27 Maggio 2025

SOGNI DI FUTURO ANNEGATI IN MARE 

In Statale si parla di migranti


Copia di ARCIPELAGO MILANO (2)

Un nome, non un numero”: a dieci anni dal più grande disastro migratorio del Mediterraneo, l’Università Statale di Milano ha organizzato tre giorni di eventi per onorare le vittime, riflettere sull’importanza di restituire un nome ai morti e portare il tema all’attenzione pubblica.

Il museo MUSA delle Scienze Antropologiche, mediche e forensi per i Diritti umani e la mostra allestita nello spazio antistante l’Aula Magna valgono più di tante parole per ricordare la strage del peschereccio partito dalla Libia, che si inabissò a 400 metri di profondità, nel Canale di Sicilia, con il suo carico di mille giovani migranti. Solo 28 furono riportati vivi sul molo.

Attraverso un plastico del barcone e della base di Melilli e una toccante bacheca, dove sono raccolti alcuni effetti personali delle vittime, si entra in un’installazione che fa sprofondare il visitatore nel buio degli abissi, dove appare la sagoma del relitto con il suo pietoso carico di scheletri senza nome, centinaia e centinaia di corpi nella stiva, nella sala macchine e perfino alcuni stipati nella sentina. Cinque persone per ogni metro quadrato la densità di popolazione a bordo; neanche un litro di acqua a testa disponibile per il viaggio.

Compaiono una dopo l’altra le immagini di alcuni degli oggetti personali trovati nello scafo e addosso alle vittime – circa un migliaio, in totale – dalla pagella, ai documenti d’identità, ai simboli religiosi, alle fotografie, alle bustine contenenti la sabbia della terra delle proprie origini, alle lettere. Il mio amore è per te. Il mio avvenire è con te: con queste parole esordisce una lettera d’amore, che esprime il desiderio per un futuro insieme, se tu ora mi vorrai seguire, io mi darò a te per tutta la vita. E la lettera scritta da una sorella al fratello di circa 16 anni, a nome di tutta la famiglia, recita: E’ meglio che non pensi di attraversare il mare. Si dice che puoi trovare lavoro anche in Ghana, Angola, Kenya, Uganda. Si trovano tanti lavori. Non rischiare, coraggio. 

La conduzione dei lavori del convegno è affidata alla giornalista Angela Caponnetto, inviata di RaiNews24, che segue con professionalità e impegno il fenomeno dei flussi migratori, soprattutto attraverso il Mediterraneo, e racconta storie di rifugiati e profughi, con un approccio empatico e solidale che fa la differenza.

Il convegno ha ricordato l’impresa di squadra unica in campo internazionale del recupero del relitto dei migranti, sostenuta dall’allora Governo Renzi. Questa iniziativa ha attenzionato il nostro Paese per la capacità di coinvolgere decine di corpi dello Stato in un’operazione complessa da organizzare con strumenti di precisione e sistemi robotici. Venti ore di discesa e altrettante di risalita, che hanno richiesto grande preparazione tecnica e psicologica e massima attenzione nell’identificazione dei rischi e nella protezione degli operatori. 

È stato necessario un anno per la preparazione di questa impresa di orgoglio italiano e di grande solidarietà, dalla delicata fase ispettiva per la presenza di molti resti umani intorno e sopra il relitto, alla messa a punto di mezzi di recupero e sollevamento per riportarlo in superficie senza danneggiarlo.

Al recupero è seguito il successivo lavoro di ricostruzione delle identità dei migranti, realizzato dal LABANOF, il Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell’Università degli Studi di Milano guidato dall’impegno esemplare della responsabile scientifica Cristina Cattaneo, anima della dedizione collettiva di circa 80 medici legali, giovani antropologi, radiologi e genetisti per restituire un’ identità agli scheletri senza nome.

C’è cura ogni volta che non dimentichiamo la differenza che separa il corpo dal numero. Prendersi cura di questi morti significa anche prendersi cura di chi rimane, facendo quello che si sarebbe fatto per un disastro aereo con centinaia di ragazzi italiani tra le vittime. Abbracciare e trattare quei morti come se fossero i nostri è un gesto di grande umanità.

Il tratto distintivo dell’impresa consiste nel mettere una grande perizia medica e scientifica a disposizione della tutela dei diritti umani. Celebriamo – ha sottolineato la senatrice a vita Elena Cattaneo – lo sforzo scientifico unico di chi in Italia ha deciso che questo disastro non potesse finire nell’indifferenza e ha riunito un’équipe volta a recuperare con competenza e determinazione i resti e le storie. Dietro ogni frammento c’è un volto, una famiglia e una storia, che merita di essere raccontata, anche dopo la tragica fine.

Dare un nome e una storia a chi ha perso la vita prima di raggiungere il luogo sicuro, significa far sì che non rimanga uno scheletro senza nome e che non anneghino per sempre con lui anche i diritti di chi rimane. Significa, in altri termini, porre argine all’oblio di una vicenda umana.

Finora in dieci anni di lavoro sono stati identificate trentatré vittime, un risultato enorme, perché si tratta di campioni e frammenti ossei rimasti a lungo sommersi e già compromessi, per cui è necessaria l’analisi del DNA dei familiari, da localizzare non senza difficoltà.

Il progetto Human Hall ha sposato la causa del diritto all’identità, promuovendo iniziative interdisciplinari in una prospettiva giuridica e medico legale, con l’obiettivo di comprendere l’impatto dell’assenza di identificazione sia sulla dignità dei morti, che sui diritti dei familiari, primo fra tutti il diritto alla verità.

Un modello eccezionale – testato per la prima volta in Italia – che dovrebbe diventare una prassi obbligatoria grazie a nuove leggi e regolamenti. L’identità è quanto di più caro abbiamo e restituire un nome vuol dire restituire i diritti. Nessuno dovrebbe esserne privato – spiega Cristina Cattaneo –e ribadisce l’impegno a potenziare la medicina legale umanitaria e a valorizzarne il risvolto etico.

Le note del concerto dell’Orchestra del Mare che utilizza strumenti realizzati nella liuteria del carcere di Opera, con il legno delle barche con cui i migranti hanno attraversato il Mediterraneo, danno nuova vita al legno inerte e testimone di morte di tanti barconi della speranza.

Rita Bramante



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