della Volpe, sottende un marxismo non dottrinario rispetto al “Lenin gavarit” ufficiale. Trafimov (teoria e tattica) è un allineato, meticoloso lettore della Pravda abile a perlustrare tra le righe i possibili movimenti nel Politburo. Darja (storia del PCUS) è etichettata dai compagni toscani con un lapidario “ci ha baffi”, sottintesa la malcelata rivalsa nostalgica. Laskov (economia politica) parla un francese raffinato, politicamente reticente e piuttosto orientato alla inclinazione-vodka”.
Possibile immaginare che tali differenze riflettessero altrettante posizioni politiche presenti al vertice, per quanto nulla trapelasse all’esterno. Plausibile pertanto, al costo di semplificare, raffigurare tali quattro tendenze in altrettante fasi della storia sovietica e post-sovietica rappresentate da (nello stesso ordine) Gorbaciov, Bresnev, Putin, Eltsin.
Quindi già negli anni ’70, sotto la cappa della stabilizzazione bresneviana, fermentavano i semi di una svolta che purtroppo sarebbero maturati troppo tardi, negli anni ’80 dopo l’avventura afgana, quando la crisi era ormai conclamata. Tardi ma ancora in tempo per affrontare non solo una trasparente ristrutturazione del sistema ma anche per prefigurare un nuovo ordine mondiale.
Porre fine alla guerra fredda senza vincitori e vinti; superare i difetti di entrambi i sistemi salvandone i pregi, consolidare il riconoscimento reciproco tra un capitalismo keinesiano ed un comunismo dal volto umano; sancire un compromesso storico tra le ideologie universali affermate con le due grandi rivoluzioni dell’età moderna del 1789 e del 1917.
Era stata l’intuizione di Berlinguer che Gorbaciov può raccogliere solo un decennio dopo, quando l’equilibrio mondiale è mutato. Il trio Thatcher-Reagan-Wojtila si attiva per la sconfitta senza condizioni del socialismo reale, mettendo fine all’equilibrio non solo geo-politico di Yalta.
Siamo nel 1987. Dopo affannose lotte di potere Gorbaciov è al vertice del Partito e dello Stato. Presenta la sua proposta: una ristrutturazione rivoluzionaria del sistema politico ed economico socialista all’insegna della trasparenza democratica. Con un occhio aperto al mondo, con una condizione fondamentale: il disarmo bilanciato ed una prospettiva di leale coesistenza pacifica.
Non è solo un programma politico e di governo ma una weltanschauung, una visione globale ampia e lungimirante. Ma le difficoltà si impongono, sia all’interno che all’esterno.
All’interno: dalla combinazione delle altre tre posizioni sopra richiamate: autoritarismo e burocratismo dall’alto, ma anche passività e spoliticizzazione dal basso. La base del partito è afona, semplice diramazione organizzativa. Il richiamo al bolscevismo delle origini ed alla vivacità culturale post-rivoluzione cadono nel vuoto.
All’esterno: dal cambio di strategia della potenza occidentale. Dalla dottrina del containment si passa, recuperandola dagli anni più bui della guerra fredda, a quella del roll back, della sopraffazione finale. L’equilibrio di Yalta non si ricompone, ma si sbilancia definitivamente.
Il corollario esterno è capitalismo selvaggio e darwinismo sociale, che mettono in sofferenza la socialdemocrazia ed alla lunga la stessa democrazia occidentale. Nonché l’allargamento e riarmo unilaterale della NATO, raggirando l’intesa concordata per lo scioglimento del patto di Varsavia.
Quello interno uno spurio monopolismo economico ed un dispotismo tradizionalista e nazionalista. Il crollo del sistema, anziché la sua riforma, hanno prodotto un’autocrazia di fatto ed una casta oligarchica, conseguenti la sconfitta di Gorbaciov da parte dei favoriti dell’occidente liberale: Eltsin e Putin.
Un’inedita e efficace composizione tra finalità politico-strategiche riservate al Partito-Stato e modalità economico-produttive affidate alla libera e creativa iniziativa privata avrebbe invece preso slancio in Cina, ma paradossalmente proprio a partire da un atto di dura repressione: Tienanmen, primavera 1989 – mentre in autunno il muro di Berlino sarebbe caduto in modo incruento!
La “Perestroika, nuovo pensiero per il paese e per il mondo” (Mondadori,1987) resta tuttavia una pietra miliare, una testimonianza preziosa qualora si riuscisse a rintracciare una via d’uscita dal pantano attuale e mondiale.
Valentino Ballabio
P.S. A titolo di curiosità, il seguito della memoria sopra riportata: “Tra le attività facoltative anche un corso di judo che abbandono dopo la seconda lezione, quasi soffocato da un giovane istruttore, basso tarchiato biondiccio dalla faccia rotonda, di probabile provenienza KGB”.
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