27 Maggio 2025

L’ORGIA DELLE SCISSIONI E LE PARABOLE DEL RIFORMISMO

La novità del ”Circolo Matteotti”


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La nascita del circolo Matteotti raggruppamento politico riformista milanese ma con già preannunciate filiazioni in tutta Italia, ha aperto un dibattito tra chi accusa i promotori del nuovo gruppo di appropriazione indebita del nome del martire o più banalmente di “marketing politico” e chi difende la scelta di Matteotti antifascista e anticomunista come simbolo di uno schieramento di centro sinistra che escluda ovviamente le destre ma anche i massimalisti e i populisti.

Quanto all’eventuale appropriazione indebita è prescritta perché il primo a operarla fu Togliatti nel lontano 1946 al teatro municipale di Reggio quando ricordando Prampolini e Massarenti disse:  “I nomi di questi uomini – disse – noi, comunisti, li onoriamo e veneriamo, e non solo perché fanno parte delle migliori tradizioni del popolo italiano, che noi sentiamo nostre, ma perché in essi riconosciamo dei maestri di quella politica che si fonda sulla capacità di esprimere le aspirazioni più profonde degli uomini che vivono del loro lavoro, e sulla capacità di organizzare la lotta per la realizzazione di queste aspirazioni” poi a ridurre il riconoscimento aggiunse che : “Vi era nei riformisti un pericoloso particolarismo, cioè la tendenza a separare l’uno dall’altro i problemi, in modo che veniva quasi sempre perduta la visione della prospettiva e dell’interesse generale del movimento.” 

Propaganda_politiche_1924Tuttavia considerando che è lo stesso Togliatti che aveva detto di Turati: “la borghesia, per conto della quale egli aveva fatto il poliziotto, il crumiro e predicato viltà, non aveva più altro da dargli che il calcio dell’asino (…). Noi fummo e rimaniamo suoi acerrimi nemici, nemici di tutto ciò che il turatismo è stato, ha fatto, ha rappresentato”, il cambiamento di linea era notevole e se si è ricreduto Togliatti non vedo proprio come si possa impedire agli onorevoli Gori, Quartapelle e associati di ricredersi sul riformismo del PD, di criticare i neomassimalisti e potersi richiamare a Matteotti e al riformismo.

Difficile però far coincidere il riformismo odierno con il riformismo matteottiano che era ben più radicale di un’alleanza elettorale con Renzi, Calenda e Della vedova, forse più che circolo Matteotti avrebbero dovuto chiamarsi circolo Bissolati.

Scriveva il Matteotti (notoriamente antimilitarista e pacifista) sull’Avanti! del 7 ottobre 1919: “tutti quelli che vogliono sostituire il regime socialista al capitalismo, hanno diritto di cittadinanza nel nostro Partito. Siamo contro i riformisti che vogliono le riforme come fine e non come mezzo e siamo contro quelli che vogliono l’insurrezione come fine e non come mezzo.” 

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In questo ripetendo quel che diceva il suo maestro: “Riformismo è l’uovo che si accetta oggi rinunciando alla gallina domani…nulla di simile è mai allignato nel socialismo positivo. Il quale nell’azione sua fa bensì conquista di successive riforme; ma queste stanno coordinate al fine ultimo di emancipazione che informa tutto il movimento”.

Oggi si parla di riformismo socialista, di riformismo cattolico, di riformismo liberale, di riformismo fascista, di papato riformista, in pratica chiunque voglia modificare qualche cosa anche l’orario condominiale della raccolta rifiuti si autodefinisce riformista ma come diceva Pagliari: “il riformismo è poco amato perché difficile, esige competenza, chiarezza di propositi e tenacia di sforzi”.

Il riformismo organizzato nasce il 10 luglio 1912, all’albergo Scudo di Francia in quel di Reggio Emilia quando viene fondato il Partito Socialista Riformista Italiano “per la prosecuzione dei metodi e dei fini del riformismo, prosecuzione doverosa ed urgente in quest’ora in cui il socialismo sta per affrontare la prova della nuova condizione creata alla vita pubblica italiana dal suffragio universale”, nel programma veniva rimossa ogni pregiudiziale su eventuali alleanze e la partecipazione al potere diventava un fatto normale  non eccezionale, era il trionfo del gradualismo. Salvemini fautore di un riformismo più radicale li accuserà di “ministerialismo intransigente”.

L’organizzazione del partito puntò molto sulla autonomia dei circoli locali, era quasi un partito federale, segretario fu eletto Pompeo Ciotti, che nel 1909 era stato segretario del PSI, organo del partito l’Azione socialista, leader indiscusso Leonida Bissolati.

