11 Marzo 2025
MILANO EQUIVOCA E IL SOCIALISMO EROTICO
Le letture “d’antan” dei milanesi

Ci sono in libreria decine di romanzi dedicati a libri scomparsi a librerie misteriose a poteri magici di volumi antichi a bibliotecari assassini etc. etc etc, dal nome della rosa in poi la già numerosa bibliografia del libro misterioso si è arricchita di centinaia e migliaia di titoli.
Fantasie spregiudicate; ma i libri scomparsi esistono eccome, solo che non hanno poteri particolari semplicemente sono stati dimenticati spesso perché di qualità non eccelsa oppure perché legati a temi e toni non più in voga oppure perché non funzionali alla narrazione del potere.
È il caso di “Milano equivoca” di Guido Ario uscito nel 1887 per i tipi di Francesco Falconi.
Dell’autore “presentato come un medico o chirurgo impegnato in un’indagine sociologica sui rapporti fra le élites cittadine e il mondo della prostituzione” (vedi A. Trampus in Biblioteca di via Senato maggio 2024) non esiste altra traccia che una recensione teatrale ad un’opera del Cavallotti sulla Farfalla. Probabilmente però per quanto riguarda Milano equivoca Ario è uno pseudonimo e l’autore altri non è che l’editore stesso.
Falconi apparteneva a quella categoria di editori sempre esistita ed esistente che bordeggiava la pornografia, il gossip il feuilleton.
Nobile piacentino, nato l’11 agosto 1859 a Gragnano Trebbiense, primogenito della contessa Emilia Labati, Francesco, di generiche simpatie socialiste pubblica Zola, Guy de Maupassant, Casanova e per questo finisce sotto processo per offesa al buon costume.
Nell’aprile del 1889 venne condannato a sei giorni di carcere, a una multa di 51 lire, al pagamento delle spese processuali e alla confisca di tutto il pubblicato nella collana Biblioteca naturalista rendendola una rarità per i collezionisti.
Altra conseguenza del processo fu il fallimento nel 1891 della casa editrice, come spiega la sentenza “l’editore delle pubblicazioni a buon mercato deve spargerle ai quattro venti ed affidarle a tutti quei rivenduglioli, i quali intascano, si i quattrini ma il loro ultimo pensiero è quello di fare il loro dovere verso il proprietario. Così a furia di piccole somme non incassate, l’editore riesce a perdere tutto” e Falconi perse tutto.
Come soluzione radicale il conte fuggì negli Stati Uniti, per tornare a Milano dopo un anno e mezzo aprendo questa volta due case editrici Libreria Falstaff e Libreria Chenier nettamente dedicate alla letteratura licenziosa, con diffusione anche internazionale come risulta da pubblicità su riviste straniere.
“Le proteste di molti padri di famiglia che chiedevano un freno allo spaccio di opuscoli e fotografie oscene” portarono a pedinamenti e appostamenti che si conclusero con l’arresto del conte, anche se pure sul titolo si ebbe a ridire, che risultò essere compilatore, tipografo ed editore nella propria abitazione in via San Pietro da Gessate. Nuovo sequestro ma questa volta con molto materiale fotografico, nuovo processo nel 1897, nuova condanna a sei mesi come riporta il Corriere e nuova emigrazione del conte di cui si perde notizia.
Il testo si inserisce in una copiosa produzione, di “indagini romanzate”, da Milano in ombra, abissi plebei di Ludovico Corio, a Sorveglianti e sorvegliati dell’ex funzionario di polizia Paolo Locatelli (che significativamente sottotitola Appunti di fisiologia sociale presi dal vero), a Scene contemporanee della Milano sottoterra di Francesco Girelli, e soprattutto il bestseller Milano Sconosciuta di Valera uscito inizialmente come reportage sulla rivista la Plebe a firma Caio dal 26 marzo al 30 settembre 1978. che ebbe svariate edizioni, aggiornamenti, rimaneggiamenti e ancora oggi è nel catalogo di diversi editori.
Il libro è un’indagine sociale romanzata, un feuilleton a tinte forti pieno di sesso e sangue che con un pastiche linguistico che mescola neologismi e dialetto svela l’altro volto della città, Valera è stato protagonista diretto ed elaboratore di un modello di reportage che introduce e sviluppa i presupposti stessi di una metodologia di conoscenza sociale e ne è andato precisando una moderna cultura dell’inchiesta. (A. Mangano).
Il primo capitolo del libro è dedicato a una ruffiana: “Il suo soprannome era Zia. Tutti i ghiottoni di donne clandestine e tutte le donne venderecce si compiacevano di chiamarla Zia”; la prostituzione attirava il lettore ed il confine tra inchiesta, impegno sociale, romanzo popolare, feuilleton morboso è labile ed incerto.
