10 Giugno 2025
MILANO CAPITALE EUROPEA
A quarant’anni dal vertice al Castello Sforzesco

Da quando nel lontano 1881 in occasione dell’expo nazionale, Ruggero Bonghi coniò la definizione di Capitale Morale per Milano, i cittadini e i suoi amministratori periodicamente si gallardonano di una qualche definizione ulteriore: capitale della moda, capitale dello sport (in vista delle olimpiadi invernali), capitale economica, industriale del food-tech e della sostenibilità ( letizia Moratti, il riformista 6 giugno 2025), capitale del design, capitale dell’editoria, capitale della ristorazione (molto contestata); capitale culturale d’Italia; capitale della pubblicità; capitale del fumetto senza dimenticare capitale del sesso a pagamento e si potrebbe continuare a lungo.
Concretamente l’unica occasione per essere capitale sul serio fu Il 23 giugno 1958 quando all’Assemblea Parlamentare Europea si votò per la sede: Bruxelles vinse con 170 punti, seguita da Strasburgo (161 punti), Milano (155), Nizza (153) e Lussemburgo (99), il voto non chiuse la questione ma chiuse le speranze di Milano.
Fu una vicenda abbastanza fantozziana che portò il sindaco Ferrari a scrivere: “Nel momento in cui si cercò una città d’Europa ove stabilire le istituzioni sorte… Milano apparve a molti una sede ideale… nessun’altra città dei Paesi membri poteva offrire…ma la scettica indifferenza con cui in molti ambienti nazionali si guardava… non poteva non influire in senso fortemente negativo… il governo italiano non colse assolutamente il valore politico della scelta e, di fronte alla decisa azione del governo belga a favore di Bruxelles non seppe opporre altro che un augurio a che l’onore e l’onere venga attribuito prima di tutto all’Italia perché poi sarà interesse generale far cadere la scelta sulla città che sarà ritenuta più adatta permettendo nel frattempo il fiorire indiscriminato delle candidature Torino, Stresa, Monza, Varese e squalificando ogni ulteriore istanza al rango di velleità campanilistica e di bega municipale…”, tradotto: “Roma ci ha sgambettato” .
Senza diventare capitale europea Milano però può vantarsi di aver ospitato (28-29 giugno 1985) al Castello Sforzesco il fondamentale vertice dei leader europei a chiusura del semestre italiano.
All’epoca gli Stati membri erano dieci, ma erano presenti a Milano anche i primi ministri di Spagna e Portogallo, Felipe Gonzales e Mario Soares che non avevano ancora formalizzato l’ingresso.

Il cancelliere Helmut Kohl aveva annunciato al Bundestag la presentazione a di un progetto franco-tedesco di trattato europeo, che presenta a sorpresa a Milano ottenendo subito l’appoggio di Mitterand e l’opposizione della Thatcher: Kohl chiedeva la convocazione di una Conferenza intergovernativa per la riforma dei Trattati
Colta di sorpresa dalla proposta franco-tedesca, Thatcher tentò di giungere a un gentleman’s agreement per un accordo al ribasso relegando la riforma dei trattati a ipotesi, in pratica un rinvio sine die.
Qui entrarono in scena il presidente di turno Bettino Craxi e il ministro degli Esteri Giulio Andreotti, che forzando la mano e appellandosi a norme mai applicate imposero un innovativo voto di maggioranza, incassando l’approvazione, per sette voti contro tre, con i voti negativi di Gran Bretagna, Danimarca e Greci, della Conferenza intergovernativa, Cig, con largo mandato a riformare i trattati di Roma.
Da lì l’Atto unico europeo, che avrebbe condotto al completamento del mercato interno attraverso la libera circolazione di persone, merci, capitali e servizi.
La Conferenza intergovernativa così convocata avrebbe avuto come basi della discussione il Libro bianco sul completamento del mercato interno della Commissione europea, presieduta da Jacques Delors, che, come scrive Dastoli, era figlio nello stesso tempo dell’internazionalismo socialista e dell’universalismo cristiano. Lo scopo prioritario del libro la creazione di un “grande mercato unico” attraverso quattro mobilità – merci, capitali, persone, servizi -, si trattava della premessa dell’Unione Economica e Monetaria (UEM), che a sua volta avrebbe condotto alla creazione della moneta unica europea.

