11 Febbraio 2025
SI AVVICINANO LE ELEZIONI COMUNALI E LE PRIMARIE, FORSE
I risultati delle elezioni dal 2021 ad oggi
11 Febbraio 2025
I risultati delle elezioni dal 2021 ad oggi

Già da tempo si parla delle future elezioni comunali e comincia la tradizionale sfilata dei possibili candidati a sindaco e delle migliaia di aspiranti consiglieri comunali e di municipio. Vale la pena prepararsi riguardando qualche dato.
I candidati a sindaco con l’elezione diretta sono stati 78, nel 2021 13, nel 2016 9, nel 2011 9, nel 2006 10, nel 2001 10, 15 nel 1997, 12 nel 1993; di questi 46 non hanno superato l’1% dei consensi, ad esempio: Bryant Bavaschi, Alessandro Fabio Pascale, Marco Muggiani, Teodosio de Bonis, Mauro Festa, Bianca Miriam Tedone, Giorgio Goggi, Fatato Carlo, Vangeli Pietro, Bontempelli Sergio, Colombo Valerio, Frisali Ugo, Giardoni Sante, Montuori Fabrizio, Sabene Alberto, Ballabio Giorgio, Crespi Ambrogio, Fabbrili Giovanni, Fatato Elisabetta, Facca Cesare, Gazzoli Sergio, Maria Teresa Badiani, Pagliuzza Gabriele, Sarào Ugo, Bucci Giovanni, Schulz Giorgio, De Alberti Carla, Luigi Sant’Ambrogio, Carelli Attilio, Carluccio Stefano, Mantovani Marco, Natale Lazzaretto, Stroppa Claudio, Tordelli Marco, Armand Armani, Occhio Norelli Camilla, Marinoni Antonio, Staiti Codia delle chiuse, Paglierini Giancarlo, Cito Giancarlo, Maiolo Tiziana, Testa Arturo, Bossi Angela, il record spetta a Vangeli Pietro nel 2006 392 voti, pari allo 0,00%.
Molto più numerose le liste – 28 nel 2021, 20 nel 1993, 26 nel 1997, 19 nel 2001, 34 nel 2006 con una lista che prese ben 128 voti, 29 nel 2011, 17 nel 2016, 28 nel 2021.
Non pochi i casi di liste che ottengono meno voti delle firme necessarie alla presentazione. Idem nelle zone dove in alcuni municipi si sono superate le 20 liste presentate. Un esercito i candidati, si calcola 1 ogni 500 elettori, numerosissimi quelli che hanno preso una preferenza sola e molti quelli che non si sono nemmeno votati chissà se per un eccesso di modestia o perché non avevano capito come si faceva.
Come nella prima repubblica la battaglia per i consiglieri si gioca sulle preferenze che sono il vero misuratore del consenso interno ai partiti e ai movimenti ma più in generale in città.
Nella prima repubblica, la legge prevedeva che gli elettori scegliessero i componenti del Consiglio comunale, votandoli sulla base di liste di partito o movimento. I consiglieri, una volta insediati, sceglievano tra le loro fila il nuovo sindaco e gli assessori, sulla base di accordi politici tra i partiti che avrebbero costituito la maggioranza. Il sindaco poteva poi dimettersi o essere sfiduciato dalla sua stessa maggioranza: a quel punto, il Consiglio comunale ne nominava un altro in base agli accordi tra le forze politiche, solo in mancanza di un accordo si andava raramente a nuove elezioni dopo un periodo di commissariamento prefettizio.
Con la legge n. 81 del 25 marzo 1993, veniva introdotta l’elezione diretta del sindaco. Il primo sindaco milanese eletto direttamente fu Formentini nel giugno di quello stesso anno. La legge introduceva una grossa novità: il venir meno del sindaco eletto a suffragio diretto (per dimissioni, decesso o decadenza) comportava automaticamente lo scioglimento del Consiglio comunale e lo svolgimento di nuove elezioni; in pratica i consiglieri comunali storicamente struttura portante della politica e delle organizzazioni partitiche vedevano drasticamente ridotto il loro ruolo.
La stessa modalità di selezione dei candidati, compito principale dei partiti, veniva messa in discussione e si cominciava a parlare di primarie.