Lo stesso Valera cavalcherà per decenni il tema delle prostitute in molti suoi altri scritti, già l’anno dopo pubblicherà un volumetto sui Lupanari di Mantova, e non meno spazio in tutta la sua quarantennale produzione viene dedicato agli “invertiti”.
Per evitare sequestri e accuse lo stesso editore fece fare la presentazione del libro, in realtà una lettera, all’avvocato Giarelli che scrive come nella sua qualità di italiano, di cittadino, di marito e padre sia ostile “a questo verismo così lontano da quello artistico che si impone colla maestà, con l’eleganza, con il buon gusto”.

Contro “questa apoteosi della puzza e della sporcizia…questo soffermarsi soltanto sulla parte più lurida della società milanese” un gruppo di intellettuali milanesi capeggiati da Cletto Arrighi, già autore del romanzo La scapigliatura, pubblica una sorta di contro indagine: Il Ventre di Milano. Fisiologia della capitale morale, reportage (Aliprandi editore) che così polemizza con Valera: “In questi ultimi tempi i libri pieni di laidumi e di cattivi odori spesseggiarono tanto, che è proprio venuto il tratto di tornare al decente ed al fragrante… Chi scrive queste pagine si è chiesto qualche volta d’onde fosse venuta a quei pubblicisti la smania di razzolare nel putridume, di scarnificare le piaghe purulenti, di fiutare tanti fetori, di descrivere tanti odiosi spettacoli e soprattutto di ripetere tante cose puttanesche ormai sapute e risapute anche dai cretini. E tutto ciò con quelle frasi epilettiche, esagerate o sciatte, che non dicono ormai più nulla perché hanno l’aria di volerne dir troppo… Disgraziati pubblicisti, condannati a tanta jattura volontaria della vista, dell’udito e dell’olfatto, io vi compiango… Oh tu Paolino, che tanto ti affannasti co’ tuoi lerci opuscoli per ingolfarti nelle bolge maledette ad aspirare senza neppur turarti il naso la pestilenziale putredine di quelle morte gore… Noi dichiariamo schiettamente che non ci agita nessun pensiero di rivoluzione sociale…”.
È una risposta moderata democratica che si fonda su “un astioso radicalismo piccolo borghese, ideologicamente fondato sul mito del self made man vincitore nello struggle for life…e sono soprattutto la fierezza e l’orgoglio municipale le armi impiegate da Arrighi e soci per illustrare i fasti della capitale morale e per mettere a tacere la protesta e la rabbia come scrive Ghidetti.
Il libro si situa a metà strada tra i racconti trionfalistici, tra cui quello del Verga in occasione dell’expo del 1881, la illuministica festa del progresso che dà origine al mito di Milano capitale morale d’Italia definizione attribuita al napoletano Bonghi e la Milano sentina di ogni vizio di Valera.
Da notare che se Valera è un socialista militante antiriformista che ebbe un ruolo non secondario nella storia del socialismo milanese, Arrighi (pseudonimo di Carlo Righetti) è oltre che commediografo di successo e autore anch’egli di un romanzo “puttanesco” Nanà a Milano, (Zola veniva ritenuto dal Corriere il “padre e balio di tutte le sudicerie che si stampano”) un radical mazziniano e per una legislatura anche deputato.
Nella sua fase ascendente, mentre si candidava a proporsi come guida dello sviluppo e della modernizzazione del paese, la borghesia della metropoli lombarda accreditava alla giovane nazione il proprio modello, fatto di laborioso attivismo e di fervida moralità (Gotti in La città più città d’Italia) e non poteva permettersi “scivoloni”.
Non da meno i socialisti in consiglio comunale, che con Bonardi criticano la questura per inattività” sulla prostituzione mentre Caldara futuro indimenticabile sindaco, sostiene che i macrò sono informatori, protetti dalla polizia e chiede per il risanamento morale della città di “sventrare” i quartieri in cui si annida il vizio in primis il Bottonuto (Piazza Diaz), ma ci penserà Mussolini.
Tutti i “palombari” erano attaccati dal benpensantismo: Cesare Tronconi che alcuni giornalisti chiamavano l’innominabile ad esempio, verrà recensito dal Corriere per il suo Madri per ridere (altra storia di prostituzione): “I suoi personaggi sono quasi tutti abbietti, subumani, …ci hanno a essere in questo mondo dei cani per fare la guardia alla casa, dei cavalli per trasportare la gente e delle donne di quella fatta per pelare i gonzi o gl’ingenui…pazzo chi cerca di distruggere certe specie di verminai sociali…cotesto romanziere, per il quale pare che gli uomini abbiano un istinto solo, l’istinto sessuale…”. Tronconi aveva invece idee chiarissime: “La società è sciocca, ridicola, malvagia, crudele dunque bisogna che ogni libro sia uno schiaffo. Ma chi è che, ricevendo uno schiaffo, dice: questo è morale? Lo dice solo chi deve darlo; tanto è vero che esclama: ben dato!”.
