13 Maggio 2025
I PROSSIMI REFERENDUM
La storia del passato

Con l’approssimarsi del voto referendario del prossimo giugno vale la pena ricordare qualche precedente.
Dal 1946 a oggi ci sono state 23 tornate elettorali referendarie cioè in pratica una ogni 3 anni, per un totale di 4 quesiti costituzionali, 1 di indirizzo, 1 istituzionale e 72 abrogativi. Alcuni di questi referendum hanno segnato la storia politico culturale del paese altri sono stati presto dimenticati indipendentemente dalla rilevanza del quesito. Decine sono stati i referendum proposti ma che non sono stati ammessi o non hanno raggiunto il numero sufficiente delle firme.
I referendum abrogativi prevedono per la validità il quorum (partecipazione alla votazione della maggioranza degli aventi diritto), i referendum costituzionali, istituzionali e di indirizzo non prevedono il quorum.
Il quorum è stato raggiunto in queste occasioni: nel 1974 sul divorzio; nel 1978 si svolgono due referendum sull’abrogazione della legge Reale, che riguarda le norme restrittive in tema di ordine pubblico e per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. In entrambi i casi vince il “No”; nel 1981 abolizione dell’ergastolo, abolizione delle norme sulla concessione del porto d’armi, abrogazione di alcune norme della legge 194 sull’aborto per renderne più libero il ricorso, abrogazione di alcune norme della legge 194 sull’aborto per restringerne i casi di liceità, in tutti e cinque i casi vince il “No; nel 1985 il referendum abrogativo è sull’abolizione della norma che comporta un taglio dei punti della “scala mobile”; nel 1987 si voto per cinque referendum: abrogazione norme limitative della responsabilità civile per i giudici; abolizione commissione inquirente e trattamento dei reati ministeriali; abrogazione intervento statale se il Comune non concede un sito per la costruzione di una centrale nucleare; abrogazione contributi compensazione agli enti locali per la presenza sul proprio territorio di centrali nucleari; esclusione della possibilità per l’Enel di partecipare alla costruzione di centrali nucleari all’estero. In tutti i quesiti vince il “Sì”.
L’affluenza tende a calare, nel 1990 non raggiungono il quorum i referendum sulla caccia e sull’uso dei fitofarmaci mentre nonostante l’invito a recarsi al mare invece che votare (da molti ritenuto il più grosso errore di Craxi) lo raggiungerà il referendum sull’abolizione delle preferenze nel 1991.
Nel 93, si vota per 8 quesiti che ottengono il quorum: sulle USL, le droghe leggere, il finanziamento pubblico dei partiti, l’abrogazione del ministero delle partecipazioni statali, dell’agricoltura, del turismo e spettacolo, l’elezione del senato, le casse di risparmio. L’affluenza fu pari al 77% e tutti i quesiti passarono. Quello meno popolare fu quello sulle sostanze stupefacenti che ottenne solo il 55,4% di Sì, mentre tutti gli altri ottennero tra il 70 e il 90% di voti favorevoli.

Nel 1995 il quorum con un’affluenza pari al 57-58%, lo ottengono 12 quesiti: rappresentanze e trattenute sindacali, contratto pubblico impiego, privatizzazione RAI, soggiorno cautelare, legge elettorale comunale, licenze ed orari commerciali, pubblicità televisiva.
Buona parte dei quesiti per non dire quasi tutti sono frutto dello sforzo organizzativo, e politico dei radicali che oltre ai quesiti per cui sono riusciti a raccogliere le firme ne hanno proposti molti altri (decine e decine), per i quali non hanno raggiunto il minimo necessario, altri ancora sono stati dichiarati inammissibili.
Per i radicali: “«Con i referendum ribadiamo la volontà di portare all’ordine del giorno del paese temi che altrimenti sarebbero ignorati (nucleare, caccia, droga, aborto) o attraverso i quali, con l’abrogazione, si può esercitare una funzione legislativa in positivo (reati d’opinione, norme anticostituzionali penali e militari), perseguendo un metodo di formazione dell’unità dal basso in grado di rompere gli estenuanti negoziati tra partiti che stanno alla base dell’immobilismo di decenni»
Nel 97 nessuno dei quesiti tra cui quello sull’abolizione dell’ordine dei giornalisti, le carriere dei magistrati, golden share e la caccia raggiunge il quorum, così come nel 1999 quello elettorale e nel 2000 quelli sui magistrati, sui sindacati, sui rimborsi elettorali. Nel 2003 stessa sorte per i referendum per estendere a tutti i lavoratori il diritto al reintegro nel posto di lavoro per i licenziati senza giusta causa e per abrogare l’obbligo per i proprietari terrieri di dar passaggio alle condutture elettriche sui loro terreni. L’affluenza fu solo del 25,5%, come nel 2005 sulla procreazione assistita. Nel 2009 nessuno dei quesiti in materia elettorale supererà il 25% dei votanti.
Successo di partecipazione invece nel 2011 per il quesito sull’Abrogazione delle norme che consentono di affidare la gestione dei servizi pubblici locali a operatori privati. Promosso dal comitato referendario “2 Sì per l’Acqua Bene Comune”, che farà da traino anche altri due quesiti sull’acqua e il nucleare. L’affluenza fu pari al 54,8% e i Sì furono tra il 94 e il 95%.
Nel 2016 nel referendum sulle trivelle l’affluenza si fermò al 31,2%.