In realtà, la prima ad utilizzare le primarie fu la Democrazia Cristiana cittadina milanese che indisse nell’aprile del 1970 “le elezioni primarie per l’indicazione di una parte dei candidati alle prossime elezioni comunali. Il segretario cittadino Gino Colombo ha precisato che ad esse sono chiamati a partecipare tutti gli iscritti alle sezioni di Milano”. Il seggio era nel palazzo dell’Arengario, per il segretario DC “si tratta di un primo tentativo di far uscire la procedura delle designazioni dei candidati dal chiuso dei partiti”, tra i vincitori di quelle primarie Ester Angiolini, Andrea Borruso, Gino Ferrari, Massimo de Carolis, in gran parte gli stessi che avrebbero indicato le correnti interne ma così si bypassarono estenuanti trattative, perché chi le vinceva veniva inserito automaticamente nella lista, evitando veti, del resto c’erano anche allora le preferenze. Sobriamente il candidato delle ACLI Porretti le definì inutili. L’esperimento non fu solo milanese, soi disant primarie si tennero quello stesso anno anche a Varese a Cremona dove però si sottolineò che le primarie “fanno appello agli iscritti al partito non all’elettorato silenzioso che è preponderante nella DC”.
Il dibattito tra favorevoli alle primarie esclusivamente per gli iscritti e favorevoli alle primarie aperte a simpatizzanti o presunti tali è aperto ancora oggi.
Sempre a Milano nel 1980 la DC aprì le primarie (anche per i consigli di zona) ai non iscritti. Tuttavia, il sistema elettorale che non prevedeva l’elezione diretta del sindaco assieme al sistema delle preferenze rendeva queste consultazioni poco più che operazioni di marketing elettorale anche se votarono 18525 persone il 73% senza tessera del partito.
Nell’80 anche il PRI milanese fece uso delle primarie in elezioni in cui la maggioranza dei suoi candidati fu senza tessera di partito e lo stesso programma elettorale fu sottoposto ad una verifica preventiva dei non iscritti, tant’è che si parlò di un partito di non iscritti e si ebbe una delle prime campagne elettorali “all’americana”, ma il modesto risultato elettorale portò Steccanella a dichiarare: “la gente vuole ancora i simboli ed accetta poi quanto producono le segreterie dei partiti limitandosi a votare anziché a costruire”.
Alle sinistre del tempo PSI, PCI, PSDI le primarie non interessavano affatto. Al comune di Milano, fino alla riforma presidenzialista, le preferenze esprimibili erano cinque con 120 combinazioni possibili (non considerando le varie variabili: scrivi nome e cognome, scrivi cognome e nome, scrivi numero e cognome, scrivi …), strumenti spesso utilizzati per verificare la fedeltà delle proprie clientele elettorali.
L’indice che mette in rapporto i voti di preferenza espressi e quelli esprimibili, ovvero i voti di lista tradizionalmente vede in testa le città del sud (Brindisi con il 92%) ma il nord non è da meno: Belluno 66%, Asti al 73%, Como e La spezia al 60%.
L’importanza del candidato a sindaco rispetto alle liste con la nuova legge era confermata dal numero di elettori che votavano solo per i candidati a sindaco e non per le liste: 139.000 ai tempi di Formentini/Dalla Chiesa, 133.000 ai tempi di Albertini/Fumagalli, 204000 ai tempi di Antoniazzi Albertini (che fu eletto al primo turno) spingendo i partiti verso un diverso meccanismo di individuazione dei candidati.
Solo dopo la nascita dell’Unione le primarie diventano uno strumento quasi fondante le coalizioni di centro sinistra, inizialmente per le elezioni regionali in Calabria e Puglia poi con quelle di Prodi (ottobre 2005) che se la vide con: Bertinotti 14,69%, Mastella 4,56%, Di Pietro 3,28%, Pecoraro Scanio 2,22%, Scalfarotto 0,62% e Simona Panzino 0,46%
Contemporaneamente le primarie scompaiono dallo scenario del centro destra.
Milano si adegua e il 29 gennaio 2006 si tengono le primarie per indicare il candidato a sindaco.
Le Primarie milanesi del 2006 (scrive Terlizzi in Primarie istruzioni per l’uso, L’ornitorinco edizioni) “furono precedute da un vasto lavoro programmatico, da parte di tutte le forze politiche del Centrosinistra cittadino e rappresentanze sociali e culturali del “campo” (la forma organizzata fu denominata “Cantiere Milano”, sull’onda di quello nazionale promosso dal candidato premier), che generò una carta di intenti e valori che divenne la base per la convocazione delle Primarie. Per organizzarle, venne costituito un “Comitato Promotore” i cui componenti furono indicati dai partiti componenti L’Unione milanese e, successivamente, integrati dai rappresentanti dei candidati che riuscirono a superare il limite minimo di firme valide per la presentazione. Il Comitato, responsabile legale e amministrativo delle Primarie, stilò il regolamento e, soprattutto, mise a punto la macchina organizzativa e comunicativa”.