Per sfuggire a diverse condanne Valera come il meno noto Falcone emigrerà ma a Londra dove resterà 10 anni e scriverà ovviamente un volume sui bassifondi londinesi nel quale il racconto delle avventure dell’esule si intreccia con episodi di cronaca nera e giudiziaria londinese; anche qui ne sono protagoniste le prostitute o, meglio, le “giovinotte del marciapiede”. Sempre durante il periodo londinese esce Amori bestiali, e il titolo già dice tutto.

L’intreccio analisi sociale, giornalismo d’inchiesta, scandalismo, voyerismo, pornografia, alimenterà l’editoria milanese per anni con la prostituzione in prima fila, basti ricordare le collane Biblioteca degli adulti dell’editore Bietti, candidato in comune nelle liste radicali, gingillini d’amore della casa editrice piccola biblioteca galante (ancora Bietti con Minacca) che pubblica l’imperdibile gli scandali di Milano, rivelazioni di un ubriaco, e un marito che affitta la moglie; e ancora la Tipografia Artistica con Ricordi di questura di Federico Giorio (oggi ripubblicato da Biblon), Giovanni Gnocchi editore con gli abusi di venere fra i popoli dell’evo antico, medio e moderno, la società editrice la Milano con la donna, libro per gli uomini: le frodi dell’amore , che diedero occasioni di sequestri, processi, condanne (ma i censori erano più attenti alla politica che al sesso) e cause sui diritti come quella tra Bietti e Minacca da una parte, Brigola dall’altra per l’autorevole libro Delle frodi nei piaceri sessuali.
Russo parlò di letteratura erotico sociale che, con prurito di sedicenti problemi sociali fin d’allora fondò la sua solida tradizione nella metropoli lombarda che anche oggi conta rappresentanti sempre attivi e servizievoli nel cogliere e interpretare gli umori più malsani del grosso pubblico (in nord sud aprile 1969), altri hanno parlato di “socialismo erotico”.
Tuttavia, proprio questa letteratura minore, questo darwinismo sociale grossolano sarà uno degli strumenti della penetrazione del socialismo nelle masse che porterà alla sconfitta dei moderati e dei reazionari milanesi dopo le cannonate di Bava Beccaris.
«Non furono…i testi di Marx ad alimentare idealità e progetti rivoluzionari», scrive Papadia in La forza dei sentimenti: «fu la letteratura, e lo fu soprattutto nella forma del romanzo popolare». Che aveva una diffusione ben maggiore “È impressionante il numero delle vocazioni politiche che nascono o crescono sotto lo stimolo delle storie create da Sue … da Bersezio … e soprattutto dai Miserabili di Hugo. La capanna dello zio Tom ha giovato alla causa degli schiavi americani più di tutti i ragionevoli pamphlet abolizionisti messi assieme”.
Il socialismo di questi scrittori lombardi è una sorta di ribelle e inconsulta critica di ogni tipo di società organizzata, possiamo parlare di narrativa democratico populista massimalista. Dal feuilleton, scrive Giunta i lettori più giovani ereditano una visione manichea del mondo, che appare loro nettamente diviso tra, dal lato dei buoni, fratelli e compagni uniti in una solidale fraternità, e, dal lato dei cattivi parassiti borghesi, i quali ingrassano succhiando il sangue proletario. Questo apprendistato letterario induce prima di tutto a semplificare, ad abolire le sfumature; massimalismo appunto.
Nel 1912 si tenne timidamente un dibattito riformista su Critica Sociale e nell’articolo “La morale della nostra immoralità” si riassume il dilemma della sinistra sulla questione del sesso e della censura: “io chiedo che il socialismo tra le oscillazioni della astinenza mortificante dei cattolici e gli inni alla carne …abbia l’ardimento maturo di affermarsi con delle idee sue…”.
Ma farete fatica a trovare studi sul valore politico di questa produzione in parte perché gli editori non amano parlare dei successi editoriali licenziosi, anche oggi ci si dimentica con facilità che uno dei libri più venduti in Italia nell’ultimo ventennio è stato 50 sfumature di grigio, in parte perché gli autori “sconci” ebbero percorsi politici contraddittori, in parte perché i riformisti ma anche i rivoluzionari si scoprono facilmente moralisti e perbenisti.
Walter Marossi