3 Dicembre 2024
LA RENDITA URBANA: UNA TESI ERETICA
L'altro punto di vista

Una rendita si genera quando i prezzi di un bene o di un servizio sono molto più alti dei costi di produzione, cioè quando il profitto non è meritato, perché non compensa né rischio di impresa né vantaggi particolari per i consumatori. Per alludere a una nota concetto marxiano riferito alla proprietà, “la rendita è un furto”.
É molto inefficiente perché distrugge ricchezza sociale (riduce i beni prodotti e venduti, in economicese “riduce il surplus”). Ma è anche iniqua due volte: sposta risorse dai consumatori ai produttori (che in media sono più ricchi dei consumatori), e, alzando i prezzi colpisce in particolare i consumatori a più basso reddito.
La rendita urbana in particolare riguarda sia gli edifici che i terreni, e storicamente, secondo di epigoni del celebre economista neomarxista Piketty, è la maggior fonte delle diseguaglianze di reddito (cioè è più colpevole dello squilibrio tra salari e profitti delle imprese).
La rendita urbana ha inoltre effetti negativi specifici molto gravi: espelle le categorie a più basso reddito dai centri urbani, rendendogli più difficile trovare lavoro e facendogli perdere il godimento di molti servizi che proprio i centri urbani offrono.
Ma non solo: accresce la pendolarità, consumando il tempo degli “espulsi” in viaggi inutili. E provocando congestione ed inquinamento, e maggior necessità di servizi pubblici di trasporto. Cioè genera costi privati, pubblici, e sociali.
Il caso dell’azienda di trasporti di Milano (ATM) è emblematico: costa così tanto vivere in città che non si trovano più conducenti, e l’azienda ha dovuto tagliare i servizi, con un grave danno per tutti gli utenti e l’ambiente (che poi non ci sia la volontà politica di fare gare vere per provare ad aumentare l’efficienza dell’azienda è un altro discorso, su cui occorre ritornare).
Che cosa genera la rendita? Su questo nessun dubbio è possibile.
É lo squilibrio tra domanda e offerta: se non c’è abbastanza offerta di un bene, i prezzi salgono fino a un punto di equilibrio, escludendo i consumatori con meno disponibilità a pagare per quel bene. Di quel bene quindi ne sarà prodotto di meno.
Le imprese che operano nel mercato, se possono, si mettono d’accordo per ridurre l’offerta e aumentare i prezzi.
Adam Smith, il padre dell’economia liberale, scriveva: “se due o più imprenditori si trovano insieme, anche a cena, cospireranno contro l’interesse pubblico”.
Nel caso della rendita urbana, la riduzione dell’offerta avviene attraverso i vincoli urbanistici.
E qui si assiste ad un incredibile paradosso: la cultura urbanistica dominante (il “common wisdom”, come direbbero gli inglesi) è che i vincoli urbanistici sono contro la rendita urbana.
Costruire di più favorirebbe gli speculatori.
E c’è anche l’ipotesi molto diffusa della collusione: gli “speculatori” non agirebbero isolati, si metterebbero d’accordo tra loro per allentare i vincoli urbanistici, quindi per aumentare l’offerta.
Sarebbe un accordo palesemente suicida: aumentare l’offerta, a parità di domanda, diminuisce prezzi e rendite.
Una ipotesi alternativa per immaginare un ruolo attivo dei costruttori è che si mettano d’accordo (loro e gli enti locali) per aumentare i prezzi. Ma non sta in piedi: occorrerebbe che fossero d’accordo proprio tutti, nessuno escluso, e gli enti locali fossero complici di questa micidiale strategia di vincoli, per danneggiare la collettività.
E l’esperienza milanese, oggetto adesso di una ipotesi di sanatoria generalizzata, è che succede proprio l’opposto, anche se non in modo coordinato e “complottistico”: i costruttori premono sugli enti pubblici, e arrivano a corromperli, per costruire di più, non certo di meno.
Vogliono guadagnare, e finché l’offerta è inferiore alla domanda guadagneranno molto, e tanto di più quanto maggiore è lo squilibrio tra le due.
Una risposta ricorrente della cultura urbanistica è quella che occorre costruire più case popolari: sacrosanto, ma è una goccia nel mare.
Questo in quanto le risorse sono limitate, le residenze non sono “jeans teste” (cioè sono per sempre, quale sia il reddito futuro degli assegnatari), e questa sia una forma di sussidio sociale poco efficiente, per unità di spesa (ma su questo non è possibile dilungarsi).
Il paradosso urbanistico citato infine si estende anche le edificazioni “esterne” a bassa densità: si tratta del famigerato “sprawl”, fonte di ogni male, da impedire assolutamente. E anche questo tipo di vincolo contribuisce ad alzare tutti prezzi del costruito, con grande gioia dei proprietari.
Anche vincoli molto stringenti sulle dimensioni minime degli alloggi contribuisce ad alzare i prezzi unitari dell’edificato
Un ultimo argomento è il consumo di suolo. Certo vanno controllati gli effetti di impermeabilizzazione del suolo, anche in vista dei crescenti fenomeni di precipitazioni estreme.
Ma è capitato anche di sentire che occorre garantire la “sovranità alimentare”, cara all’attuale ministro dell’agricoltura.
Questo, quando l’Italia, come tutta l’Europa, ha gravi problemi di sovrapproduzione agricola. L’agricoltura è una fonte di inquinamento rilevante, ed è addirittura generosamente sussidiata con i soldi dei contribuenti.
Il problema sociale del prezzo degli immobili deve passare per un sostanziale aumento del costruito (ad alta densità), nelle fasce periferiche e immediatamente esterne alle città, per abbassare i prezzi e così colpire la rendita e i micidiali effetti che questa ha sull’espulsione delle categorie più deboli e sull’economia in generale.
Né si può argomentare che esista molta edilizia invenduta: i “prezzi di attesa” che generano il fenomeno sono fortemente incentivati proprio dall’aspettativa che la rendita crescerà sempre.
E non si può nemmeno dimenticare che costruire legalmente, (e pagando i giusti oneri di urbanizzazione) crea occupazione e reddito, come dimostrerebbe qualsiasi analisi del tipo costi-benefici sociali (incluso quelli ambientali).
Un esempio celebre per concludere: la “green belt” londinese (vasto anello vincolato intorno alla città), fatta per evitare “sprawl” e per vaghe istanze ambientali, ha costretto milioni di lavoratori londinesi a lunghi viaggi pendolari, con ogni mezzo di trasporto, e ha enormemente aumentato la rendita nell’area centrale, oggi tra le più care del mondo.
I proprietari e gli speculatori festeggiano ancora adesso.
Marco Ponti
BRT ONLUS
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