Si sfidano non in punta di fioretto ma piuttosto rudemente: Bruno Ferrante che vinse con 55890 voti (67,85%); Dario Fo 19 020 (23,09%); Milly Moratti: 4 760 (5,78%); Davide Corritore: 2 705 (3,28%). Fatto interessante degli 83000 votanti ben 35000 non avevano partecipato alle primarie prodiane e questa specificità milanese, questa autonomia dalle partiture nazionali si potrebbe dire è una costante di tutte le primarie successive.
Ferrante, il candidato più votato di tutte le primarie comunali, perderà alle elezioni con il 47% dei voti contro la Moratti 51,9% in valori assoluti 319823 contro 353298, grazie anche ad una delle campagne elettorali meno riuscite della storia cittadina.
Il 14 novembre 2010 si tengono le primarie per scegliere chi sfiderà Letizia Moratti ricandidata del centro destra, data dai sondaggi favoritissima. Affermava infatti un sondaggista di peso: “i numeri dicono chiaramente che Letizia Moratti vincerà. La cifra distintiva di questa fase della campagna elettorale sembrerebbe il “5”. Cinque perché la Moratti ha il 50 per cento di possibilità di passare al primo turno, e il 50 per cento di possibilità di passare al secondo. Pisapia? Non ha chances. La “forchetta”, per Letizia, è tra il 48 e il 51 per cento. Per il candidato del centrosinistra la quota massima si attesta a 5 punti in meno”.

Si confrontarono Giuliano Pisapia, Stefano Boeri, Valerio Onida e Michele Sacerdoti. Favorito alla grande Boeri (appoggiato dal PD); vinse l’outsider Pisapia (questo il titolo del Corriere) con il 45,36 contro il 40,16 di Boeri, il 13,41% di Valerio Onida e l’1% di Michele Sacerdoti. Il gruppo dirigente del PD milanese si dimise. Indicativo il commento del vincitore: “Abbiamo fatto un miracolo, adesso ce ne aspetta un altro”. 67.499 i votanti che rappresentavano l’81-82% dei milanesi che avevano partecipato alle primarie del 2006 tra Bruno Ferrante e Dario Fo.
La vittoria di Pisapia, il sindaco più “a sinistra” nella storia cittadina dopo Filippetti, alle primarie segnò la fine del ruolo centrale dei partiti nelle campagne elettorali milanesi e lombarde aprendo la strada alla ricerca di un modello diverso di organizzazione della politica che è ben lungi da essere terminata. L’effetto Pisapia sembrò passare dalla dimensione locale a quella nazionale: “Una sfida impossibile. Che si trasforma nella più grande festa di paese a Milano degli ultimi trent’anni, vittorie dei mondiali incluse. E’ il trionfo di un popolo che ci ha creduto e che ha vissuto l’avventura di cambiare Milano, facendosene carico nella vita di tutti i giorni, nei luoghi di lavoro, nelle vie e persino nei caseggiati.
A Milano ritorna la politica sotto forma di auto-organizzazione, di partecipazione, di condivisione vitale di idee e istanze. La città si riscopre pulsante, propositiva, arancione dopo un ventennio di grigiore. Un vento che non si ferma con la conquista di Palazzo Marino, ma che cambia il modo di vivere la dimensione sociale della metropoli, di occuparsi dei suoi grandi e piccoli problemi. E che pone una domanda alla sinistra: è possibile tornare a una politica vicina ai cittadini, che faccia discutere e anche, perché no, sognare?”. Era la sinistra arancione. Non si può dire che il sogno si sia realizzato.
Il 15 dicembre 2012 il Patto civico per la Lombardia promuove le primarie per la presidenza della regione nonostante lo scarso entusiasmo di alcuni big come Pisapia. Umberto Ambrosoli, indipendente appoggiato dal PD, vince con il 57,7% (ma appena sopra il 50% nel comune di Milano e il 70% a Brescia) di voti, davanti rispettivamente a Andrea Di Stefano (23,25%) appoggiato da soggetti diversi da Boeri a Monguzzi e ad Alessandra Kustermann (19,11). Gli elettori furono 150.422 a Milano 42213. Un dato di molto inferiore rispetto a quello delle primarie nazionali (440mila al primo turno). Grande sforzo organizzativo con oltre mille seggi sparsi e circa ottomila volontari, freddo e valli innevate.
