13 Maggio 2025
L’ASTENSIONE RECIPROCA TRA AMMINISTRATI E AMMINISTRATORI
Il partito del non voto tra maggioranza relativa ed assoluta
13 Maggio 2025
Il partito del non voto tra maggioranza relativa ed assoluta

Nei liberi Comuni sorse l’embrione della democrazia moderna. Lo spirito di libertà “reso dall’aria della città” consentì di sperimentare un primo modello di autogoverno comunale; tuttavia soffocato per tutto il successivo mezzo millennio dalle signorie, dalle monarchie assolute, dai centralismi statali liberali e non. La “legge comunale-provinciale” del 1915, fondata su un pervasivo potere di controllo prefettizio, sarà abrogata solo nel 1990.
La Costituzione repubblicana cambia la natura dello Stato, ma le resistenze al decentramento saranno notevoli. La Dc detiene in permanenza il ministero degli interni e, pur avendo avuto nel popolarismo di Sturzo una originaria vocazione comunale, blocca le regioni fino al 1970 e la legge sopra richiamata ancora per il successivo ventennio.
Si deve per onestà riconoscere alla lega primitiva di Bossi e Miglio la spinta a superare finalmente il Regio decreto del 1915 modificato nel ’23 con l’approvazione della legge 142/90 che sancisce: “Le comunità locali, ordinate in comuni e province sono autonome. Il comune è l’ente locale che rappresenta la propria comunità” (art.2, commi 1 e 2).
L’obbiettivo sembra raggiunto: autonomia più democrazia!
Eravamo infatti ancora con il sistema proporzionale puro. La centralità è del consiglio comunale che elegge tra i consiglieri il sindaco – che come “primus inter pares” presiede il consiglio – e gli assessori. È sempre il consiglio che esprime la maggioranza, custodita dai gruppi consiliari (ovvero i Partiti) ma con possibilità di ribaltare alleanze, sindaci e giunte anche in corso d’opera (possibilità purtroppo abusata dal PSI con la dottrina dei “due forni”).
Ma l’idillio tra la comunità locale ed il suo referente politico-amministrativo più immediato dura poco. Siamo alla vigilia del terremoto di tangentopoli che, dissolti i partiti, tre anni dopo produrrà la legge 81/93 (governo Amato 1° e ministro degli interni Mancino Dc): elezione diretta del sindaco, assessori nominati, consiglio comunale ingessato col premio di maggioranza. Viene meno il ruolo di discussione e mediazione dei partiti di massa; le relazioni con i cittadini vengono delegate ad appositi uffici (URP).
Gli interventi legislativi successivi nonché la loro cattiva applicazione aggravano il rapporto. Provò Bassanini a metterci una pezza che risultò peggio del buco. Poi Delrio riuscì a completare il dissesto complessivo dell’assetto istituzionale locale e intermedio.
Il ruolo dei nuovi partiti ora si limita al momento elettorale: trattative per le candidature, le coalizioni e la distribuzione degli assessorati. Poi la funzione politico-ammnistrativa passa direttamente nelle mani di sindaco e assessori che, liberati delle incombenze gestionali passate ai funzionari, si dedicano prevalentemente alle relazioni esterne ed alla cura dell’immagine.
Tuttavia la comunicazione politica imbocca una via a senso unico attraverso la collusione con i media più malleabili e compiacenti, mentre critiche motivate e domande pertinenti rimangono senza risposta. La tattica dell’orecchio del mercante si impone, a cominciare col trattamento riservato ai cittadini più attivi e consapevoli, spesso riuniti in associazioni e comitati. Alle domande più pertinenti e motivate segue un’assordante silenzio, un’astensione impassibile da ogni replica.
Se nel secolo scorso rispondere alle critiche sarebbe stato, per gli esponenti pubblici, un punto d’onore irrinunciabile (nel secolo ancora precedente avrebbe pure dato luogo a duelli, come nel caso di Felice Cavallotti), ora invece è divenuto abituale mostrare un ostentato silenzio, una signorile nonchalance (inutile scomodare l’ormai celebre Marchese del Grillo nel secolo ancora precedente!).
Fin qui il fattore soggettivo di una classe politica chiusa ed autoreferenziale, che si sovrappone a tre elementi strutturali della crisi democratica che investe oggi anche il livello di governo locale: la dimensione, l’omologazione, l’isolamento.
Dimensione. “Talora si ha l’impressione che la città sia troppo grande per sentirsi una”. (Carlo Maria Martini, prolusione agli “stati generali” di Milano, 11 giugno 1998). Infatti la realizzazione di un effettivo decentramento delle funzioni adeguate (servizi alla persona, cura di territorio e patrimonio pubblico, ecc.) è stata inibita dalle resistenze politiche e burocratiche concentrate in palazzo Marino. Il tentativo dell’assessore Carlo Cuomo, che negli anni ’70 istituì le venti zone sedi di partecipazione e relativo autogoverno, è stato rovesciato col paradosso di rendere i nove Municipi tanto elettivi quanto privi di voce in capitolo, in particolare sulle delicate materie di gestione del territorio (ma su questo – anche al centro – ci pensa la “commissione paesaggio”!).
Viceversa la polverizzazione dei piccoli comuni (1.502 in Lombardia), non intaccata dalle fusioni ed unioni volontarie ventilate a vuoto dalla legge Delrio, ha mantenuto all’insegna del più retrogrado campanilismo una dispersione decisionale irrazionale e spesso conflittuale, particolarmente in materia di territorio, ambiente, mobilità.
Omologazione. Milano fa ancora scuola. La staffetta Albertini-Moratti/Pisapia-Sala si è scambiata il medesimo testimone, segnatamente sulle politiche urbanistiche. Il relativo supporto dei “partiti di riferimento”, fieri avversari solo in campagna elettorale, non ha influito minimamente sul profilo del famigerato “modello”. L’EXPO voluta da Letizia e compiuta da Beppe lo ha semplicemente esasperato, fino alle note conseguenze.
Scenario simile nei comuni medi, dove la staffetta è anche più ravvicinata; ed ancor peggiore nei piccoli dove anonime liste civiche si alternano con l’aggravante di non lasciar traccia dietro di sé, vanificando ogni barlume di responsabilità politica. Da “noi per Riosecco” a “Riosecco per voi” viene a mancare persino la soddisfazione di addebitare i frequenti disastri a “chi c’era prima”.
Isolamento. La faticosa conquista dell’autonomia si è infine rovesciata nel suo contrario. Da potestà decisionale indipendente ma coordinata al contesto più ampio, si è trasformata in esercizio “in proprio” di un potere incondizionato, non bilanciato da contrappesi se non – nei casi estremi – della magistratura. La massima leghista dei “padroni in casa propria” ha sfondato su pressoché su tutti i fronti, a cominciare ovviamente dall’uso ed abuso del “proprio” territorio.
Sempre la legge 142/90 per altro prevedeva “piani territoriali di coordinamento” provinciali, praticamente vanificati dalla delegittimazione delle Province (capro espiatorio della lotta alla “casta” che, passata la buriana, si è rifatta con tanto di interessi!) infine ridotte dalla pseudo-riforma Delrio a miserevoli enti residuali.
In conclusione: forse queste e simili tesi non sono valide e attendibili, ma da chi ha il potere di confermarle o smentirle avremo mai il bene di saperlo?
Valentino Ballabio