Nel 2022, 5 quesiti con un’affluenza al 20,9%: la riforma del Csm, l’equa valutazione dei magistrati, la separazione delle carriere dei magistrati, i limiti alla custodia cautelare e l’abrogazione del decreto Severino.
Posta l’affluenza nazionale per referendum a 100, il Nord-Est ha avuto un’affluenza media pari a 113, il Nord-Ovest a 107, il Centro a 106 e il Sud e le Isole a 84. In media, quindi il Mezzogiorno ha un’affluenza inferiore del 25 per cento rispetto al Nord-Est.
Nei referendum che non necessitano del quorum si votò nel 2001 sulla modifica del titolo V della Costituzione affluenza al 34%. Nel 2006 sulla modifica della parte II della Costituzione, affluenza al 52%, modifiche bocciate dal 62% degli elettori, ma non in Lombardia dove prevalse l0indicazione per il sì del centrodestra.
il 4 dicembre 2016 vi fu il Referendum costituzionale sulla riforma “Boschi – Renzi” su: “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione”. Vinse il “No” con il 59.12% e l’affluenza fu del 65,48%. Il 20 e 21 settembre 2020 si vota per la modifica della costituzione e per la riduzione del numero dei parlamentari. Vince il Sì, con il 69,96% dei consensi. Il no si ferma al 30%, l’affluenza e del 51%.
Milano ha un rapporto speciale con i referendum, di cui si cominciò a discutere in consiglio comunale nel 1881 (referendum a foggia svizzera). Il Corriere polemizzava sul fatto che votassero anche quelli che non pagavano le tasse imponendo al comune spese eccessive,
Il primo referendum comunale si svolse anni nel dicembre 1901 ed ebbe come oggetto le sovvenzioni comunali al Teatro alla Scala, per ripianare le perdite di gestione.
Questa la delibera: “… Il Consiglio nel rimettersi al voto degli elettori, dai quali attinge i suoi poteri, ha reso omaggio al principio della sovranità popolare ed alla attitudine cosciente del corpo elettorale di pronunciarsi sopra una questione che involve non solo l’onere finanziario del Comune ma eziandio altri interessi d’indole artistica, economica e sociale.”
La vicenda referendaria fu oggetto anche di dibattito parlamentare perché non esisteva una norma nazionale e determinò un effetto valanga in molti comuni fino ad allora restii ad usare lo strumento referendario. Per la cronaca il contributo fu cancellato anche se poi negli anni successivi venne reintrodotto in forme surrettizie. Il referendum scala fece scuola, anche a Mantova, a Parma ed in altre città si votò sui teatri.
Ma il definitivo vero impulso al referendum comunale fu dato da Giolitti con la legge n. 103 del 29 marzo 1903 dove il referendum comunale viene inserito quasi come obbligatorio in materia di municipalizzate. Infatti, l’articolo 13 stabiliva: “In seguito al parere favorevole della commissione la deliberazione del Consiglio Comunale è sottoposta al voto degli elettori del Comune convocati con manifesto della giunta municipale, da pubblicarsi 15 giorni prima della convocazione stessa. L’elettore vota pel sì o pel no sulla questione dell’assunzione diretta del servizio. Nel caso di risultato contrario alla deliberazione del Consiglio Comunale, la proposta di assunzione diretta del servizio non può essere ripresentata se non dopo tre anni salvo che un quarto almeno degli elettori iscritti ne faccia richiesta nelle forme prescritte dal regolamento; ma anche in questo caso non dovrà essere trascorso meno di un anno dall’avvenuta votazione”.