Insomma, a Milano si decide il primo, concreto episodio di rilancio dell’integrazione dopo il lungo periodo di “euro-sclerosi”.
La sconfitta della Thatcher, arrivata circondata dal mito della dama di ferro tant’è che il Corriere scrisse: “Di lei si potrà dire: è l’unica donna che riesce a mettere la gonna agli uomini. Per delicatezza verso Margaret Thatcher infatti tutti gli antichi guerrieri che fanno simbolicamente la guardia al castello sforzesco sono stati pudicamente ricoperti di una gonnellina di velluto rossi. I Virilissimi esponenti in ferro e marmo, del sesso forte erano stati giudicati troppo naturali”, fu totale.
Lo «strappo craxiano» ai tradizionali meccanismi unanimistici attira l’attenzione della stampa nazionale ed internazionale, si parla di euro-decisionismo di Craxi e Andreotti che interpretarono la presidenza come opportunità per ampiare il ruolo internazionale dell’Italia.
In sala Alessi si è riunì l’ufficio allargato del parlamento europeo (presidente vicepresidenti, capigruppo) che votò una risoluzione nella quale: “esige la convocazione di una conferenza intergovernativa fornita di un mandato sostanzialmente ispirato al progetto di trattato istitutivo dell’unione europea adottato dall’assemblea il 14 febbraio 84”. La risoluzione di Palazzo Marino ebbe il voto di tutti gli eurogruppi dai comunisti alle destre con l’eccezione dei verdi tedeschi e dei demoproletari italiani.
Mentre i parlamentari lavoravano ad un testo fortemente europeista sotto il monumento a Leonardo da Vinci un gruppetto di manifestanti socialisti e radicali solidarizzava con loro tra gli altri slogan Thatcher see you leater e Mitterrand tiens, chiedendo alla commissione anche di intervenire sui governi europei per rendere operativo quello che il Parlamento della Comunità ha voluto definire il “Piano di Milano”, vale a dire un progetto di intervento coordinato delle nazioni europee capace di arginare la progressiva desertificazione della regione africana del Sahel.

Ma al comune toccava soprattutto il ruolo di ospite e nella sala del tesoro alla Rocchetta allestì una mostra “Milano mercantile e artistica nel contesto europeo attraverso gli esemplari della trivulziana” con 5 pezzi della biblioteca, tra cui anche un taccuino di Leonardo per ogni paese presente al vertice.
Clamorosa la risistemazione degli spazi del castello per ospitare delegazioni e giornalisti, coup de theatre il tavolo per la riunione dei 26 che aveva in mezzo una vasca in cui galleggiavano ninfee
Non da strapparsi le vesti i menu offerti: in prefettura bresaola, risotto giallo, vitello con patate e sorbetto al limone (venne precettato anche un dentista nel caso qualche autorità avesse problemi).
Un po’ meglio al pranzo al castello con carpaccio, lasagnette, storione e gelato di germoglio d’abete. Per il pranzo allestito nella sala delle ASSI su un tavolo costruito all’uopo mancava però la tovaglia che si dovette chiedere in prestito al Quirinale così come le stoviglie che furono prestate e sponsorizzate dalla Richard Ginori.
Nessun premier, presidente o ministro alla serata alla Scala: erano tutti impegnati nelle trattative.
Ovviamente non mancarono polemiche per i disservizi che i cittadini dovettero subire tra chiusura al traffico privato e sospensione dei mezzi pubblici. Tognoli colse l’occasione per chiedere di realizzare un grande centro congressi e Quercioli propose di rincalzo di attrezzare Villa Reale a Monza, con quali effetti pratici lo possiamo vedere.
Non mancarono le minacce di attentati ed in Cairoli fu bloccata la metro per un pacco sospetto contenente crema doposole.
Numerose le manifestazioni e le petizioni sui più diversi temi. Si manifestò anche contro la corrida e la fiesta del “Toro de la vega” (una “simpatica” tradizione avviata nel 1534 in cui a Tordesillas centinaia di sadici rincorrono con pietre, uncini e lance un toro, cercando di farlo a pezzi, partendo in particolare dai pendenti). Perché la fiesta fosse vietata si dovrà aspettare il 2016.
Imponente, circa 100000 persone, la manifestazione “Chiediamo l’Europa” convocata dal Movimento federalista europeo insieme a partiti, associazioni, sindacati, sindaci, amministrazioni locali di tutta Europa; due i cortei da Porta ticinese e Porta Venezia con comizio in Duomo e una festa al Parco Sempione.

Dopo gli interventi del sindaco ed europarlamentare Tognoli: “nell’era dell’elettronica, di fronte ai missili e alle armi spaziali non possiamo continuare a coltivare il nostro orticello continentale e ignorare che un nuovo equilibrio planetario può ristabilirsi sulla testa dell’Europa” , del presidente Pierre Pflimlin, di Altiero Spinelli (letto da altri), di Bruno Trentin, di Formigoni, di Arialdo Banfi per l’ANPI, prese la parola Spadolini ministro della Difesa che fu fischiato perché dopo aver detto che Milano ha insegnato all’Italia a pensare europeo affermò la necessità di una politica di difesa comune per l’Europa, sembra oggi!
Inutilmente però cercherete nelle cronologie e nelle storie cittadine ampi riferimenti a quest’evento, per i più, il 1985 è l’anno della grande nevicata e delle elezioni amministrative, per il summit qualche noterella a piè di pagina. Nell’anniversario, tranne l’isolato ricordo dell’assessore Conte che io sappia neanche un convegnino o una targa che ormai non si nega a nessuno.
Walter Marossi