La fondazione, come sempre accadde e presumo accadrà, nella sinistra italiana, coincide con una scissione/espulsione. Il giorno prima al Teatro Politeama Ariosto dove si svolgeva il congresso del PSI, con più di 12000 voti contro 5000 era stata approvata la mozione proposta da Mussolini di espulsione dei deputati Bissolati, Cabrini, Bonomi, Podrecca rei di essere favorevoli a sostenere il Governo Giolitti, di aver manifestato solidarietà al re vittima di un attentato e di essere parzialmente favorevoli alla guerra coloniale. Altri deputati seguirono gli espulsi, tra cui Nicola Badaloni, Arturo Labriola Giuseppe de Felice Giuffrida. 

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Tra i due partiti nonostante l’antica amicizia, ad esempio tra Turati e Bissolati (compagni di liceo, insieme avevano prefato Dio e lo stato di Bakunin tradotto dalla madre di Bissolati), fu subito scontro sui candidati nei collegi (una costante della politica italiana). 

Nel febbraio del 1913 ad una supplettiva a Budrio si scontrarono Podrecca e Massarenti mentre alle elezioni generali del 26 ottobre (1ºturno) e 2 novembre (ballottaggi) le prime a suffragio universale, a Mantova si scontreranno Bonomi e Zibordi, a Badia Polesine Badaloni e Mussolini, l’eccezione fu Milano dove i bissolatiani appoggeranno i riformisti turatiani e presenteranno candidature solo contro i massimalisti.

719NNOxxEGL._SL1500_Nazionalmente i bissolatiani prenderanno il 3,92% dei voti contro il 17,62% del PSI, 19 deputati contro 52. 

Fu una sconfitta secca anche perché il voto era radicato principalmente in poche aree geografiche: la Sicilia, la bassa Padania.

Nei mesi successivi il PSRI fu una componente portante dell’interventismo democratico, molti dirigenti a partire da Bissolati, nonostante l’età, si arruolarono e questo li allontanò ancor di più dai socialisti ufficiali neutralisti che venivano spesso ospitati nelle patrie galere per disfattismo mentre li avvicinava ai vecchi nemici: sindacalisti rivoluzionari, Mussolini, De Ambris, Corridoni. 

I riformisti entrano nel governo Salandra con Bonomi. Bissolati diverrà ministro con delega per i rapporti tra il governo e il comando militare, qui affermò, rivolto ai suoi ex amici della sinistra: “se per la salute della Patria fosse necessario non esiterei a farvi fucilare!”.

Il partito però non si radicò anzi si sfaldò tra spinte centrifughe e autonomistiche, tenne un solo congresso a Roma nel 1917 e nel 1919 alle elezioni del 19 novembre con il sistema proporzionale, allora come oggi la legge elettorale condiziona pesantemente la politica delle alleanze,  si presentò in un’alleanza con altri gruppi e singoli interventisti denominata Unione Socialista Italiana che prese l’1,45% e 6 deputati, 4 dei quali siciliani; in Liguria si formò un Partito del lavoro a base regionale che raccolse oltre ai socialriformisti (Canepa) gli interventisti nazionalisti mentre altri bissolatiani vennero eletti in altre alleanze  come il Fascio repubblicano socialista combattenti, il blocco democratico, i democratici.

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Bissolati, sostenitore di una pace giusta, basata sul rispetto dei diritti di nazionalità di tutti i popoli, diventa particolarmente inviso ai reduci perché riteneva sbagliato occupare il Tirolo e la Dalmazia ed in generale territori “non Italiani”; nel gennaio del ’19 gli viene impedito di tenere un comizio di sostegno alle tesi wilsoniane alla Scala dalla gazzarra scatenata da futuristi e fascisti guidati da Mussolini.

Le speranze riposte da Turati e da molti socialisti e democratici in Bissolati, anche per la comune avversione al massimalismo, al bolscevismo ed al fascismo, vennero frustrate dalla sua morte, avvenuta il 6 maggio 1920 in seguito ad un intervento chirurgico.

images (1)Nenni, anni dopo, lo ricorderà così: “Schivo d’onori, di popolarità, appassionato alpinista, uomo selvaggio come ebbe egli stesso a definirsi, più volte amò rientrare nel silenzio colla coscienza d’aver servito col più puro disinteresse il suo ideale… spirito libero, sempre pronto a trarre tesoro dall’esperienza. Non opportunista, nel senso volgare della parola, ma dotato di quel fiuto della opportunità che è una caratteristica essenziale dell’uomo di Stato… Il suo socialismo non fu un’arida interpretazione di leggi economiche, ma una nuova e più perfetta forma di umanesimo”. 