I referendum comunali furono i più diversi: nel mantovano una amministrazione comunale indisse un referendum in merito all’accordo su un lascito, a Firenze il consiglio comunale discusse di sottoporre a referendum le nuove linee tramviarie, a Sestri si propose il referendum sul sussidio alla Camera del lavoro, a Ravenna sulle tasse comunali, a Casate Olona sulla Banda Comunale, a Novi Ligure contro la linea ferroviaria Ovada Alessandria, a Brescia sui trasporti (1907), a Torino sull’impianto idroelettrico (1904), a Cremona sui dazi, a Vigevano sulla municipalizzazione del gas, a Catania 1902 sulla panificazione, a Carrara sulle case popolari, a Mantova sul contributo al Teatro sociale, a Venezia sulla municipalizzazione dei vaporetti, a Roma sul tassametro per le carrozze a cavallo pubbliche etc.
Quello sulla Scala non fu l’unico referendum comunale milanese di inizio secolo.
Nel luglio 1905 si votò per le case popolari, il quesito diceva: “L’elettore intende che il Comune si assuma l’esercizio diretto del servizio riguardante le case popolari”, tema così riassunto dai quotidiani dell’epoca: “Costruzioni, di circa 48 del tipo di quelle in costruzione in via Ripamonti distribuite in diversi punti della città, poco discoste da linee tramviarie e dotate di acqua potabile e di fognature, con alloggi composti di 1,2,3 locali.
In questo come in altri referendum il voto avvenne a interventi già realizzati si trattava più una questione di metodo che di sostanza.
Scrive Maria D’Amuri: “Sebbene la genesi del programma per le case popolari fosse avvenuta nel corso del 1902, le autorità civiche milanesi avevano stabilito sin dagli inizi di affidarne l’attuazione a un organismo distinto dal complesso dell’amministrazione, proponendo in nuce la struttura di un’azienda speciale. Pertanto, alla luce delle disposizioni sulla municipalizzazione, i propositi definiti erano stati ulteriormente circostanziati, in quanto “la nuova legge, nel mentre rimuove[va] qualche grave difficoltà finanziaria, che si sarebbe presentata altrimenti nell’attivazione del progetto, complica[va] d’altra parte la procedura da seguirsi”.
L’istituto del referendum intanto diventava sempre più popolare.

Nazionalmente fu proposto un referendum sul divorzio, che nelle intenzioni dei proponendi (onorevole Scalini) avrebbe ottenuto una ampia maggioranza negativa alla sua istituzione.
A Milano i commercianti proposero un referendum contro la chiusura domenicale dei negozi se ne riparlò un secolo dopo; nel 1910 (10 aprile) con questo quesito: “Intende l’elettore che il comune assuma l’esercizio diretto del servizio riguardante l’impianto idroelettrico dell’alto Adda” (la Valtellina) possiamo chiamarlo il referendum AEM.
Nel primo dopoguerra sarà il sindaco Caldara a proporre nel 1923 un referendum contro la paventata privatizzazione dell’ATM, quello del referendum in difesa delle municipalizzate è una costante in molte città anche in anni recenti (Milano 1997 a Roma). Durante il fascismo di referendum non se ne svolsero essendo questa l’opinione del duce: ““Il referendum va benissimo quando si tratta di scegliere il luogo più acconcio per collocare la fontana del villaggio, ma quando gli interessi supremi di un popolo sono in gioco, anche i governi ultrademocratici si guardano bene dal rimetterli al giudizio del popolo stesso.”
Per un altro referendum comunale importante bisognerà aspettare decenni e precisamente arrivare al maggio 1985 quando il 70,3% dei votanti votò per una chiusura progressiva del centro alle auto private in un referendum promosso dal “comitato della città” presieduto da Corleone, effetti pratici nessuno tant’è che nel 1990 un altro comitato questa volta presieduto da Properzi propose un nuovo referendum sul traffico in città. Uno dei tanti referendum ipotizzati ma che non si tennero è quello contro la decisione del consiglio comunale sindaco Borghini che approvò la candidatura per le olimpiadi del 2000.
I partiti hanno sempre avuto scarsa simpatia per i referendum municipali, visti come uno strumento grossolano, utile come strumento propagandistico piuttosto che decisionale. Sono stati i comitati di cittadini, le liste civiche i partiti minori a utilizzare l’istituto referendario.
Ne sono stati proposti contro la metropolitana (BS), contro il casino (Sanremo), contro la localizzazione di aziende farmaceutiche (Trezzo), per la separazione o aggregazione di comuni (in primis Venezia), sui diritti dei pedoni (Bergamo), sulla centrale nucleare (Caorso), sull’alienazione di edifici comunali (Casalpusterlengo), sui campi nomadi Pavia , sullo stadio di San Siro e si potrebbe continuare a lungo, nei fatti la più parte dei referendum effettivamente svoltisi riguarda accorpamenti o separazioni di piccoli comuni.

Non è mancato anche un referendum consultivo regionale tenutosi il 22 ottobre 2017. Il fatto più rilevante fu che si votò con il voto elettronico. A tal scopo la Regione acquistò da un’azienda olandese la fornitura di 24 000 tablet muniti di un’apposita applicazione per il voto elettronico, per un importo complessivo di 23 milioni di euro. Il testo del quesito era: “Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?”. A votare sì oltre al centro destra compatto e ai cinque stelle anche parte del centro sinistra tra cui Sala e Gori e i sindaci di Brescia, Varese, Lecco, Mantova, Cremona e Sondrio. Con un’affluenza del 38% in regione ma del 31% in provincia di Milano e in città del 27,2% vi fu un sì plebiscitario del” 96% ma in città del 93%. Solo il referendum consultivo del 1989 “Mandato costituente al Parlamento Europeo” aveva avuto percentuali di sì così alte (90%) ma con una affluenza del 76%.
La domanda per i prossimi referendum è: si raggiungerà il quorum? Guardando alle ultime europee Affluenza del 50,8% in città, 55,24% in Regione, 49,69% nazionale le speranze sono poche certo si fosse votato solo per la cittadinanza agli stranieri la storia sarebbe stata diversa.
Walter Marossi