Il brillante risultato di Di Stefano non fu confermato alle elezioni quando la sua lista di appoggio ad Ambrosoli non raggiunse nemmeno l’1% e lui come preferenze individuali ne prese 9500 nel collegio di Milano, in pratica meno di quelle che aveva preso alle primarie.
Nelle successive due elezioni regionali il candidato prima Gori e poi Majorino non è stato scelto con primarie.
Quello stesso anno, in un clima da vacanze natalizie ci furono anche le parlamentarie ovvero le primarie per la scelta dei candidati al parlamento, votarono in 33815, tra città e provincia, quindi molti meno di quanti ci si sarebbe dovuto aspettare con questi risultati (310 firme corrispondenti al 3% degli iscritti necessarie a presentarsi): UOMINI Matteo Mauri – 3.921, Franco Mirabelli – 3.747, Emanuele Fiano – 3.739, Francesco Laforgia – 3.694 , Vinicio Peluffo – 2.658, Paolo Cova – 2.456, Ezio Casati – 2.272, Francesco Prina – 1.520, Gabriele Messina – 1.415 etc; DONNE: Barbara Pollastrini – 4.527, Lia Quartapelle – 4.344, Eleonora Cimbro – 2.372, Emilia De Biasi – 2.319, Marilisa D’Amico – 2.225, Fiorenza Bassoli – 2.173 ,Daniela Gasparini – 1.965, Bruna Brembilla – 1.893, Anna Puccio – 1.670, Simona Malpezzi – 1.543, Ilaria Cova – 1.333 etc.
La modesta partecipazione, la scarsa audience e qualche trombatura eccellente frutto di alchimie correntizio-organizzative hanno fatto sì che di primarie per il parlamento non se ne sia più parlato e anche allora comunque la direzione si riservava una quota del 10% dei candidati.
Dall’ottobre 2007 il PD adotta le primarie per l’elezione del suo segretario, con Veltroni vi furono 3500000 di elettori, con Bersani 3100000 nel 2009 quando si elessero anche i segretari regionali (Martina per la Lombardia se la vide con Emanuele Fiano e Vittorio Angiolini), stessi numeri nel 2012, 2800000 nel 2013 con Renzi per scendere a 1800000 nel 2017 a 1600000 con Zingaretti 2019 a 1092000 con Elly Schlein
Elly Schlein è stata la candidata più votata tra gli iscritti e le iscritte del PD milanesi 1.790 voti, pari al 41,3%; Stefano Bonaccini ha ottenuto 1.786 voti, pari al 41,2%,;Gianni Cuperlo con 631 voti, pari al 14,6% e Paola De Micheli con 127 voti, pari al 2,9%. Nella città di Milano la vittoria di Schlein è stata netta 804 voti ottenuti, pari al 43,6%, davanti a Stefano Bonaccini con 682 voti, pari al 36,9%, Gianni Cuperlo con 314 voti, pari al 17%, e Paola De Micheli con 46 voti, pari al 2,5%. Nel voto allargato ha poi stravinto con 45,433 voti pari al 69.06%, confermandosi comunque la tendenza al calo della partecipazione.
Del resto si vota sempre meno anche alle elezioni, gli elettori milanesi sono passati dal 78,2% del primo turno di Formentini al 47,7 di Sala alle ultime.
Nel febbraio del 2016 si tengono le nuove primarie per la candidatura a sindaco rese necessarie dalla scelta di Giuliano Pisapia di non ricandidarsi, è l’unico sindaco nella storia della città dal 1861 (pur con leggi diverse) che avendone la possibilità reale e senza spontanei suggerimenti di amici ha rinunciato ad un secondo mandato.

Vince Sala con il 42% dei 60.900 votanti, seconda Francesca Balzani 34%, poi Pierfrancesco Majorino 23% e buon ultimo Antonio Iannetta 0.7%
Alle elezioni Sala vincerà al ballottaggio su Parisi con una differenza di 17.238 voti molti di più dei 5000 del primo turno, in valori assoluti Sala ha aumentato tra il primo turno e il ballottaggio di ben 40.000 voti. Alle elezioni dell’ottobre 2021 il distacco con il secondo classificato è di ben 123.000 voti, fatto piuttosto raro nelle elezioni comunali italiane.
Ci saranno primarie per le prossime comunali? Forse si forse no il problema principale sarà comunque quello di invertire il costante calo di partecipazione che va di pari passo con l’astensionismo.
Alle ultime comunali ha votato il 47,7% degli aventi diritto, alle regionali il 42,2%.
Walter Marossi
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