Curiosamente sarà commemorato a Pescarolo nel 1924, 29 ottobre, anche da Mussolini che accompagnato da Farinacci (ex socialriformista) riconoscerà le qualità del defunto avversario: “il socialismo era diventato una scuola di abbrutimento dei valori nazionali, una dottrina di mistificazione delle plebi, contro il quale si era levato Bissolati cavaliere senza macchia e paura”.

Alle elezioni anticipate del maggio 1921 il PSRI, ormai saldamente governativo non presenta proprie liste e 11 socialriformisti vengono eletti in liste varie. 

Il successo maggiore dei socialriformisti fu la presidenza del Consiglio per Bonomi (4/7/21-26/2/22) che peraltro non si distinse nella difesa della democrazia dallo squadrismo fascista e la nomina di Alberto Beneduce (quello dell’IRI) a ministro del Lavoro; nei governi Facta il PSRI sarà rappresentato dal ministro del lavoro Della Sbarba. 

Quasi tutti i leaders del socialriformismo erano massoni, Bonomi che ne divenne il leader dopo la morte di Bissolati raggiunse il 33º grado del Rito scozzese antico ed accettato e fu membro del Supremo Consiglio della Gran Loggia d’Italia

Nell’ottobre del ’22 gli altri riformisti “di sinistra”, i turatiani, venivano espulsi dal PSI e fondavano il Partito socialista unitario con Matteotti segretario, ma il dialogo con Bonomi (Matteotti era stato favorevole alla sua espulsione dal PSI) non fece grandi progressi, del resto Bonomi votò la fiducia al governo Mussolini.

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Nel febbraio del 1923 la corrente più moderata dei socialriformisti, tra cui Beneduce fondava il Partito Riformista Italiano (PRI) di sostegno a Mussolini sulla base della teoria che “il riformismo era una diagonale tra socialismo e fascismo”, qualsiasi cosa volesse dire. Altri ex parlamentari e dirigenti si ritirarono dalla vita politica.

Alle elezioni dell’aprile 1924 svoltesi tra brogli e violenze con la legge elettorale Acerbo proporzionale con spropositato premio di maggioranza, i socialriformisti si presentarono in una lista (emblema stella a cinque punte raggiata) presente in 4 regioni insieme a democratici di diversa provenienza, la decisione fu presa a Milano, domenica 10 febbraio 1924, in una sala del caffè San Carlo, in Galleria De Cristofori. Erano liste definite “di opposizione costituzionale”.

Altri si presentarono nelle liste del cavallo bianco con Nitti, alcuni passarono al Partito Socialista Unitario di Matteotti. Altri collaborarono con le liste di Democrazia Sociale erede del vecchio partito Radicale, il cui leader era Giovanni Colonna di Cesarò peraltro già ministro del governo Mussolini, che cercava di coagulare l’opposizione democratica, puntando a un’alleanza tra socialisti, radicali storici, liberali monarchici e repubblicani mazziniani. Ottennero solo un pugno di deputati. Cesarò (uno dei principali promotori in Italia dell’antroposofia) sarà aventiniano convinto, e verrà in seguito sospettato di essere l’organizzatore dell’attentato al duce compiuto da Violet Gibson il 7 aprile 1926.

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Il mancato varo di un unico cartello elettorale tra socialisti unitari dove vi era una forte componente astensionista, social-riformisti, nittiani, demosociali, repubblicani e liberal-democratici, fu dovuto, oltre che a divergenze personali e di candidature, alla convinzione diffusa che si potesse condizionare Mussolini e il fascismo salvaguardandone però le “conquiste” antimassimaliste e antibolsceviche. 

Ancor prima dello scioglimento dei partiti voluto dal regime nel ’26, del riformismo organizzato non restava più nulla, mentre il PSI proseguiva nell’orgia delle scissioni come dirà Nenni. La parabola riformista governativa si era consumata in poco più di dieci anni; nel secondo dopoguerra molti protagonisti confluirono nel saragattismo passando per il Partito democratico del lavoro. Bonomi sarà presidente del consiglio dal 18 giugno 1944 al 19 giugno 1945 e poi presidente del senato della Repubblica fino alla morte nel 1951, per sentir di nuovo parlare di un riformismo protagonista, bisognerà attendere gli anni ’80. Ma questa è un’altra storia.

Walter Marossi



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